Sembra quasi strangolato, intrappolato nella rete di disordini e sconvolgimenti avvenuti nell’ultimo anno in Medio Oriente. La flessione economica del Paese dei Cedri si registra in tutti i campi, anche quelli dell’edilizia e del turismo, fondamenta del settore. E con ciò l’inflazione sale costantemente, raggiungendo nel 2011 il 5,7%. Usando e riadattando un piacevole gioco di parole – ripreso da uno spot pubblicitario di qualche anno fa – non si parla più di LebanOn, bensì di LebanOff.
L’economia è ferma. La gente ha paura della guerra, della possibilità che la crisi dalla Siria si possa trasferire anche in Libano, e non spende. Meglio conservare liquidità per una possibile fuga o per cause più importanti e vitali che quelle dello shopping e della bella vita. Insomma, un netto taglio alla cultura del “superfluo”. Ma chi di questo “superfluo” ci viveva, ora non naviga più in ottime acque. Da decenni, la storia e l’economia di Libano e Siria sono strettamente correlate. Una crisi in un paese ha necessariamente ripercussioni sull’altro. Parlando in termini pratici, ciò che adesso viene a mancare è la regolare importazione di beni alimentari provenienti – appunto – dalla Siria. Questa mancanza si ripercuote sulla popolazione, facendo arrivare i prezzi delle vivande alle stelle.
Come se non bastasse, circa il 90% del commercio libanese verso il Golfo si basa su esportazioni via terra attraverso la Siria, cosa che al giorno d’oggi è diventata di difficile realizzazione. Il governo siriano ha studiato alcune “rotte sicure” ma nella pratica, oggi in Libano è difficile trovare anche chi abbia il coraggio di mettersi alla guida di un autocarro ed attraversare le regioni interessate dal conflitto. Numerosi casi di saccheggio e rapina sono stati registrati – infatti – negli ultimi mesi. L’altra rotta, quella che portava all’Egitto dell’ex presidente Hosni Mubarak, principale destinazione dell’esportazione dei prodotti agricoli libanesi, ha diminuito i suoi canali in una percentuale che supera il 30%.
Ad esempio, l’Egitto è il principale mercato di sbocco della produzione di mele del Libano. I ritardi nelle procedure di export al confine egiziano nello scorso 2011 hanno comportato che 8.000 tonnellate di mele siano rimaste in stock. Nel 2010 il valore delle esportazioni di mele verso l’Egitto ha avuto un valore di 13 milioni di dollari con un peso del 74% sul totale esportato. In pratica, circa 4 miliardi di dollari andati a male solo per questo business.
Il settore che maggiormente soffre è però, senza alcun dubbio, quello turistico. Questo, che da solo rappresenta circa il 20% degli introiti del paese, ha registrato nell’ultimo anno un calo di poco inferiore al 30%. I flussi turistici provenienti dai paesi del Golfo, principalmente Iran e Iraq e dagli Emirati arabi, compivano i loro spostamenti per arrivare in Libano via terra, attraversando la Siria, cosa resa impossibile oggi dai disordini nel paese. L’altra parte del turismo, quello proveniente dall’Europa è assolutamente bloccato. I pacchetti proposti dalle varie agenzie di viaggio comprendevano di solito, insieme ad una visita alla capitale libanese, escursioni in Siria ed in Giordania. Per ovvi motivi, anche questo mercato per il momento è del tutto fermo.
Oltre quello bancario, l’unico che continua nonostante i disordini ad essere stabile, il settore su cui regge l’apparato economico libanese è l’edilizia. Questo ha subito nell’ultimo un rallentamento nella concessione dei premessi di costruzione (+ 2% nel secondo semestre 2011 contro il +23% nel 2010) cui si é coniugata una flessione marcata delle vendite immobiliari (circa 6,03 miliardi di dollari), che sono risultate in calo del 16,58% nei primi nove mesi del 2011, rispetto al corrispondente periodo del 2010. Numeri e percentuali alte che si riflettono sulla manodopera creando una enorme ondata di licenziamenti in questo inizio di 2012.
Comunque sia, nonostante il quadro non di certo positivo appena descritto, la Primavera Araba non ha portato in Libano solo problemi da risolvere, crisi economica e profughi disperati da ospitare. Come sempre, c’è un altro volto della medaglia. C’è anche chi ci guadagna, e bene. Data la destabilizzazione pressappoco di tutto il mondo arabo, quella che è (o era) considerata “la Svizzera del Medio Oriente” ha visto il numero di studenti provenienti da tutto il mondo incrementarsi vertiginosamente. Dall’ Egitto, dalla Tunisia, dallo Yemen, dalla Libia, dal Bahrain ed appunto dalla vicina Siria, sono accorsi nell’unica capitale mediorientale ancora stabile un numero incredibile di cittadini europei che tentano, per passione o per studio, di apprendere la lingua araba.
Dal 2009 ad oggi Beirut ha visto la popolazione straniera in essa residente aumentare del 50%. Il Libano, centro fondamentale della diffusione delle notizie, ha visto moltiplicarsi anche il numero di giornalisti freelance che da Beirut scrivono ed inviano notizie sulla situazione siriana. Tutto ciò è stato però positivo soprattutto, o meglio, esclusivamente per i ricchi proprietari di scuole ed appartamenti della capitale (gli affitti a Beirut hanno subito un incremento del 100% negli ultimi 3 anni) che continuano così ad aumentare i loro capitali, allargando sempre più la forbice che li separa dalla grande parte della popolazione che vive ancora in condizioni di povertà nelle periferie delle grandi città e nelle desolate campagne delle zone montuose.