Iraq, truppe d'occupazione tra le polemiche
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Iraq, truppe d'occupazione tra le polemiche

Un’inchiesta svela il caso di un giovane iracheno ucciso dalle torture degli inglesi. Negli Usa è il capo dell’esercito a criticare la decisione di rimanere in Iraq.

Iraq, truppe d'occupazione tra le polemiche
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12 Settembre 2011 - 09.16


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di Emma Mancini

Truppe che restano, truppe che se ne vanno, truppe accusate di violenze contro i civili. L’occupazione militare dell’Iraq prosegue tra le polemiche. E mentre la Gran Bretagna si scandalizza per la morte di un giovane iracheno, ucciso dalle torture dei soldati della Regina, negli Stati Uniti si alzano voci critiche contro la decisione dell’amministrazione statunitense di restare in Iraq e, quindi, di proseguire l’occupazione anche se con un numero ridotto di truppe.
Londra si è svegliata venerdì con i risultati dell’inchiesta pubblica condotta dal giudice William Gage che ha accusato un gruppo di soldati inglesi della morte di un 26enne iracheno nel settembre del 2003. Baha Mousa, receptionist in un hotel e padre di due figli, è stato incappucciato, picchiato e costretto a rimanere in posizioni scomode insieme ad altri nove iracheni, arrestati dal primo Battaglione del Queen’s Lancashire Regiment.

A seguito delle torture e dei pestaggi, del caldo e della mancanza di cibo e acqua, Baha è morto 36 ore dopo l’arresto. Sul suo corpo martoriato, sono state rinvenute 93 diverse ferite, tra cui la frattura delle costole e la rottura del naso. Dopo tre anni, l’inchiesta si è conclusa: diversi soldati sono ritenuti responsabili del suo omicidio, dovuto ad abusi e ad “una violenza gratuita” e non giustificata. Altri membri dell’esercito britannico sono accusati di “mancanza di coraggio morale” per non aver riportato ai superiori quanto accaduto. Omertà e insabbiamento.

In particolare, il soldato Donal Payne è stato indicato come il manovratore dell’intero gruppo: ha utilizzato “metodi particolarmente sgradevoli”, ha picchiato e preso a calci i detenuti per obbligarli a cantare come un coro d’orchestra.

Ma il giudice Gage non si è fermato ai pesci piccoli. Nel risultato della sua inchiesta ha accusato il Ministero della Difesa di “fallimento organizzativo”, di incapacità nell’evitare simili comportamenti e nello stabilire metodi ufficiali di interrogatorio a seguito dell’inizio della guerra in Iraq. La mancanza di una specifica normativa ha provocato, secondo il giudice, l’utilizzo di pratiche “totalmente inaccettabili”
Subito i vertici militari sono corsi a difendersi, limitando l’evento ad uno sparuto gruppo di soldati. L’eccezione e non la regola: il capo dell’esercito, il generale Peter Wall, ha definito la morte del giovane iracheno “un’ombra nera” sulla reputazione delle truppe britanniche. “Le circostanze vergognose della morte di Baha Mousa hanno gettato un’ombra oscura sulla nostra reputazione e ciò non deve ripetersi di nuovo”, aggiungendo che alcuni dei soldati coinvolti sono stati già sospesi dal servizio.

È intervenuto anche il premier David Cameron, che ha definito l’evento “un incidente scioccante e raccapricciante, un abuso che non è in alcun modo tipico dell’esercito britannico, noto per gli standard più elevati”. Insomma, i piani alti si muovono per sgonfiare una polemica che graverebbe pesantemente sul nome dell’esercito e che era già emersa in passato. Nel 2005 sette dei soldati coinvolti nella morte di Mousa erano finiti davanti alla corte marziale, ma sei ne erano usciti puliti. L’unico ad essere punito era stato proprio Donald Payne, riconosciuto colpevole di trattamento disumano di civili e per questo rimasto dietro le sbarre per un anno nel 2007, il primo soldato delle forze armate britanniche punito per un crimine di guerra.

L’anno dopo la sentenza, il Ministero della Difesa aveva risarcito la famiglia del giovane Baha e quelle degli altri detenuti con un totale di 3,2 milioni di euro.

Truppe americane di stanza in Iraq

Problemi di truppe anche Oltreoceano. Mentre l’amministrazione statunitense tenta di trovare un accordo con il governo iracheno per il mantenimento di 20mila truppe dopo il 2011, il nuovo capo dell’esercito Usa critica la volontà di restare con un simile schieramento di forze: troppi stivali in terra irachena potrebbero dare l’impressione di una “occupazione americana”. A sottoscrivere il messaggio per il Congresso è il generale Ray Odierno, comandante delle forze Usa in Iraq fino allo scorso anno.

“Quando ho lasciato l’Iraq un anno fa, ho capito che avremmo dovuto prestare attenzione nel lasciare tante truppe – ha detto Odierno in un meeting a Washington – Più grande è la forza che ci lasciamo alle spalle e più robusta diventa la definizione di ‘forza di occupazione’. Così ci allontaniamo dal motivo per cui siamo lì: aiutarli a proseguire nello sviluppo”. Insomma, attenzione perché i sentimenti anti-americani ribollono, si estendono, si fanno sempre più radicati.

La voce critica di Odierno si è alzata dopo la proposta del Segretario della Difesa Leon Panetta, di incrementare il numero di soldati di stanza in Iraq di altre tremila o quattromila unità, da innalzare ad almeno 10mila secondo altri membri del Congresso. Truppe necessarie soprattutto nel Nord del Paese dove la tensione tra arabi e curdi è esplosa in violenze quasi quotidiane.
Di parere diverso il generale Odierno, secondo il quale gli Stati Uniti non potranno stabilire unilateralmente quante truppe dovranno rimanere in Iraq, ma saranno chiamate a coordinarsi con il governo di Baghdad: “Non dico che tremila o cinquemila truppe siano o meno il numero giusto – ha precisato – Ma viene un momento in cui la presenza Usa diventa controproducente”.

“Ho sentito alcune discussioni, alcuni dire che avremmo bisogno di almeno cinquemila unità da inviare a Nord, a lavorare per la questione arabo-curda – ha concluso il generale americano– Abbiamo fatto molti progressi e e le forze che abbiamo addestrato sarebbero in grado di gestire il conflitto.

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