Massacri e guerre ovunque l'India ora è la più armata
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Massacri e guerre ovunque l'India ora è la più armata

Crisi globale ma l'industria bellica cresce. L'India si arma più della Cina, nel Mediterraneo delle rivolte arabe la primavera non disarma la Siria. [Francesca Marretta]

Massacri e guerre ovunque l'India ora è la più armata
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20 Marzo 2012 - 10.12


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da Londra

Francesca Marretta

Crisi? C’è, ma nel settore degli armamenti non si vede. Pare proprio che quando l’economia globale va male l’industria bellica proceda a gonfie vele. Almeno questo si capisce leggendo dati contenuti in un rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca per la pace con sede a Stoccolma (Sipri), secondo cui il commercio delle armi è cresciuto di circa un quarto negli ultimi quattro anni. I migliori affari si fanno in oriente.

L’India, un paese emergente con un Pil in crescita dell’8,5% nel 2011, ma in cui persistono enormi sacche di povertà, è oggi il primo importatore mondiale di armi. Delhi importa oggi il doppio delle armi importate dalla Cina, che essendo ormai in grado di produrre, spende meno per gli acquisti all’estero ed è diventato esportare. L’India, come gli altri paesi che investono per armarsi, intende a sua volta sviluppare capacità di produzione nel settore. E’ vero che secondo la rivista Forbes questo paese vanta il più alto numero di miliardari rispetto al resto dell’Asia e che secondo una ricerca del Consiglio Nazionale di ricerca economica applicata (Ncaer) già nel 2005 nel paese si contavano almeno cinque milioni di Paperon di Paperoni e oltre 60 milioni di benestanti, in continua crescita, quindi oggi stimabili attorno agli 80 milioni. Ma è anche vero che secondo l’Organizzazione internazionale Save the Children, ancora oggi in India un numero impressionante di bambini vive in condizioni di povertà inaccettabile. Sono 5000 i bambini che in India rischiano di morire ogni giorno per cause prevenibili e curabili. I soldi per far fronte a questa emergenza non si trovano, quelli per le armi, sì.

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Altri principali importatori di materiale bellico negli ultimi cinque anni sono stati Corea del Sud, Singapore e Pakistan, il nemico storico dell’India. Sull’atavica tensione di confine tra Delhi e Islamabad capitalizza Beijing. La Cina ha trovato nel Pakistan un acquirente sicuro e sempre più esigente.

Quanto ai flussi, il traffico di armi mantiene un trend costante, anche di fronte a cambiamenti epocali, come la primavera araba. La caduta di Hosni Mubarak in Egitto nel 2011, per esempio, non ha cambiato di una virgola le esportazioni Usa di armi nel paese. Questo nonostante il fatto che i Fratelli Musulmani, perseguitati durante il passato regime, siano oggi la prima forza politica egiziana. Una ragione potrebbe essere che a capo della giunta militare del Cairo siede attualmente l’ex ministro della Difesa di Mubarak, il che significa che per un certo tipo di affari gli interlocutori restano gli stessi.

Altro esempio, il bagno di sangue in una Siria, paese che scivola inesorabilmente verso la guerra civile, non ha cambiato di un millimetro la politica di esportazione di armi da parte di Mosca. Del resto, ora che l’esercito dei fuoriusciti sunniti dall’esercito di Damasco che si oppone ad Assad ha pure ottenuto un concreto e atteso appoggio saudita per armarsi, si prefigura un incremento delle vendite di settore.

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In pole position in quanto a esportazione globale di strumenti di morte si confermano gli Stati Uniti. Le armi fanno morti anche tra i civili? Che domande da fare in tempi di crisi. Se almeno un settore tira, tanto vale insistere, nonostante gli effetti collaterali. Come si dice, business is business.

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