Marocco: 20 Febbraio, rivoluzione da realizzare

Le celebrazioni per l'anniversario del Movimento del 20 Febbraio, sceso in piazza a chiedere la trasformazione della monarchia, la fine della corruzione e diritti per tutti.

Marocco: 20 Febbraio, rivoluzione da realizzare
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23 Febbraio 2012 - 09.30


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di Sara Borrillo

A Rabat, nei sotterranei della sede del principale sindacato nazionale (Umt-Union Marocain du Travail), i giovani del M20F hanno organizzato nello scorso fine settimana un fitto programma di dibattiti, proiezioni, performances teatrali e concerti: la sera del 17 si alternavano pezzi live di Bob Marley e dei Pink Floyd, momenti di musica tradizionale, danze, letture di poesie inneggianti alla liberazione dei prigionieri politici e interventi dei militanti.

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“Abbiamo pensato di festeggiare un anno di attivismo con il festival Resistenza e alternativa, provando a lanciare messaggi di liberazione non soltanto con il discorso della pura rivendicazione politica ma anche con un nuovo modo di concepire la collettività”, ha affermato Louhsine Ijthaoun, tra i protagonisti più maturi del movimento che vede molti giovanissimi tra le sue fila qui nella capitale. “Un anno fa eravamo sostenuti da circa un centinaio di realtà associative e sezioni di partito, mentre oggi ci ritroviamo un po’ più soli, senza l’appoggio della ben organizzata Associazione islamista Giustizia e Spiritualità e con appena una decina di soggetti al nostro fianco. Ma andiamo avanti”, ha continuato Louhsine, “ e proviamo ad attirare nuovo consenso fondendo il linguaggio politico con una produzione culturale diversa e autogestita”.

Il calo della partecipazione è stato evidente. Nella giornata di domenica 19, a Rabat, il corteo in marcia sul breve percorso da Bab ElHad alla Piazza della Posta ha raggiunto al massimo duemila unità, secondo alcuni osservatori. La flessione, i numeri erano ben più elevati nelle precedenti manifestazioni, è dovuta in parte all’apparente accoglimento delle rivendicazioni del Movimento da parte della Monarchia – con la riforma costituzionale del luglio scorso -, in parte al carattere plurale, e dunque frammentato, delle sue forze interne: un ventaglio ampio di esponenti della sinistra radicale, associazioni per i diritti umani, Ong femministe, sindacalisti, studenti, Amazigh, salafiti, islamisti, indipendenti, disoccupati, talvolta anche ultras.

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Aperto da uno striscione raffigurante i ritratti dei “martiri” di un anno di lotte e da un drappo verde con la frase ‘Ash as-shab! ( Viva il popolo!), anche il corteo di quest’anno ha visto al suo interno un panorama composito di fazioni. Accanto ai giovani del 20 Febbraio sfilavano rappresentanti del movimento Amazigh, salafiti – con alcune bandiere nere con su scritto “Non c’è altro Dio all’infuori di Dio” -, donne velate con le immagini dei loro mariti, per lo più islamisti, prigionieri politici. In coda, compatti, c’erano anche i diplomés cheumeurs, i diplomati disoccupati balzati alle cronache – perfino italiane – poiché uno di essi, datosi alle fiamme per protestare contro il mancato impiego nelle istituzioni pubbliche, é deceduto per ustioni corporali.

Se i numeri non sono stati confortanti, il messaggio della piazza è stato forte e chiaro. Urlati a gran voce e senza alcun intervallo, i cori del corteo hanno monopolizzato l’attenzione dello struscio domenicale del Centre Ville. All’ormai classico Karāma, hurryīa, ΄adāla ijtimayīa (Dignità, libertà e giustizia sociale) scandito qui come nella maggior parte dei focolai rivoluzionari dell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) e al più marocchino Mamfakinch (in lingua Dharija: “Non ci arrenderemo“ – www.mamfakinch.com), si sono aggiunti cori di buon compleanno e rivendicazioni per i diritti al lavoro, all’istruzione, alla salute e, oggi ancor più, alla liberazione dei prigionieri politici e alla libertà di espressione. Il destinatario è il Mahzen, il sistema di potere marocchino, cui si continua a chiedere di ascoltare la voce del popolo: “Chi siamo noi? Il popolo! Cosa vogliamo? Giustizia!”, hanno intonato in centinaia, mentre alcune ragazze distribuivano volantini con la sigla del nuovo sito anti-corruzione del movimento ( www.assawt.net).

In maniera ordinata e non violenta, intorno alle 19.00, il corteo di Rabat si è poi disciolto in piccole assemblee disseminate in Avenue Muhammad V, poco lontano dal Parlamento, solito teatro di confronto tra manifestanti e polizia, questa volta grande assente. Lunedì scorso, invece, sempre a Rabat, piccoli momenti di tensione si sono registrati nella Piazza del Comitato Consultativo per i Diritti Umani (CCDH) per lo sgombero di alcuni giovani disoccupati da parte di poliziotti in assetto antisommossa.

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Poco dopo, nella sede del sindacato UMT veniva proiettato il documentario My Mahzen and me (“Il sistema ed io”), girato dal giovane filmaker marocchino residente negli Usa, Nadir Bouhmouch. A seguire, una vera e propria festa di compleanno – con tanto di torta e palloncini- segnalava che la rivoluzione, per come la immaginavano i giovani del 20 Febbraio, non c’è stata. Ma di certo il movimento lascia una traccia nel vissuto e nell’immaginario di migliaia di cittadini. Il suo contributo alla costruzione di una coscienza nazionale fondata su diritti individuali e libertà di espressione non cambierà il sistema, ma ha di certo affermato un nuovo modo di fare e pensare la politica: “I marocchini devono capire che il cambiamento deve partire da noi. Se non ci facciamo portatori delle nostre istanze, nessuno lo farà al nostro posto”, afferma Younes , uno degli attivisti più in vista in My Makhzen and me. Il futuro del movimento per ora è incerto, la situazione nazionale è ben lontana dai risultati attesi dai giovani rivoluzionari. Ma forse non poteva essere il 20 Febbraio il giorno adatto a calcolare gli errori e la poca efficacia della tanto attesa “transizione democratica”. Per ora, qui a Rabat i giovani militanti del 20 Febbraio sono fieri di aver messo una bandierina sul tempo della storia del Marocco. E’ trascorso un anno di militanza e la loro prima candelina sembra voler fare molta più luce, quasi a ricordare uno degli slogan apparsi lungo i cortei, “Il sole splende sul libero pensiero”.

Una leggenda locale narra che la veggente del Palazzo Reale della solida Monarchia nordafricana sia stata virata 4 anni fa per aver previsto oltre alla strage del popolo libico da parte di Gheddafi e alla caduta del sovrano yemenita anche la rivoluzione in Marocco nel mese di febbraio.

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