“Per costruire la democrazia abbiamo bisogno di un’economia forte”. E’ probabilmente questo il passaggio cruciale della importantissima intervista rilasciata dal ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu, al New York Times. Davutoglu sa benissimo che il suo partito è diventato il primo a dar vita ad un governo ad ispirazione islamica e democratico proprio perché ha interpretato le nuove richieste delle “tigri” anatoliche, affermatisi economicamente in Asia centrale dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Così, annunciando la scelta turca di puntare su un’alleanza strategica con l’Egitto, Davutoglu ha detto che gli investimenti turchi in Egitto saranno enormi, da 1,5 miliardi di dollari saliranno a 5 miliardi di dollari entro due anni e l’interscambio passerà da 3,5 miliardi di dollari a 10 entro il 2015. Che non siano cifre irrealistiche lo dimostra un dato fornito al quotidiano statunitense dal ministro: solo nel giorno della visita di Erdogan al Cairo sono stati firmati contratti per un miliardo di dollari.
“Vogliamo un Egitto forte subito!”, ha scandito il capo della diplomazia di Ankara, specificando che l’alleanza intende stabilizzare l’area che va dal Mar Nero al Sudan. Appare improbabile che dietro le parole di Davutoglu non si debba leggere anche la stipula di un’alleanza militare tra i due paesi. Ma il ministro degli esteri di Erdogan ha assicurato che questo accordo non è contro nessuno, né contro Israele né contro l’Iran./p>
Un nemico però il ministro degli esteri lo ha indicato, il presidente siriano Bashar al-Assad. “E’ un bugiardo, abbiamo passato ore insieme per definire una road map verso la riforma della Siria e poi non ha fatto nulla. Mi sento tradito da lui. Questa è l’illusione degli autocrati. Credono che in pochi giorni controlleranno la situazione. Non oggi, non domani, ma la prossima settimana, il prossimo mese. E questo è un circolo vizioso.” Chissà se qualcuno dei collaboratori di Bashar al-Assad legge il New York Times…