Dal paese degli eccessi arriva l’ultima sceneggiata in tema di diritti. Dan Cathy, proprietario della catena Chick-fil-A, un fast food specializzato in sandwich di pollo che conta 1.610 punti di ristorazione negli Usa, si è schierato, e non è la prima volta, contro i matrimoni gay in un’intervista rilasciata a una rivista confessionale, The Baptist Press.
La sua dichiarazione ha suscitato un vespaio di polemiche da parte delle associazione gay e addirittura la minaccia, da parte di alcuni sindaci “liberal”, di chiudere i punti di ristoro di Cathy nelle città da loro amministrate.
La controffensiva conservatrice è arrivata in massa mercoledì scorso con la «giornata della gratitudine per Chick-fil-A»: in prima fila l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee e Rick Santorum seguiti da una folla di cittadini della destra confessionalista hanno preso d’assalto i fast food della catena (che ha raggiunto incassi record) per mostrare solidarietà al suo proprietario e difendere il diritto di opinione.
Anatemi e pagliacciate sviano solo dal problema reale. Cathy ha tutto il diritto di pensare ciò che vuole, ma probabilmente non ha lo stesso diritto di porlo come marchio pubblicitario del suo cibo spazzatura (“God hates fags”, “Dio odia i gay”). Non era meglio fermarsi a questo aspetto della vicenda, che nel paese della libertà – e quindi necessariamente del rispetto – diventa un’inaccettabile contraddizione?
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