Papa Leone XIV ha scelto di unire due Giubilei: quello del Mondo Missionario e quello dei Migranti. Due vie diverse, ma profondamente legate. Perché parlano della stessa realtà: l’umanità che cammina, la Chiesa che non resta chiusa, ma si apre, affrontando tempi segnati da “devastazioni globali e scenari spaventosi”.
Leone sa di cosa parla. Ha vissuto per anni come missionario in Perù, tra le comunità più povere. Lì ha imparato che l’annuncio del Vangelo non è mai a senso unico. Il missionario porta la fede, ma riceve anche fede. Porta la speranza, ma riceve speranza. È uno scambio che cambia chi annuncia e chi accoglie.
E poi c’è il Giubileo dei Migranti. Le migrazioni non sono un’emergenza passeggera. Sono, come diceva Francesco, un nodo politico globale. Guerre, crisi climatiche, squilibri economici spingono milioni di persone a partire. Non possiamo vederle come numeri. Non possiamo trattarle come minacce. Sono volti. Sono storie. Sono la richiesta di giustizia e dignità.
Leone XIV aggiunge qualcosa di forte: i migranti hanno una forza eroica. Hanno la speranza ostinata in un futuro migliore. E questa energia può ridare vita a comunità ecclesiali stanche, irrigidite, aride. Dove avanza il deserto spirituale, loro portano vitalità.
Ecco allora il senso del doppio Giubileo. Missione e migrazione si illuminano. La missione dice che il Vangelo è sempre in viaggio. La migrazione ci ricorda che accogliere è già annunciare.
Papa Leone chiede una Chiesa che non abbia paura. Una Chiesa pellegrina tra i popoli. Una Chiesa che sappia abitare il mondo con fiducia. Perché l’ospitalità non è solo un gesto di bontà: è profezia.