In occasione del Giubileo dei detenuti, la Chiesa universale è chiamata a volgere lo sguardo verso chi vive dietro le sbarre, rassicurando che la misericordia non conosce esclusioni.
Il tema era molto caro a papa Francesco. Non ne ha parlato in astratto: ha visitato istituti di pena, ha ascoltato storie di fallimenti, risalite, ferite ancora aperte. E ogni volta ha ricordato che nessuno coincide con l’errore commesso. L’identità di una persona non può essere sigillata da una sentenza. Possiamo dire che una società è forte non quando mostra i muscoli, ma quando non perde nessuno. Ha pure voluto che il padiglione della Santa Sade alla Biennale di Venezia fosse ospitato nel carcere femminile della Giudecca.
Nel corso del 2025, Leone XIV ha rafforzato la cura pastorale verso le persone ristrette. Con un decreto dello scorso ottobre ha nominato un Delegato Pontificio per laCommissione Internazionale della Cura Pastorale delle Carceri affinché la pastorale carceraria non resti marginale o occasionale, ma diventi punto fermo dell’azione della Chiesa.
Tra le testimonianze concrete di questo impegno si inserisce l’udienza del 7 agosto con tre detenuti del carcere maschile di S. Maria Maggiore di Venezia, giunti a Roma con un pellegrinaggio a piedi fino alla Porta Santa. Nessuna cerimonia formale, ma un incontro personale, “molto cordiale, molto fraterno”. Così è stato descritto lo scambio da parte degli accompagnatori.
Ma soprattutto Leone ha pronunciato parole profetiche lo scorso 26 giugno quando, nell’occasione della Giornata mondiale contro la droga, ha denunciato le ramificate organizzazioni criminali che gli Stati hanno il dovere di smantellare. Ma ha pure aggiunto che “troppo spesso, in nome della sicurezza, si è fatta e si fa la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte. Chi tiene la catena nelle sue mani, invece, riesce ad avere influenza e impunità”. Ed ha concluso: “Le nostre città non devono essere liberate dagli emarginati, ma dall’emarginazione; non devono essere ripulite dai disperati, ma dalla disperazione”.