di Massimo Faggiolini
Diceva Karl Kraus che il linguaggio è la madre e non l’ancella del pensiero. Non a caso i discorsi di Benedetto XVI dalla Germania mettono in luce un Joseph Ratzinger in cui la funzione di papa non fa velo alla vocazione del teologo: era già successo a Regensburg nel settembre di cinque anni fa.
Nel suo discorso dal Bundestag di Berlino Benedetto XVI gioca d’attacco, con una critica del positivismo giuridico e di Hans Kelsen, l’antagonista del pensatore giuridico del cattolicesimo romano come “forma politica” (e pensatore del nazismo) Carl Schmitt.
Il presidente del Bundestag, il cattolico Lammert gli ricorda che la storia della Germania è tutta percorsa dalla storia del cristianesimo: il Sacro romano impero, la Riforma, l’Illuminismo teologico della Aufklärung tedesca, il Kulturkampf anticattolico, la Costituzione post-nazista della Germania democristiana, fino al celebre dibattito Habermas-Ratzinger del 2004.
Ma è il parlamento il suo simbolo più alto, che sul massiccio frontone neogreco a fianco della Porta di Brandeburgo reca la scritta “Al popolo tedesco”: una dedica e un monito al tempo stesso.
Nonostante il boicottaggio annunciato da un centinaio di parlamentari di Spd, Verdi e Linke, un papa Benedetto XVI disteso e ironico muove al sorriso il Bundestag quando afferma di non voler fare «propaganda per questo o quel partito politico».
Ma il tedesco del papa è netto e chiaro quando va al centro del discorso, che inizia con una citazione biblica dal Primo libro dei Re: è il passo in cui re Salomone chiede a Dio «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male».
Il papa sceglie la sua prima citazione da quella parte della Bibbia, i Libri dei Re, che sono una storia della decadenza morale e politica del potere.
Il discorso del papa si concentra attorno al rapporto tra potere e diritto, ragione e verità: un potere slegato dalla verità diviene tirannico; un diritto separato dalla vera ragione produce ingiustizia.
Nell’abbracciare un’idea di ragione positivistica separata dalla fede l’umanità perde se stessa; se l’Europa abbraccia questo tipo di ragione, perde se stessa e il suo ruolo.
Torna il tema delle radici cristiane dell’Europa, l’eredità culturale di un continente che Benedetto XVI da sempre (specialmente nel discorso di Regensburg del settembre 2006) vede come il culmine della Kultur cristiana, il luogo in cui si è sviluppata l’idea di dignità della persona umana e di diritto naturale alla luce della fede.
Il percorso geografico del cristianesimo di Benedetto XVI è chiaro: a Gerusalemme l’umanità ha scoperto il Dio della rivelazione biblica; ad Atene si è dato i concetti filosofici per comprendere il carattere non irrazionale della fede; a Roma ha elaborato gli strumenti giuridici per cristianizzare l’Impero romano – un impero che ha provvidenzialmente sposato, in punto di morte, il cristianesimo cattolico romano, subentratogli come erede unico.
L’Impero romano non è morto senza testamento, e finora la chiesa cattolica romana ha esercitato una funzione vicaria come collante storico, giuridico, ideale e filosofico sul Vecchio continente. Dalla sua Germania il papa manda un messaggio all’Europa, con le parole di sant’Agostino: se al potere togli il diritto fondato sulla verità, «che cosa distingue lo stato da una grossa banda di briganti?».
Ad un papa che rivuole indietro re Salomone, la Germania orientale scristianizzata sembra rispondere coi nuovi barbari, i Pirati, il partito degli hacker entrato nel parlamento della città-stato di Berlino alle elezioni di domenica scorsa con un programma che prevede, tra le altre cose, una separazione totale stato-chiese e una secolarizzazione radicale delle istituzioni in Germania.
Negli ultimi decenni Joseph Ratzinger ha reinterpretato la chiesa, da cardinale teologo prima e da papa poi, come “soggetto di verità” (non a caso la Roma vaticana il prossimo anno si prepara a festeggiare il ventesimo anniversario del Catechismo universale più che il cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II).
Ma la chiesa muore o vive come “soggetto di verità” non per fedeltà alle nobili origini Gerusalemme-Atene-Roma, ma per testimonianza autentica ad un messaggio cristiano che deve riformularsi di fronte ad una società pluralista non più egemonizzata né dalla chiesa come istituzione né dal cristianesimo come cultura.