Nel Mali, splendido e tormentato paese dell’area sahariana e sub sahariana, l’integralismo islamico dilaga. Già a maggioranza musulmana (prevalentemente sunniti), il paese ha vissuto un recente colpo di stato che ha deposto il presidente Amadou Toumani Touré, costretto alla fuga, e ha portato la minoranza Touareg, in parte affiliata ad Al Qaeda, a dichiarare unilateralmente l’indipendenza della parte settentrionale del paese, instaurando un regime fondato sulla sharia; peraltro la loro furia iconoclasta mette a rischio le poche opere architettoniche di pregio del paese, come la famosa moschea di fango di Djenne.
Ora l’agenzia France24 riporta di come a Toumbuctu adesso le donne sono costrette a indossare un velo nero per evitare di essere frustate, mutilate ed incarcerate. I due gruppi armati Ansar Dine e Mujao hanno iniziato ad aprile, dopo aver preso il controllo del territorio, ad applicare la legge islamica, che include la lapidazione e l’amputazione degli arti: il 16 settembre scorso, riporta France24, si è avuta la prima sentenza di amputazione di una mano ai danni di un uomo sospettato di furto. Una donna invece è stata costretta a partorire sul marciapiede perché non portava il velo e per questo le è stato impedito l’accesso all’ospedale. Le donne inoltre non possono uscire di casa dopo le 11 di sera (gli integralisti pattugliano le strade) e su quelle di loro che disobbediranno pende la minaccia del taglio delle orecchie.
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