Afghanistan: la pace sempre più lontana

Chi c'è dietro l'omicidio di Arsala Rahmani - membro dell'alto consiglio di pace? I talebani si chiamano fuori da ogni responsabilità. [Francesca Marretta]

Afghanistan: la pace sempre più lontana
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13 Maggio 2012 - 20.15


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da Londra

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Francesca Marretta

Arsala Rahmani, esponente di punta dell’Alto Consiglio di Pace afgano (Hcp) e uomo di fiducia di Hamid Karzai, è stato ucciso stamattina a Kabul. Un colpo d’arma da fuoco gli ha trafitto un braccio per conficcarsi nel cuore. L’assassino, che è riuscito a dileguarsi, ha sparato da una Toyota Corolla affiancatasi alla vettura su cui viaggiava Rahmani. La sua è la seconda testa che rotola ai vertici dell’istituzione creta due anni fa da Karzai per avviare negoziati di pace tra Stato afgano e talebani. A settembre scorso era stato eliminato con un attentato suicida l’ex presidente afghano Rabbani, altro alto esponente dei 70 componenti dell’Alto Consiglio di Pace.

Per Karzai, Rahmani, ex ministro dell’Istruzione ai tempi del governo talebano, rientrato in Afghanistan dal Pakistan nel 2005, avendo scelto la via del dialogo dopo l’invasione Usa, era «un negoziatore chiave» con l’insurrezione talebana. La sua fama di moderato e i buoni uffici con la Presidenza afgana lo avevano portato al Senato per tre legislature. L’anno scorso il suo nome è stato riabilitato in ambito di Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la cancellazione dalla Black-list in cui era finito per il suo passato di leader talebano.

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Karzai ha definito l’omicidio Rahmani un «atto terroristico» che prova una volta di più come «i nemici dell’Afghanistan temono il ritorno della pace nel Paese». Molti civili afgani, da Mazar a Kandahar, pensano però che anche la presenza di signori della guerra tollerati dall’attuale governo non sia d’aiuto al raggiungimento della pace. Corruzione endemica, elezioni farsa e assenza di un sistema giudiziario degno di questo nome, sono poi altri elementi che confliggono con la sconfitta dell’insurrezione talebana.

La leadership dei Talebani afgana si è chiamata fuori da ogni responsabilità per la morte di Rahmani, cogliendo contemporaneamente l’occasione per sottolineare come la sua morte non cambi proprio nulla nelle attuali relazioni con Karzai, dato che le attività dell’Alto consiglio di pace non hanno portato a nessun risultato di rilievo. Basti ricordare i colloqui segreti sponsorizzati dall’Amministrazione Usa per aprire il tanto discusso ufficio dei talebani “buoni” in Qatar. La montagna che partorisce il topolino. Rahmani era tuttavia convinto di poter addomesticare i talebani più estremisti, nonostante a 68 anni non fosse che l’ombra del capo mujaheddin che combatté i sovietici negli anni ’80.

Come per l’assassinio di Rabbani, non si può escludere una pista pakistana in quest’ultimo attentato. Islamabad ha messo le mani avanti condannando con fermezza l’omicidio, ma il fatto che l’Isi (servizi segreti pakistani) abbia sempre fatto il doppio gioco in Afghanistan non è un segreto per nessuno.

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L’omicidio di Rahmani coincide con l’annuncio della terza fase del trasferimento della sicurezza dall’Isaf (la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza sotto comando Nato) alle forze armate afgane (il passaggio di consegne ora è allargato alle province di Parwan, Kapisa e Uruzgan). Se per il 2014, anno in cui è previsto il ritiro delle forze straniere, il livello di stabilità e sicurezza in Afghanistan resta ai livelli attuali, non basterà trovare un sostituto di Rahmani per evitare che le prossime elezioni si trasformino in un bagno di sangue.

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