Tunisia, fine delle proteste in cambio di sicurezza
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Tunisia, fine delle proteste in cambio di sicurezza

Stanchi di una "interminabile" transizione, i tunisini hanno ceduto al compromesso impostogli dal nuovo blocco di potere: rinunciare a protestare in cambio di tranquillità.

Tunisia, fine delle proteste in cambio di sicurezza
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16 Settembre 2011 - 10.48


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di Fabio Merone

La Tunisia é calma. Ancora una volta il colpo azzardato dallo scaltro primo ministro bourghibiano é andato a segno. E se il suo obiettivo politico ed esistenziale era quello di traghettare il paese verso le prime elezioni democratiche della sua storia, ormai nessuno potra’ piu negargli il successo. La classe politica tunisina, ed insieme ad essa tutta la societa’, probabilmente stanca di una “interminabile” transizione, ha finito per cedere al compromesso impostogli dal nuovo blocco di potere. Il patto é chiaro: rinunciare a protestare in cambio di piu’ tranquillita’, benché le modalita’ e la tempistica di questa strategia avessero spinto i molti a dubitare della sua genuinita’.
Ci é mancato infine lo spettacolare annuncio del portavoce del ministero degli Interni al Tg della sera che dichiarava avere avuto notizia da servizi segreti di paesi stranieri che la Tunisia era tra i possibili obiettivi di Al Qaeda. I due giorni precedenti c’erano stati ancora degli scontri (alla periferia ovest di Tunisi e a Hergla nella fascia costiera) ed un tentativo, timido per la verita’, di organizzare una manifestazione a piazza “14 Gennaio”.

Domenica 11 settembre, infine, in seguito a “provocazioni ed epiteti ironici ed offensivi” la polizia ha fatto la guerra con un gruppo di tifosi del “Club Africain” durante una partita di calcio. Un ragazzo é rimasto ucciso per ragioni non precisate. I dettagli, se non la notizia stessa, é stata ancora una volta tenuta sotto silenzio.

Ma Tunisi é rimasta calma. Il 15 settembre riaprono le scuole e le famiglie sono occupate, come ogni anno, nelle grandi spese di inizio anno scolastico. I quartieri popolari tornano a pullulare di bancarelle piene zeppe di materiali scolastici e oggetti vari a prezzi economici e, malgrado gli abituali appelli di stampa e tv sui rischi degli acquisti nei mercati spontanei, le famiglie accorrono per risparmiare.

Le universita’ ed i vari istituti si sono aperti lunedi’. Nella calma. Il ministero degli Interni continua a sciorinare dati su “delinquenti” fermati ed arrestati. Se il governo ce la mette tutta per far sembrare la situazione normale, si vedono di tanto intanto squadre di poliziotti fermarsi nei punti di passaggio dei quartieri popolari a fare controlli. Il ritorno dello Stato!
Ritornando al discorso del primo ministro vari stralci sono stati ripresi dalla stampa in questi giorni e diventati parzialmente oggetto di una riflessione piu’ generale. Tra questi il riferimento all’indiscussa “primazia dello Stato”. In un passaggio Beji Cajed Essebsi tuonava : “non permettero’ a nessuno di mettere in discussione uno stato tre volte millenario”. Per quanto discutibile, la citazione é molto interessante per capirne lo sfondo sociale e politico.

La Tunisia ha fondato la rappresentazione di se stessa, come stato indipendente, sul “mito della modernita”. Primo paese ad aver scritto una costituzione nel mondo arabo; primo in Africa e nel mondo arabo ad avere fondato una associazione per i diritti umani; primo ad aver introdotto una “codice dello statuto personale” (una specie di diritto di famiglia) ed il piu’ avanzato ancora oggi. La Tunisia ha sempre avuto l’orgoglio di essere un paese “piu’ vicino all’Europa che all’Arabia Saudita” , le cui politiche di planning familiare hanno permesso la crescita di una classe media ed un alto livello di istruzione generalizzato (con particolare riferimento alle donne). La Tunisia ha costruito la sua identita’ di paese intorno ad una idea ben radicata di “eccezionalita’” nel panorama arabo. Tutte queste conquiste sono il merito del “modernista”, quasi “visionario”, fondatore dello stato moderno, Habib Bourghiba.

