Di Ika Dano
Venti aerei da combattimento per il valore di 2.75 miliardi di dollari. Questo il regalo promesso al segretario di stato Usa Hillary Clinton ad Israele, se solo avesse accettato di bloccare la costruzione di colonie sul suolo palestinese per tre mesi durante i negoziati di pace dello scorso novembre 2010. Un regalo succulento, che per altro non servì a convincere il primo ministro Benjamin Netanyahu. E che dato il rapporto strategico tra la potenza militare americana e l’alleato in medio oriente non sorprende. Suonano nuovi invece accordi come quello preso tra l’esercito americano e la compagnia statale Israel Military Industries ltd. All’inizio dell’anno gli americani, rimasti a corto di munizioni per la media di 250 000 proiettili impiegati in Irak e in Afghanistan per ognuno dei “ribelli” caduti – 24 000 secondo Wikileaks solo in Iraq e senza contare i civili, per alcuni più di un milione – si sono trovati costretti ad importare munizioni dall’estero. E si sono rivolti a una delle quattro grandi dell’industria militare israeliana, rifornitore principale dell’esercito israeliano.
Israel Military Industries ltd. ha fatto di Israele il quarto esportatore mondiale di armamenti nel mondo, insieme alle altre “big” del settore: Elbit Systems, Israeli Aerospace Industries (Iai) e Rafael. Nove anni fa, questo stato di sette milioni di abitanti era ancora al decimo posto della classifica mondiale. Oggi, da buon allievo, sta per superare il maestro, con un budget militare del 8.9% del prodotto interno lordo, contro il 3.1% degli Stati Uniti e il 2.6 % della media mondiale. Il record è stato battuto nel 2010, quando Israele si è aggiudicato 7% dell’export militare mondiale.
“Siamo consapevoli delle sfide che ci troveremo ad affrontare, ma continueremo a lavorare per mantenere il livello raggiunto sinora e anzi migliorarlo” ha detto il brigadiere generale Shmaya Avieli al quotidiano israeliano Jerusalem Post, la scorsa settimana alla Fiera internazionale “Paris Air Show”. Avieli è direttore del distaccamento del Ministero della difesa (Sibat), incaricato di gestire le licenze per l’esporto e l’intero marketing dell’industria militare. Le sfide da affrontare a cui si riferiva sono non solo la crisi economica mondiale, ma proprio l’annunciato ritiro delle truppe americane da Irak e Afganistan.
9.6 miliardi di dollari, questo l’incasso dell’esporto di armi nel 2010, 3% del Pil secondo il portale United Press International. Già qualche anno fa, in un intervista riportata sul sito del Ministro della difesa israeliano, l’ex direttore del distaccamento SIBAT, ed ex-generale maggiore dell’esercito Yossi Ben Hanan, ribadiva la particolarità del caso israeliano: l’industria bellica dipende dall’esporto. Più del 75% della produzione è destinata all’estero, solo il 25% viene impiegato nell’esercito israeliano. Questa dipendenza – ha proseguito il generale – “è lucrativa”, concludendo poi : “Un problema per l’economia potrebbe porsi di fronte ad una crisi politica tra Paesi o una catastrofe naturale di magnitudine colossale da qualche parte nel mondo, cose che avrebbero certo conseguenze per l’esporto bellico di Israele”. Conseguenze peraltro non per forza negative.
Israele è stato uno dei Paesi che meglio ha saputo approfittare della globalizzazione. Dopo i primi quarant’anni di dipendenza quasi totale dagli aiuti finanziari americani, dai risarcimenti tedeschi ai superstiti dell’Olocausto e dalle donazioni di organizzazioni sioniste internazionali, è diventato uno dei piú importanti Paesi esportatori pro capite del mondo. Soprattutto dopo gli Accordi di Oslo del 1993 – inaugurazione dell’Autorità palestinese ma soprattutto della liberalizzazione economica – il deficit israeliano e la dipendenza dall’importo è diminuita drasticamente. Il volume totale degli importi ammontava nel 2010 a 55.6 miliardi di dollari, quello degli esporti di poco più basso, con 54.3 miliardi l’anno. Il ruolo dell’industria bellica in questo sviluppo economico è stato determinante. Due esperti israeliani intervistati dall’agenzia stampa cinese Xiuhna spiegano come le compagnie militari siano il motore dell’economia, anche al di là dell’export, fungendo da vivaio per la ricerca high-tech e la formazione di esperti che trovano poi impiego nell’industria civile.
“Uno delle ragioni del successo israeliano è che Israele sa fare una chiara distinzione tra relazioni politiche e relazioni in campo militare con altri Paesi” ha dichiarato l’ex general maggiore Giora Eiland a Xiuhna. “Diversi Stati ci sono piuttosto ostili in forum internazionali, ma apprezzano una quantità di nostri prodotti”.
Oltre alla Turchia, anche l’America latina non disdegna Israele, quando si tratta di armamenti. L’Argentina, il Brasile, il Cile, la Colombia e l’Ecuador sono acquirenti di equipaggiamento militare e tecnologia israeliani, come documentato in un accurato studio pubblicato dalla campagna palestinese Stopp the Wall nel 2010. Non solo armi convenzionali, ma soprattutto veicoli aerei senza pilota sono il fulcro dei rapporti commerciali Israele-America latina. L’ultimo contratto è fruttato alla Elbit systems 50 milioni di dollari per tre anni per la vendita di 900 aerei autopilotati Hermes 900 UAV, collaudati dall’esercito israeliano durante la guerra a Gaza e già venduti ad altri partner quali la Gran Bretagna.
Anche la Cina non fa mistero dell’interesse economico che la lega ad Israele. Durante una visita ufficiale alla controparte israeliana, il ministero della difesa cinese Liang ha sottolineato l’importanza della fiducia e dei risultati acquisiti dopo 19 anni di rapporti diplomatici in nome del pragmatismo. Il ministro Barak gli ha fatto eco sul quotidiano China Daily, augurandosi un proseguo della fruttuosa cooperazione e di migliorare il rapporto strategico tra i due eserciti.
Intanto la cooperazione con gli alleati di vecchia data prosegue al meglio. Proprio alla Fiera Air Show di Parigi, l’Airbus Military, filiale del consorzio europeo Eads, ha firmato un memorandum d’intesa con uno dei giganti dell’industria israeliana, la Israel Aerospace Industries (Iai). Subito dopo, ecco seguire un contratto tra l’europea Airbus e la filiale israeliana Elta Systems per lo sviluppo congiunto e la commercializzazione di un nuovo modello di aereo militare dotato di sistema di comando e allerta all’avanguardia (AEW&C), a cui verrà integrato un sistema radar Aesa prodotto dalla Elta Systems.
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