Si è appena concluso il Giubileo dell’educazione. In un tempo ferito da guerre, diseguaglianze e solitudini, la Chiesa riconosce che l’educazione contribuisce atiene insieme il mondo. La capacità di educare non è solamente quella di trasmettere conoscenze, ma quella di far maturare una domanda di senso. L’educazione è apparsa non come un accessorio del progresso, ma come una forma di cura. È stata intesa come uno dei nomi della pace.
Leone XIV per l’occasione ha scritto una Lettera apostolica dal titolo “Disegnare nuove mappe di speranza”. Ha offerto un’immagine forte: quella della costellazione educativa: tante luci diverse – scuole, università, famiglie, associazioni, piattaforme digitali – che insieme orientano la rotta dell’umanità. La pace nasce quando ogni stella, anche la più piccola, è accesa; quando nessuno resta al buio.
E proprio nei giorni del Giubileo, intorno a San Pietro, si è realizzato un vero e proprio “villaggio dell’educazione”: un laboratorio vivo dove scuole, università, organizzazioni varie si sono incontrate per condividere esperienze, progetti e visioni. È stato un simbolo concreto di questa costellazione, costruito su tre parole semplici e decisive: cuore, mente e mani, come aveva ripetuto tante volte papa Francesco.
Il cuore, perché educare significa imparare a sentire, ad avere empatia, a riconoscere nell’altro un volto;
la mente, perché richiede pensiero critico e capacità di giudizio;
le mani, perché educare è sempre anche fare, costruire, trasformare la realtà.
Si è parlato molto anche di intelligenza artificiale: di come la tecnologia, se non governata, possa ampliare le fratture sociali, ma anche di come invece possa diventare uno strumento al servizio dell’uomo. È proprio l’educazione che ci insegna a usare la mente senza perdere il cuore, a costruire con le mani senza distruggere ciò che è fragile.
Il Giubileo si è chiuso, ma restano accese le sue luci: educare è generare pace. E ogni volta che qualcuno insegna, accompagna, ascolta, accende una piccola luce in quella costellazione di speranza della quale abbiamo un disperato bisogno.