Dopo la crisi greca che per mesi ha infiammato i mercati, l’Eurozona è chiamata a fare i conti con le convulsioni dell’economia portoghese che, nonostante le misure draconiane messe in atto dal governo di Pedro Passos Coelho, appare sempre più vicina al punto di non ritorno. Alla luce di uno spread che ha superato i 1.200 punti sui bond a dieci anni e i 1.600 punti su quelli a cinque anni, è improbabile che Lisbona possa tornare a finanziarsi sui mercati nel 2013, contrariamente a quanto concordato con la troika formata da Bce, Ue e Fmi che, un anno fa, ha concesso al Portogallo un prestito da 78 miliardi di euro. Perfino un analista solitamente incline alla cautela come Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Bce fino allo scorso novembre, ha dichiarato che per scongiurare il fallimento del Portogallo occorre l’immediata approvazione di un nuovo piano di salvataggio da 100 miliardi di euro.
La calma ostentata da Coelho e dal ministro delle Finanze Vitor Gaspar è contraddetta dai numeri di un quadro economico a tinte fosche: nel 2011 il Pil è sceso dell’1,6 per cento e per il 2012 la Bce prevede un calo del 3,3 per cento, la disoccupazione è salita al 14 per cento con punte di oltre il 35 per cento tra i giovani, mentre a fine anno il rapporto deficit-Pil dovrebbe attestarsi intorno al 110 per cento.
I tagli alla spesa sociale e alle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, l’aumento dell’orario di lavoro, finora hanno prodotto soltanto un crollo dei consumi e un’ondata migratoria verso Angola, Brasile, Mozambico e Macao, ex colonie portoghesi protagoniste di un vero e proprio boom economico. Il Brasile di Dilma Rousseff, impegnato nella realizzazione delle infrastrutture per il Campionato del Mondo di calcio del 2014 e per le Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016, l’anno scorso ha aperto le frontiere a circa 328.000 lavoratori portoghesi, in maggioranza giovani laureati, contro i 275.000 del 2010.
Ancora più estremo il caso dell’Angola, colonia di Lisbona fino al 1975, dove il numero dei permessi rilasciati a lavoratori lusitani ha raggiunto nel 2011 quota 100.000 a fronte dei 20.000 riscontrati nel 2008. Terzo produttore di petrolio del continente africano dopo Nigeria e Algeria, il Paese nei dieci anni dalla fine della guerra civile ha conosciuto una crescita del Pil a due cifre, con punte del 20 per cento tra il 2005 e il 2007.
Lo sviluppo dell’industria degli idrocarburi ha consentito a Luanda di accumulare un surplus commerciale tale da ribaltare i rapporti di forza con l’ex madrepatria, tanto da immergersi in una campagna acquisti senza precedenti tra le aziende del Portogallo strangolato dalla crisi. L’icona del colonizzato che veste i panni del colonizzatore è quella di Isabel Dos Santos, figlia quarantenne dell’inossidabile autocrate José Eduardo Dos Santos, al potere a Luanda dal 1979, inserita dalla rivista americana “Forbes” in testa alla classifica delle donne più ricche dell’Africa, con interessi che spaziano dalle telecomunicazioni all’energia, dai diamanti all’alta finanza, dalle costruzioni alla vendita al dettaglio.
Dopo i crolli bancari del 2008, seguiti alla crisi dei mutui subprime, la Dos Santos ha allargato la sua sfera d’azione agli istituti di credito lusitani, entrando a far parte del consiglio d’amministrazione del Banco Portugues de Investimento e del Banco de Espirito Santo e acquisendo posizioni azionarie di rilievo nel Banco Portugues de Noegocios e del Banco BIC Portugues. Tra il 2008 e il 2009 la Kento Holding, di cui Isabel è proprietaria, è diventata azionista del colosso dell’elettricità Energias de Portugal, di Portugal Telecom e di ZON Multimedia, primo operatore nel mercato della pay tv portoghese e secondo provider internet del Paese. Attraverso il controllo della compagnia petrolifera angolana Sonangol, la manager ha stretto i rapporti con il gigante degli idrocarburi Galp Energia, di cui in queste ore sta trattando l’acquisto di parte della quota in mano all’Eni.
L’emergenza economica rende ancora più urgente il processo di privatizzazione delle aziende statali previsto dal piano di salvataggio concordato con la troika: nei prossimi giorni Coelho deciderà le modalità con le quali mettere sul mercato una quota consistente di Portugal Telecom, la più grande azienda di telecomunicazioni del Paese, ed è prevedibile che Isabel Dos Santos stia già accarezzando l’idea di diventarne azionista di maggioranza.
Ma l’abbraccio con Luanda sta creando non pochi problemi a Lisbona, soprattutto su un tema delicato come la libertà di stampa. Il popolare programma radiofonico di approfondimento “Este Tempo” è stato sospeso a tempo indeterminato dopo che il giornalista Pedro Rosa Mendes aveva tacciato di propaganda e mistificazione la diretta messa in onda dal primo canale della tv di Stato per celebrare i legami tra i due Paesi.
