In Pakistan la censura ha colpito ancora. Questa volta a subirne gli effetti è stato Twitter. Il blocco del social network è durato 12 ore, poi il governo ha fatto ripartire il sito, senza fornire alcuna spiegazione. Sulla decisione però le autorità pachistane erano state chiare: l’accusa era di aver lasciato circolare, senza adottare contromisure, “contenuti blasfemi” irriverenti nei confronti di Maometto, tali da turbare l’opinione pubblica e minacciare la serenità del paese.
L’iniziativa è stata decisa dal ministero delle Tecnologie per l’Informazione (Mit) che ha dato ordine all’Authority pachistana per le telecomunicazioni (Pta) di bloccare immediatamente il microblogging, punendo così i sei milioni di utenti pachistani, fra cui anche il ministro dell’Interno, Rehman Malik, vero e proprio fanatico dei cinguiettii. Il ministero ha spiegato che la decisione è stata presa perché Twitter, “nonostante i numerosi avvertimenti inviati al riguardo, non ha mai fornito risposte”.
A quanto è emerso la goccia che ha fatto traboccare il vaso é stato il diniego da parte del social network di impedire la diffusione di caricature riguardanti il profeta Maometto, una questione che già in passato aveva spinto la magistratura pachistana a intervenire. Due anni fa, infatti, nella seconda metà di maggio 2010, Twitter fu oscurato per una decina di giorni, insieme a Facebook e Youtube, dopo una sentenza dell’Alta Corte di Lahore, sempre per le offese rappresentate da una gara di caricature riguardanti la figura di Maometto.