La presunzione è un brutta bestia: ci si sente superiori, arroganti e si disprezzano gli altri
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La presunzione è un brutta bestia: ci si sente superiori, arroganti e si disprezzano gli altri

Che brutta bestia la presunzione. E’ un vortice terribile: perdiamo la misura di noi stessi, immaginiamo di essere quello che non siamo, roviniamo i rapporti con gli altri, ci poniamo su un perenne piedistallo.

La presunzione è un brutta bestia: ci si sente superiori, arroganti e si disprezzano gli altri
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

25 Ottobre 2025 - 19.46


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Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18, 9-14 – XXX TO/C).

Il “salire al tempio” è, in termini attuali, il nostro “andare in chiesa”. E sono molti gli atteggiamenti, i pensieri e le emozioni di coloro che salgono al tempio o entrano in una chiesa. Migliaia di testi sociologici, psicologici, filosofici e teologici hanno cercato e cercano di investigare sulle radici profonde del nostro credere e pregare. Eppure la parabola è diretta solo a una categoria di persone: “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

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Che brutta bestia la presunzione. E’ un vortice terribile: perdiamo la misura di noi stessi, immaginiamo di essere quello che non siamo, roviniamo i rapporti con gli altri, ci poniamo su un perenne piedistallo, trattiamo gli altri da inferiori, diventiamo arroganti e sprezzanti e via discorrendo. Basterebbe una campagna elettorale (in USA, Italia o altrove), oppure un ambiente ecclesiastico degenerato per riscontrare la lunga lista di quelli “che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

A essere onesti fino in fondo qualche presunzione l’abbiamo tutti; chi più, chi meno. Con ciò non voglio dire che siamo tutti uguali: grazie a Dio ci sono molte persone umili come il pubblicano, anche oggi. Ma il problema non è la collocazione in una categoria, bensì cosa si pensa di se stessi, sia quando si è soli o di fronte al buon Dio o con gli altri.   

Ha scritto un grande maestro di vita spirituale, Thomas Merton: “Non è umiltà insistere nell’essere qualcosa che non sei”. E’ umiltà nell’essere quello che sono: né più, ne meno. La domanda allora è: mi conosco? Trovo molto interessanti tutti quei percorsi e studi, delle scienze umane, che aiutano a definire se stessi con competenza e profondità. Del resto la filosofia, con Socrate, è nata come grande invito a conoscere se stessi. Dobbiamo conoscere il più possibile noi stessi, per essere noi stessi: autenticamente, senza ipocrisie, con misura e, sopratutto, rendendo gloria a Dio, perché tutto è suo dono. Tutto è grazia.

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