Smettetela di proteggere i ricchi, fate l'interesse della Nazione

Stupefacente articolo di Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del pianeta, apparso sul New York Times il 14 agosto. <br><br>

Smettetela di proteggere i ricchi, fate l'interesse della Nazione
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19 Agosto 2011 - 16.22


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di Warren Buffett* dal New York Times del 14 agosto

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testo tradotto dallo scrittore Alberto Mario Delogu

I nostri leader hanno chiesto “sacrifici comuni”. Ma quando hanno chiesto, hanno risparmiato me. Ho chiesto ai miei amici mega-ricchi quale tormento li attendesse. Ma neanche loro erano stati sfiorati.

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Mentre i poveri e la classe media combattono per noi in Afghanistan e mentre la maggior parte degli americani lotta per far quadrare i conti, noi mega-ricchi continuiamo a godere di straordinarie agevolazioni fiscali. Alcuni di noi lavorano ogni giorno, gestendo patrimoni che fruttano miliardi, ma ci è consentito di classificare i nostri redditi come “interessi passivi”, tassati ad un vantaggioso 15 per cento. Altri ancora acquistano indici di borsa e li rivendono dopo 10 minuti, e il 60 per cento del loro guadagno è tassato al 15 per cento, come se si trattasse d’investitori a lungo termine.

Queste ed altre benedizioni vengono riversate su di noi da parte dei legislatori di Washington, che sentono il dovere di proteggerci come se fossimo civette maculate o qualche altra specie in via di estinzione. Certo, è bello avere amici nelle alte sfere.

L’anno scorso la mia dichiarazione federale dei redditi – l’imposta sul reddito che ho pagato, così come le imposte sui salari pagati da me e per mio conto – è stata di 6.938.744 dollari. Suona come un sacco di soldi, ma in realtà ho pagato solo il 17,4 per cento del mio reddito imponibile, e ciò è molto meno di quanto paga uno qualunque dei venti collaboratori del mio ufficio, per i quali l’onere fiscale varia dal 33 al 41 per cento, con una media del 36 per cento.

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Per chi fa soldi con i soldi, come alcuni dei miei amici super-ricchi, la percentuale d’imposta potrebbe essere persino inferiore alla mia. Ma se guadagnate soldi da un lavoro, la vostra percentuale sarà sicuramente più alta della mia – e probabilmente di un bel po’.

Per capirne il perché, è necessario esaminare le fonti delle entrate pubbliche. Lo scorso anno circa l’80 per cento di tali entrate proveniva da imposte sul reddito personale e sui salari. I mega-ricchi pagano le tasse sul reddito ad un tasso del 15 per cento sulla maggior parte dei loro guadagni, ma non pagano praticamente nulla come imposte sul salario. Le cose vanno molto diversamente per la classe media: di solito essi ricadono in una fascia compresa tra il 15 ed il 25 per cento d’aliquota sul reddito non salariale, ed in aggiunta vengono colpiti da pesanti imposte sui salari.

Negli anni ‘80 e ‘90 le aliquote fiscali per i ricchi erano di gran lunga superiori, e la mia aliquota era più o meno al centro dello spettro. Secondo una teoria che sento spesso, a quel tempo avrei dovuto dare in escandescenze e mi sarei dovuto rifiutare d’investire a causa delle aliquote fiscali elevate sulle plusvalenze e i dividendi.

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Ma non ho rifiutato, né lo hanno fatto gli altri. Lavoro con gli investitori da sessant’anni e finora non ho mai visto nessuno, neppure quando le aliquote sulle plusvalenze erano del 39,9 per cento come nel 1976-77,, fuggire da un investimento sensato solo per colpa dell’aliquota d’imposta sul potenziale guadagno. La gente investe per far soldi, e le tasse sui guadagni non li hanno mai spaventati. A chi sostiene che un alto carico fiscale nuoce alla creazione di occupazione, vorrei far osservare che tra il 1980 e il 2000 sono stati creati circa 40 milioni di posti di lavoro netti. Sapete bene che cos’è successo da allora in poi: le aliquote fiscali sono calate, e l’occupazione è calata ancora di più.

Dal 1992 l’Irs (l’Agenzia delle entrate statunitense, ndt) ha raccolto i dati dei guadagni dei quattrocento americani che hanno dichiarato il reddito più alto. Nel 1992 i primi quattrocento dichiaravano un imponibile complessivo pari a 16,9 miliardi di dollari e pagavano il 29,2 per cento d’imposte federali. Nel 2008 il reddito complessivo dei primi quattrocento era salito a 90,9 miliardi di dollari – la bellezza di 227,4 milioni di dollari a testa – ma l’aliquota pagata era scesa al 21,5 per cento.

Naturalmente mi riferisco qui solo alle imposte federali sui redditi da capitale, ma potete star sicuri che per i nostri quattrocento l’imposta sul salario è stata irrilevante rispetto al reddito da capitale. In effetti, ben ottantotto di loro, nel 2008, non hanno dichiarato alcun salario, sebbene tutti abbiano dichiarato plusvalenze. Alcuni dei miei confratelli disdegnano il lavoro, ma a tutti piace investire (e devo ammettere che li capisco).

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Conosco bene molti mega-ricchi, ed in generale sono persone assai degne. Amano l’America e sanno apprezzare le opportunità che questo Paese ha offerto loro. Molti di loro hanno aderito alla “Giving Pledge” (“Impegno a Dare”, iniziativa filantropica avviata da Bill Gates e Warren Buffett, ndt), promettendo di donare la maggior parte delle loro ricchezze per cause filantropiche. A molti di loro non dispiacerebbe di dover pagare più tasse, soprattutto ora che molti dei loro concittadini soffrono per davvero.

Dodici membri del Congresso dovranno presto assumere il compito cruciale di riordinare le finanze del nostro Paese. Hanno l’incarico di elaborare un piano che riduca il disavanzo di almeno 1.500 miliardi dollari in dieci anni. È di vitale importanza, tuttavia, che essi si spingano ben oltre questo obiettivo. Gli americani stanno rapidamente perdendo la fiducia nella capacità del Congresso di affrontare i problemi fiscali del nostro Paese. Solo un intervento immediato, concreto e radicale potrà impedire che il dubbio si trasformi in disperazione, e che questa sensazione dia corpo alla realtà.

Il compito dei Dodici è quello di ridimensionare alcune promesse future che neanche un’America ricca potrebbe permettersi di soddisfare. Occorre risparmiare una montagna di soldi. I Dodici dovrebbero poi passare ad occuparsi di redditi. Io lascerei invariate le aliquote per il 99,7 per cento dei contribuenti, e manterrei gli attuali 2 punti percentuali di riduzione del contributo dei lavoratori alle imposte sui salari. Questa riduzione aiuta i poveri e la classe media, che hanno bisogno di tutte le possibili occasioni per tirare il fiato.

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Ma per i contribuenti che guadagnano più di un milione di dollari – nel 2009 ce n’erano 236.883 – alzerei immediatamente le aliquote per la porzione di reddito oltre il milione di dollari, compresi dividendi e plusvalenze. E per coloro che portano a casa dieci milioni o più – ce n’erano 8.274 nel 2009 – suggerirei un ulteriore aumento delle aliquote.

I miei amici sono stati coccolati abbastanza da un Congresso filo-miliardario. È arrivato il momento che il nostro governo cominci a mettere in pratica sul serio i “sacrifici comuni”.

*Presidente e amministratore delegato di Berkshire Hathaway

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