La prima giornata della convention democratica di Charlotte si è chiusa, quando in Italia era già quasi l’alba, con un appello accorato e deciso agli elettori da parte di Michelle Obama. «Ridate fiducia a Barack Obama: è uno che crede nel sogno americano perché l’ha vissuto, che cerca di realizzarlo nonostante tutte le difficoltà», ha detto dal palco la forse lady. Michelle non ha pronunciato una sola critica nei confronti degli avversari politici del marito, a differenza degli oratori prima di lei, che avevano attaccato a testa bassa il partito repubblicano e la ricetta sociale di Mitt Romney e del suo vice, Paul Ryan. «L’America ha ancora bisogno di Barack: non ve lo dico da “first lady” o da moglie, lo dico da madre. Serve per il futuro dei miei e dei vostri figli», le sue parole per i delegati e per tutti gli americani.
Gli strateghi della campagna di Obama le avevamo chiesto di usare tutto il suo calore umano e tutta la sua immensa popolarità per riconnettere con la gente un presidente il cui rapporto con gli americani si è, invece, alquanto deteriorato. Colpa delle difficoltà economia e degli atteggiamenti professorali che il leader democratico tende ad assumere quando viene attaccato. E lei è stata all’altezza: «Ho visto mio marito nei momenti di trionfo e in momenti difficili che non avrei mai immaginato. E vi assicuro che quell’uomo non è cambiato, è la stessa persona che avete scelto quattro anni fa. La presidenza non ti cambia: rivela chi sei veramente. E lui, come ha sempre fatto la sua famiglia – sua nonna o mio padre che andava a lavorare con la sclerosi multipla – è pronto a rimboccarsi le maniche per cercare di tirarci fuori dalla crisi. Abbiamo ancora bisogno di lui».
Così ieri a Charlotte, in North Carolina, i democratici hanno inaugurato una kermesse politica alla quale hanno cercato di dare il sapore della festa popolare. Eventi, dibattiti e musica ovunque in città, controlli di sicurezza leggeri, mentre nella Time Warner Cable Arena gli “stati generali” della sinistra sono stati aperti dalla benedizione di un sacerdote greco ortodosso. Subito dopo, la cerimonia del giuramento sulla bandiera a stelle e strisce è stata affidata a un gruppo di bambini di terza elementare, mentre a cantare l’inno degli Stati Uniti è stata Amber Riley, giovanissima attrice della commedia musicale televisiva a puntate “Glee”. Poi è cominciata la sfilata degli oratori: fautori della libertà di coscienza sull’aborto, veterani che hanno perso gli arti in combattimento in Iraq e Afghanistan, governatori, il sindaco di Chicago, Rahm Emanuel. E poi il sindaco di San Antonio, Julian Castro al quale il partito ha affidato il “keynote speech”, il discorso di indirizzi politico della convenzione: la prima volta in cui questo ruolo è stato affidato ad un ispanico.
Castro ha raccontato la sua storia di nipote di immigrati, ha esaltato con toni un po’ enfatici il bilancio politico della presidenza Obama, e poi ha preso di petto il candidato repubblicano e la sua linea economica: “L’hanno chiamata in tutti i modi, tempo fa era la “supply side”, la politica dell’offerta, adesso è la Romney-Ryan. In ogni caso sono teorie che sono state sperimentate. Con risultati fallimentari. Errori che sono costati cari ai ceti medi, a voi. Adesso basta”. Ma l’attacco più efficace della serata nei confronti del candidato repubblicano è venuto da un filmato nel quale è stata rievocata la figura di Ted Kennedy, scomparso un anno fa. In mezzo, uno spezzone in bianco e nero di un dibattito del 1994 tra lo stesso Kennedy e Romney (si sfidavano per un seggio al Senato) con quest’ultimo, oggi antiabortista, che allora si diceva totalmente a favore della libertà di scelta delle donne: “Credo che l’aborto dovrebbe essere una pratica sicura e legale in questo Paese”. E la replica ironica di Kennedy, che già allora si era segnalato per repentini cambi d’opinione: “Forse, più che “pro choiche”, sei uno a “scelta multipla””.