Sulle rive del lago di Iznik, l’antica Nicea, a fine novembre Papa Leone XIV pregheràinsieme ai rappresentanti delle Chiese ortodosse. È il centro simbolico e mediatico del suo primo viaggio apostolico in Turchia e Libano: una visita che coincide con il 1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea, il luogo in cui nel 325 venne definito il Credo che ancora oggi unisce milioni di cristiani nel mondo.
Nicea è un ritorno alle radici di una fede condivisa e, allo stesso tempo, un messaggio lanciato in un’epoca segnata da divisioni interne alle Chiese e da crescenti polarizzazioni globali.
Il viaggio assume un forte valore ecumenico: richiama il desiderio espresso da anni da Papa Francesco e dal Patriarca Bartolomeo di ritrovarsi proprio a Nicea per rilanciare un cammino di unità. Non per celebrare un passato idealizzato, ma per guardare avanti: a pratiche concrete di incontro, alla possibilità di convergere su una data comune della Pasqua, a una collaborazione più stabile tra le Chiese.
Il contesto rende tutto più denso. La Turchia, a maggioranza musulmana, e il Libano, segnato da crisi politiche e sociali, rappresentano un laboratorio delicato per il dialogo tra religioni e culture. Qui il gesto di Leone XIV risuona non solo come un appello interno al mondo cristiano, ma come un invito più ampio a credere che la fede possa essere forza di riconciliazione tra popoli e tradizioni diverse.
Le sfide non mancano: tradurre i simboli in percorsi reali di collaborazione; superare le ferite della storia e le tentazioni dei nazionalismi ecclesiali; dare sostegno alle piccole comunità cristiane della regione, spesso isolate o vulnerabili. Eppure, proprio queste fragilità rendono la tappa di Nicea carica di attese.
Il viaggio a Nicea non chiude una storia: la riapre. E affida alle Chiese il compito di trasformare un anniversario storico in un nuovo inizio, capace di parlare alle divisioni di oggi con un linguaggio di unità e futuro.