Ma é questa una lettura corretta? Che cosa ha rappresentato la rottura del 14 Gennaio rispetto a questo paradigma?

Una cosa che mi sembra nessun analista abbia ancora messo in evidenza, ma che da quiggiu appare chiarissima, é che questo mito appartiene alla borghesia della capitale e della costa urbanizzata ed occidentalizzata.

Questa vera e propria classe sociale ha odiato di Bourghiba l’ossessivo attaccamento al potere e di Ben Ali la rozzezza e la bulimia nell’appropriazione delle ricchezze del paese. Ma in fondo si é riconosciuta nella visione modernista del primo e nell’approccio tecnocratico del secondo.

Spazzata via una cricca di potere anacronistica e non adatta al livello di evoluzione del Paese, la rivoluzione diventa la logica prosecuzione del percorso di modernizzazione cominciato alla fine del XIX sec.

Questa classe sociale si identifica oggi nei partiti di centro sinistra (PDP, Polo Democratico per la Modernita, Ettakattul) e di centro Desturiano, che si stanno ricomponendo dopo lo scioglimento dell’RCD. Questa classe sociale si era riconosciuta nella propaganda del potere di Ben Ali e non smetteva, con convinzione, di decantare il “paese piu’ moderno del mondo arabo” che cresceva costantemente ad un tasso di sviluppo medio del 5 per cento. L’Ettajdid (ex partito comunista), per esempio, aveva dei membri in parlamento e ricordo quando un deputato mi disse che era difficile osteggiare la politica economica del governo perché era obiettivamente inattaccabile.

Quando il 13 Gennaio Ben Ali si presenta in tv e lancia “le riforme”, convocando un governo di unita’ nazionale chiamando i partiti a parteciparvi, questi ultimi furono i primi a rispondere all’appello. Ovviamente il 14 Gennaio, e la fuga del dittatore, li lascio’ tutti di stucco!

Né il POCT (Partito comunista) né il Nahdha (partito di matrice islamica) si sono mai identificati nel mito del Bourghibismo e dello stato moderno. Per i primi lo Stato indipendente é stato ed é vittima di un sistema economico mondiale condizionato dai centri del capitalismo. Per loro l’indipendenza reale é un processo tutt’altro che completato. Il Paese non é ancora riuscito a costruire una economia nazionale e si trova nel girone del sottosviluppo, condizionato da una economia di dipendenza. Dopo i primi entusiasmi i militanti del POCT hanno incominciato ad eliminare dal loro linguaggio la parola “rivoluzione” considerando lo stato attuale delle cose nelle migliori delle ipotesi come un processo da condizionare per ribaltare il paradigma economico e di classe, senza il quale non c’é rivoluzione né cambiamento reale delle condizioni materiali.

Men che meno il Nahdha si sente portatore di questa tradizione. Anzi!!! Ha odiato il Bourghibismo come i comunisti il nemico di classe. Per essi ha rappresentato e rappresenta la subalternita’ culturale, l’uso della forza per imporre costumi estranei alla societa’. Per loro lo stato moderno si deve fare nel nome di un’identita’ propria che é quella araba e musulmana, di cui bisogna essere fieri. Per il Nahdha non ci sara’ vera rivoluzione finché i tunisini non si saranno appropriati della loro stigmate naturale (Il discorso di Rached Ghannouchi, il leader del movimento, é in continua evoluzione, ma avremo modo di parlarne).

Benché fossero entrambi partiti clandestini durante la dittatura di Ben Ali, ed i soli (tra i partiti di un certo peso) nel panorama politico attuale a poter rivendicare una opposizione al regime integgerrima, a loro volta sono rimasti completamente sorpresi dalla rivoluzione!

Esiste una terza componente fondamentale, senza la comprensione delle quale diventa inspiegabile la lettura del processo attuale.

