C’è forte preoccupazione per la tenuta democratica della Romania. Anche dopo il voto del referendum, convocato per chiedere la destituzione del presidente conservatore Traian Basescu, che scampa il pericolo e resta in sella. Il governo di centro sinistra, guidato Victor Ponta, che ha tentato l’impeachement contro Basescu, accusandolo di aver violato la costituzione, avocando a sé poteri e prerogative non sue, oltre che di aver impoverito il Paese, promuovendo misure economiche pesanti anti-crisi, imposte alla Romania in accordo con Fmi e Ue.
Ma il referendum promosso dalle forze politiche vicine al governo di centro-sinistra, non ha raggiunto il quorum, nonostante il ritardo di un’ora nella chiusura dei seggi elettorali. L’affluenza, a urne chiuse, è stata del 45,92%, dei poco più di 18 milioni di elettori del paese. Consultazione non valida quindi e Basescu può riprendere la sua poltrona nella presidenza della Repubblica. “I rumeni hanno respinto il tentativo di colpo di stato organizzato dai 256 parlamentari guidati da Victor Ponta e Crin Antonescu”, ha detto Basescu.
Secondo gli osservatori i referendum è stato il punto più alto di un gigantesco scontro tra poteri nella Romania postcomunista. Scontro politico e istituzionale senza precedenti, quello che si sta consumando nel paese. Questa crisi, infatti, è considerata la più grave dalla caduta del regime comunista di Nicolae Ceausescu nel 1989.
Lo scorso 6 luglio il presidente Basescu era stato destituito con un voto del parlamento e quattrogiorni più tardi il capo dello stato aveva trasmesso, in attesa del referendum, i suoi poteri al socialdemocratico presidente del Senato Crin Antonescu. Se la consultazione popolare avesse confermato la decisione del parlamento, la Romania, sarebe andata alle elezioni presidenziali entro 90 giorni. E per novembre prossimo, invece, sono previste nuove elezioni legislative.
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