Questi sono due ragazzi che parlano.
– Sei ebreo?
– No, sono preoccupato.
Sono ebrea. Dovrei mettere la maiuscola o tenere la minuscola?
Citazione di Primo Levi sull’argomento:
“Sono ebreo perché il destino ha voluto che nascessi ebreo.”
“Non arrossisco e non lo glorifico. Essere ebreo per me è una questione di “identità”, una “identità” alla quale, devo chiarire, non ho alcuna intenzione di rinunciare.”
Posso ripetere le prime due frasi, sono ebrea perché mio padre era ebreo e tutti i suoi antenati erano anch’essi ebrei, e questo è, immaginate, la stessa cosa per mia madre, tranne che, per mia madre, è la stessa cosa e non è la stessa cosa, visto che, qualsiasi Levi lei è, quindi, presumibilmente, discendente del terzo figlio di Giacobbe, che ti pone comunque come nobiltà ereditaria a non so quante centinaia di generazioni, lei, suo padre era francese, per niente ebreo, che la lasciava sognante, destinata ad incontrare un bretone.
Comunque, sono ebrea, perché sono ebrea. E ovviamente non arrossisco, poiché non è colpa mia, e ovviamente non lo glorifico nemmeno perché, discendenti di Levi come me, ci sono, e sono migliaia.
Ma posso dire, da Primo Levi, che questa è una questione di “identità”,
sapendo che non so affatto cosa sia l’identità.
Non so cosa renda la mia identità, né se esiste davvero come qualcosa di tangibile. Come qualcosa che devo pretendere, sicuramente no, come ho appena detto.
Mi sento più vicina agli ebrei che agli altri umani? Sicuramente no.
Penso con orrore ad una frase di Le Pen (Jean-Marie) come, è naturale, si è sempre più vicini al cugino che al vicino di casa, al vicino di casa, al vicino di casa, al suo compatriota che ad uno sconosciuto, ecc.
No, non mi sento più vicina ad un ebreo di chiunque altro.
Che tu urli “sporco ebreo”
o “sporco arabo”,
o qualunque cosa tu voglia, mi infuria esattamente lo stesso.
Questo mi fa star male.
Ho qualcuno della fede dei miei antenati?
Penso che siano quattro generazioni prima di me che, da una parte e dall’altra, la fede, non l’avevano più.
Mi è rimasta un po’ di lingua? L’ebraico, per me, è in realtà ebraico, voglio dire non avrei mai nemmeno immaginato di volerlo imparare, o non più del Malayalam o del Quechua, intendo esclusivamente per interesse intellettuale.
Mi è rimasto un po’ di yiddish?
Ho ancora la sua mancanza, e questa mancanza è, di per sé, una cosa fondamentale. Non ho mai avuto il coraggio di impararlo, proprio a causa di questa mancanza, anche se sento che c’è un continente inghiottito, ancora, per gran parte, sconosciuto, mentre la letteratura yiddish è, da circa cinquant’anni, uno dei più grandi mondi della letteratura. Ho ancora specie di tangenti che tornano, ho ancora intonazioni, volontarie o involontarie, ho ancora non so cosa, ma questo non so cosa, probabilmente alimenta molto di quello che posso scrivere, ed è, credo, uno dei motivi più importanti della mia ossessione con immagine senza immagine, immagine prima che compaia, che sia sull’orlo dell’aspetto, come appena sotto la superficie dell’acqua, o completamente reclinata in una notte apofatica.
Sì, probabilmente c’è qualcosa nello yiddish, e quindi, sì, per questo, un po’ di ebreo in me.
Ma non credo si possa tornare alle sue “radici”.
Sono ebrea, mi piace pensarlo, dalla storia dell’antisemitismo che è un sentimento condiviso da molti.
Dal malinteso, in definitiva.
Dal perché di ciò che è successo sotto il nazismo, e, molto prima, sì, semplicemente, da questo, dalla notte dei tempi. Ma conosco molti, molti non ebrei che si fanno la stessa domanda. Io ne sono consapevole, e di nuovo qui, ci sono milioni e milioni, centinaia di milioni, se ci credo, persone in tutto il mondo che sentono quello che sento io.
Antisemitismo, una verità che non ci stancheremo mai di ripetere, non è il problema ebraico, è il problema razzista, e quindi il problema di tutti.
Sono radicalmente, fondamentalmente, della vecchia scuola. Non riconosco nessuna “comunità”, di alcun genere, religiosa, politica, nemmeno quella dei petanque, e non più, quindi, la “comunità ebraica” di qualsiasi altra, e considero da sempre, o, diciamo da molto, quel nazionalismo, piccolo o piccolo grande, portatore di odio e morte.
E così, siccome
il sionismo è nazionalismo,
e funziona esattamente come tutti gli altri, vicino alla virgola, con varianti dialettiche che potrebbero far sembrare che non appartenga alla stessa lingua, io non sono sionista. Non credo affatto che se i miei antenati, ammesso che lo siano davvero, fossero stati cacciati da Gerusalemme da Tito e Vespasiano duemila anni fa, questo sia per me un motivo per ricostruire il tempio che i Romani hanno sbagliato a demolire.
Non credo affatto che gli ebrei abbiano bisogno di una patria ebraica, ma non chiedo nemmeno la distruzione di Israele.
Penso che gli ebrei, come tutti, abbiano bisogno di una vita serena.
Che l’umanità intera abbia bisogno di “indifferenza”, ovvero che possa indossare ogni genere di costumi che voglia.
Dico solo che Israele deve essere un paese come un altro, e che cancellare la storia cancellando i palestinesi, che vivono o hanno vissuto sul territorio, è anche un crimine contro la memoria, un crimine contro le persone, e infine un altro crimine contro gli ebrei.
Quindi posso “rinunciare” ad essere ebrea?
Certo che no.
Se essere ebrea significasse per me qualche rituale, penso che farei questo rituale, perché non implica assolutamente nulla. È solo uno stato di fatto.
Sono ebrea, forse, perché, le battute che mi toccano di più sono tutte battute sugli ebrei. Ne conosco un certo numero, e ce n’è una, breve, conosciuta, ma dimenticata:
Questi sono due ragazzi che parlano.
– Sei ebreo?
– No, sono preoccupato.