"Dilexit te": come Leone XIV raccoglie l’eredità di Francesco e rilancia la Chiesa dei poveri e dei migranti
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"Dilexit te": come Leone XIV raccoglie l’eredità di Francesco e rilancia la Chiesa dei poveri e dei migranti

Leone XIV rilancia lo slogan bergogliano di “un’economia che uccide”  perché i guadagni di pochi “crescono esponenzialmente” mentre quelli della maggioranza sono “sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice”

"Dilexit te": come Leone XIV raccoglie l’eredità di Francesco e rilancia la Chiesa dei poveri e dei migranti
Leone XIV
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

9 Ottobre 2025 - 23.23


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Dilexit te, cioè “ti ho amato”. E’ il titolo della prima esortazione apostolica di papa Leone XIV ed è decisivo notare che sebbene sia noto che l’abbia cominciata a scrivere papa Francesco, lui, Leone XIV, ha deciso di assumerla, farla sua, firmarla da solo. Dunque è un documento che indica la continuità tra un pontificato e l’altro; diciamo una visione che prosegue il suo cammino, con al suo centro i poveri e la nota “opzione preferenziale per i poveri”, esplicitamente confermata da Leone XIV: « I poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure, c’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà.»

Non sorprende che poco più avanti il papa sia chiarissimo, nella sua critica: «Anche i cristiani, in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti». Il confronto con ambienti ben noti non è occultato. E il fondamento teologico di questa posizione è più volte affermato, ecco un esempio: « Tutta la vicenda veterotestamentaria della predilezione di Dio per i poveri e il desiderio divino di ascoltare il loro grido – che ho brevemente richiamato – trova in Gesù di Nazaret la sua piena realizzazione».  

Dunque si capisce bene perché nel suo editoriale per VaticanNews Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, conclude così: « nella parte finale di Dilexi te è contenuta una chiamata rivolta a ogni battezzato affinché si impegni concretamente per la difesa e la promozione dei più deboli: “È compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire una voce che svegli, che denunci, che si esponga”. Anche a costo di sembrare “stupidi”. Un messaggio denso di conseguenze per la vita ecclesiale e sociale: l’attuale sistema economico-finanziario e le sue “strutture di peccato” non sono ineluttabili ed è dunque possibile impegnarsi nel pensare e costruire, con la forza del bene, una società diversa e più equa, attraverso “il cambiamento delle mentalità ma anche, con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società”.»

C’è un filo logico molto chiaro nell’impegno per i poveri che il documento illustra senza ambiguità. L’amore di Cristo ha un nesso inscindibile con la vicinanza ai poveri perché la carne di questi è la carne di Cristo e lo dimostra la storia della comunità cristiana: “Nella prima comunità cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti, ma direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo».  Dunque la prossimità è nella fede cristiana, infatti il papa lo scrive espressamente: «Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana”, cioè con quelle visioni distorte che il testo indica. Dunque questo tipo di impegno è al cuore del culto stesso. 

Ma il discorso cristiano non finisce qui, nell’aiuto, nell’assistenza, c’è l’esigenza citata di “svegliare, “denunciare”, esporre”. Questo discorso rende evidente che la cura dei malati, la lotta alle schiavitù, la difesa delle donne oggetto di esclusione o violenza, l’ accompagnamento ai migranti, l’elemosina, il diritto all’istruzione,  sono segni di giustizia ristabilita, “non un gesto di paternalismo”. 

Leone XIV rilancia lo slogan bergogliano di “un’economia che uccide”  perché i guadagni di pochi “crescono esponenzialmente” mentre quelli della maggioranza sono “sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice” e in cui sono diffuse le “ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”.  Dunque la “cultura dello scarto” esiste, permane e si vede nei tanti che muoiono di fame o sopravvivono in modo indegno dell’essere umano. « Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole». 

Leone afferma che dobbiamo «impegnarci sempre di più a risolvere le cause strutturali della povertà. È un’urgenza che non può attendere, non solo per un’esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie». 

Molto chiara, soprattutto ricordando che Leone XIV è il “papa americano”, è la parte sulle migrazioni, che comincia così: “ L’esperienza della migrazione accompagna la storia del Popolo di Dio. Abramo parte senza sapere dove andrà; Mosè guida il popolo pellegrino attraverso il deserto; Maria e Giuseppe fuggono con il Bambino in Egitto. Lo stesso Cristo, che «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» ha vissuto in mezzo a noi come uno straniero. Per questo motivo, la Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore che, nel giorno del giudizio, dirà a quelli che sono alla sua destra: “Ero straniero e mi avete accolto”. » 

E’ estremamente significativo che il testo proceda rievocando la storia, quando in un Paese come il nostro, Paese cioè allora di migranti,  «Scalabrini, Vescovo di Piacenza, fondò i Missionari di San Carlo per accompagnare i migranti nelle comunità di destinazione, offrendo loro assistenza spirituale, legale e materiale. Vedeva nei migranti i destinatari di una nuova evangelizzazione, mettendo in guardia dai rischi di sfruttamento e di perdita della fede in terra straniera. Rispondendo generosamente al carisma che il Signore gli aveva donato, “Scalabrini guardava oltre, guardava avanti, a un mondo e a una Chiesa senza barriere, senza stranieri”. 

 Santa Francesca Cabrini, nata in Italia e naturalizzata americana, è stata la prima cittadina statunitense ad essere canonizzata. Per adempiere alla sua missione di assistere i migranti, attraversò più volte l’Atlantico e, “armata di singolare audacia, dal nulla iniziò scuole, ospedali, orfanotrofi per masse di diseredati avventuratisi nel nuovo mondo in cerca di lavoro, privi della conoscenza della lingua e di mezzi capaci di permettere loro un decoroso inserimento nella società americana e spesso vittime di persone senza scrupoli. Il suo cuore materno, che non si dava pace, li raggiungeva dappertutto: nei tuguri, nelle carceri, nelle miniere”. Nell’Anno Santo del 1950, Papa Pio XII  la proclamò Patrona di tutti i migranti.»

Appare evidente che questa Chiesa universale, attenta ai migranti di allora, prosegue la sua impresa oggi, con altri migranti: « Dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti. Sa che il suo annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza. E sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità». Non appare possibile distanziare queste parole dal caso della grande deportazione americana. « La santità cristiana spesso fiorisce nei luoghi più dimenticati e feriti dell’umanità. I più poveri tra i poveri – coloro che non solo mancano di beni, ma anche di voce e di riconoscimento della loro dignità – occupano un posto speciale nel cuore di Dio. Sono i prediletti del Vangelo, gli eredi del Regno. È in loro che Cristo continua a soffrire e a risorgere. È in loro che la Chiesa ritrova la chiamata a mostrare la sua realtà più autentica».

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