Il 23 ottobre Re Carlo III e il Papa Leone XIV si sono ritrovati nella Cappella Sistina per una preghiera ecumenica dedicata al tema della cura del creato: un monarca inglese, capo della Chiesa d’Inghilterra, e il Pontefice romano, pregano insieme «cinque secoli dopo la frattura». A Carlo è stato conferito il titolo di “Royal Confrater” della Basilica di San Paolo fuori le Mura, mentre a Papa Leone XIV quello di “Papal Confrater” della Cappella di San Giorgio, nel Castello di Windsor.
La frammentazione cristiana – confessionale, culturale, geografica – oggi rischia di farci rinchiudere in “gruppi”: cristiani divisi in un mondo spaccato, segnato da guerre, ineguaglianze, sofferenze, divisioni. Leone aveva esortato ricolgendosi ai partecipanti alla settimana ecumenica di Stoccolma lo scorso agosto: «siamo chiamati a portare guarigione dove ci sono state ferite».
In questo contesto l’ecumenismo, allora, assume il valore di testimonianza. Per Leone ogni comunità «… reca il proprio apporto di saggezza, di compassione, di impegno per il bene dell’umanità e la salvaguardia della casa comune».
Ecco il punto chiave, e nell’incontro con Re Carlo, la preghiera comune per la cura del Creato lo ha mostrato: non l’ecumenismo non è soltanto dialogo tra cristiani, ma responsabilità condivisa verso il mondo.
Leone, lo scorso agosto, ha pure ricordato le parole dell’arcivescovo luterano di Uppsala, Nathan Söderblom alla Conferenza di Stoccolma del 1925 che riunì 600 leader ortodossi, anglicani e protestanti nella convinzione che «il servizio unisce». Il Papa ha pure ricordato che l’arcivescovo protestante aveva esortato a non aspettare che vi fosse consenso su ogni punto della teologia, ma di unirsi in un “cristianesimo pratico”, per servire insieme il mondo nella ricerca della pace, della giustizia e della dignità umana».
L’ecumenismo cristiano oggi non è solo un orizzonte teologico, ma una via concreta di speranza per il mondo.
