La destra Usa cavalca l'odio per lo Stato
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La destra Usa cavalca l'odio per lo Stato

La nuova destra americana conquista consensi grazie al disprezzo per i dipendenti pubblici e i sindacati. Pessima aria per Obama in vista del voto.

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11 Giugno 2012 - 12.08


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di Guido Moltedo

I tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici non li hanno decisi i governanti ma i cittadini, usando il loro voto come una scure micidiale e spietata. È questo innanzitutto il clamoroso dato politico e sociale, ancor prima che economico, su cui riflettere, anche qui in Italia e in Europa, dopo l’esito dei referendum che si sono svolti martedì scorso in due grandi città americane, San Diego e San José.
Con il 66 per cento dei voti a San Diego, la seconda città della California e l’ottava degli Usa, e con il 70 per cento a San José, la terza città californiana e la decima americana, gli elettori si sono dichiarati favorevoli a una riduzione consistente dei benefici pensionistici goduti dai dipendenti comunali, compresi quelli attualmente in servizio. San Diego è una città repubblicana, San José, la capitale di Silicon Valley, è democratica. Altri comuni, altri stati dell’Unione, rossi o blu, conservatori o progressisti, si accingono a seguire l’esempio californiano.

Anche la Chicago di Obama, la città ora guidata dal suo amico ed ex-stratega Rahm Emanuel, è su quella strada. E il governatore della California, l’ex-hippie Jerry Brown, osserva che «il voto di San José, che è una città più liberal di tutta la California nel suo complesso, è un potentissimo segnale dell’urgenza imperativa della riforma pensionistica». L’aria che tira è tale che a Providence, nel Rhode Island, i leader sindacali giocano d’anticipo, chiedendo ai loro iscritti di ratificare un accordo siglato con il sindaco Angel Taveras in virtù del quale sarebbero sospesi gli aumenti legati all’incremento del costo della vita (la scala mobile) a favore dei lavoratori pubblici già in pensione.

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La notizia dei due referendum non ha avuto l’eco che meritava, perché sovrastata da quella delle elezioni anticipate in Wisconsin, che hanno visto il governatore sfiduciato Scott Walker tornare in sella con una secca vittoria sullo sfidante democratico Tom Barrett, beniamino delle Union della funzione pubblica. È stato un voto che va nello stesso senso di quelli di San Diego e San José: una netta ripulsa dei sindacati, del loro ruolo, nel settore pubblico, l’unico dove sono ancora forti, dopo essere stati ridimensionati, se non proprio messi alle corde, nel settore privato.

Nel Wisconsin, al centro della campagna elettorale c’era la rappresentanza dei lavoratori pubblici da parte dei sindacati e la loro funzione nella contrattazione collettiva, diritti cancellati da Walker. C’è una sorta di invidia sociale in questa ostilità crescente verso gli statali e i comunali, compresi anche quei lavoratori pubblici “graditi” all’americano medio, come i pompieri e i poliziotti, però “colpevoli” di poter andare in pensione dopo soli trent’anni di lavoro con il novanta per cento del salario. È un rancore basato sulla credenza che i loro trattamenti siano migliori, che abbiano più diritti, e che insomma siano dei privilegiati rispetto ai loro colleghi nel privato. Invece di battersi, eventualmente, per ottenere gli stessi trattamenti, si precipita in un’autolesionistica corsa al ribasso, pretendendo che siano ridimensionati diritti già acquisti da colleghi lavoratori ritenuti più protetti.

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Questo meccanismo scatta anche perché si è costruita e dilatata una sorta di leggenda metropolitana, secondo cui i costi esorbitanti degli accantonamenti per le pensioni hanno ridotto o paralizzato ogni altra attività amministrativa da parte dei comuni e degli stati. A San José non riescono ad aprire quattro nuove biblioteche. Non c’è manutenzione delle strade. Ridotto l’orario dei centri ricreativi. A San Diego devono chiudere a turno le stazioni dei vigili del fuoco. Le casse sono vuote. Perché? A causa del potere accumulato dai sindacati, dicono gli elettori di San Diego e San José. Non sarà piuttosto perché molti investimenti, compresi quelli basati sugli accantonamenti pensionistici, sono finiti nella bolla finanziaria?

Il vento che soffia dal Wisconsin e dalla California non gonfia certo le vele di Barack Obama nella sua corsa verso la Casa Bianca. Giustamente, dal loro punto di vista, Mitt Romney e i repubblicani vedono nella riconferma di un paladino dei Tea Party come Scott Walker la sconfessione di una visione “statalista” dell’economia come quella che attribuiscono al presidente democratico e che fa somigliare l’America all’invisa Europa, considerata per giunta la causa (e non la vittima!) dei guai economici e finanziari americani. Fa fatica Obama a ribattere e finisce sullo stesso terreno. Tenta di rovesciare l’accusa, facendosi dare man forte da Bill Clinton che arriva ad accusare Romney di adottare quelle politiche di austerità e contenimento della spesa pubblica che, secondo l’ex-presidente, stanno massacrando il Vecchio continente.

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In questo scambiarsi l’accusa di essere «troppo europeo», come sintetizza BusinessWeek, c’è poi tutto il carico emozionale di una visione degli alleati d’Oltreatlantico come di privilegiati che si godono i loro benefici a carico dei contribuenti americani, i quali – lo ricordava Romney qualche giorno fa proprio a San José – si devono assumere l’onere e le spese della difesa collettiva dell’Occidente, mentre l’Europa taglia i suoi arsenali pur di conservare il suo assistenzialismo sprecone.

Insomma, si sta accumulando, in questo scorcio cruciale della campagna presidenziale americana, preparatorio dello scontro finale, un bel po’ di veleno sociale, che non aiuta a risolvere i complicati problemi della crisi economica, ma alimenta una conflittualità all’interno dell’America e tra l’America e l’Europa, che avrà come unico effetto l’annacquamento o perfino l’annullamento di importanti conquiste sociali. Prima al di là dell’Atlantico. Poi di qua.

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