Sono la massa della popolazione rurale e dei quartieri popolari. Pur non essendo esattamente la stessa cosa e non avendo un progetto di societa’, la rivoluzione li ha trasformati in una classe sociale omogenea. La rivoluzione non li ha colti di sorpresa, perché sono stati loro a farla! Quando si é immolato Mohamed Bouazizi a Sidi Bouzid, per tre giorni e tre notti hanno tenuto sotto scacco migliaia di poliziotti che erano stati dispiegati in una cittadina di circa 50.000 abitanti. Tra di loro sono i giovanissimi a prendere i maggiori rischi ed a sfogare una rabbia che si é fatta voce di tutto un popolo.

Sono i sottoproletari delle citta’, “i cafoni” delle regioni del sud e dell’interno, beduini berberi arabizzati. Disprezzati dalla borghesia illuminata e francesizzante delle citta’, sono stati protagonisti di tutti i momenti storici di rottura del paese, ma non hanno mai partecipato alla gestione del potere. Quando si é trattato di fare i governi entravano di scena i signori della citta’: i “cittadini” (“baldya”).

E’ quello che sta succedendo ancora una volta, dopo la rivoluzione del 14 Gennaio.

Il riflusso rivoluzionario che stiamo vivendo sembra dare conferma al ripetersi ciclico, nella storia del paese, di questo scenario.
E cosi’ il paese sembra essere ritornato calmo. Kamel Jandubi, presidente dell’”Ente indipendente per le elezioni”, ha acquistato sempre piu’ autorevolezza. E la preparazione alle elezioni prosegue da tabella senza nessun intoppo.

Dopo l’annuncio ufficiale delle liste (il dato definitivo é stato corretto da 1700 a 1600), é stato annunciato il divieto, a partire dal 12 settembre, della pubblicita’ elettorale. Nei prossimi giorni si procedera’ per sorteggio alla pubblicazione del calendario di partecipazione dei partiti alle trasmissioni televisive secondo la regola della pars condicio.

Il dibattito pubblico si é focalizzato, invece, sulle competenze che dovra’ assumere la prossima assemblea costituente. I partiti politici si sono divisi tra chi propone un referendum popolare da accompagnare alle elezioni costituenti in cui siano limitati tempi e competenze della prossima assemblea, e tra quelli che vedono, in questa iniziativa, il tentativo di espropriare in anticipo le competenze della prossima assemblea che, in quanto eletta, sola puo’ essere legittimitata a stabilire le competenze.

Ayad Ben Achour, giurista raffinato, nonché presidente e protagonista assoluto di questa fase di transizione, ha proposto un piano di mediazione, un documento in cui tutti i principali partiti e componenti della societa’ stabiliscono consensualmente e sottoscrivono le competenze di tale assemblea.

Le citta’ e le campagne per la prima volta nella storia del paese si erano ricomposte nelle fasi della rivolta. I giovani della borghesia e della classe media cittadina frutto del boom dell’istruzione avevano costruito un ponte con i desereditati delle regioni interiori. Con la loro abilita’ nell’utilizzo dei social network erano riusciti a dare seguito alle sommosse di Kasserine e Sidi Bouzid. I rapper se ne erano fatti i cantori. Sembrava essere nato un nuovo patto sociale che spezzava i clivage tradizionali della storia del paese per farsi movimento di lotta e di rigenerazione della classe dirigente.

Questo corpo informe si era saldato nei movimenti della Casbah I e II in cui agli appelli dei facebookisti rispondevano i collettivi delle localita’ dell’interno che si erano organizzati in seguito ai moti rivoluzionari. Avevano fatto cadere due governi zeppi di elementi di vecchio regime. Sembravano avere la forza di scardinare fino in fondo il blocco di classe che si aggrappava al potere, per non crollare insieme alla dittatura.

Poi é venuto il governo di Beji Caied Essebbsi, forze oscure hanno perpetuato il disordine, ed il movimento é rifluito. Il paese si avvia tranquillamente verso le prime elezioni democratiche della sua storia.

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