Sangue in Tunisia: la Primavera araba ad una svolta?
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Sangue in Tunisia: la Primavera araba ad una svolta?

L'assassinio del leader dell'opposizione tunisina Chokri Belaid ripropone la contraddizione delle società arabe, al bivio fra laicità e integralismo.

Sangue in Tunisia: la Primavera araba ad una svolta?
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8 Febbraio 2013 - 08.27


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Qualcuno ha paragonato, non senza qualche ragione, l’uccisione del leader dell’opposizione tunisina Chokri Belaid all’assassinio di Giacomo Matteotti. L’analogia risulta indubbiamente suggestiva: in entrambi i casi un regime ancora in cantiere – oggi a Tunisi quello islamista, nel 1924 in Italia quello fascista – gioca la carta del terrorismo contro chi si mette di traverso.
Attivista in difesa dei diritti umani, Belaid, che si batteva per una Tunisia laica, era da tempo nel mirino degli squadristi della sedicente Lega per la protezione della rivoluzione, emanazione del partito di governo Ennadha.

Il burnous dell’assassino che ha sparato è qualcosa di più di un espediente per celare il volto: dietro l’abito tradizionale e sotto il cappuccio a punta che nasconde il viso, in voga nelle campagne reazionarie e bigotte, c’è la Tunisia espressa dal premier Hamadi Jebali e, forse, un’efficace metafora del tentativo di chiusura reazionaria della cosiddetta Primavera araba.

La dittatura soft dell’egiziano Morsi in Egitto e dei suoi Fratelli musulmani, l’attivismo anti-occidentale dei gruppi islamisti vicino ad Al Qaeda nella Libia del dopo Gheddafi e ora la spericolata forzatura tunisina sembrerebbero provare che i movimenti di massa che hanno portato alla rapida destituzione di patriarchi pluridecennali e ormai impresentabili, lungi dal favorire l’avvio di processi democratici, come auspicato soprattutto dalle nostre parti, hanno aperto la strada a nuove costituzioni fondate sulla Sharia.

Una deriva ineluttabile? Gli scontri a New Cairo e nelle principali città egiziane dimostrano, al contrario, che le forze laiche e democratiche non sono ancora battute: lo testimonia la posizione di forza da cui El Baradei, premio Nobel per la pace nel 2005 e leader del Fronte di Salvezza nazionale, ha risposto all’offerta di dialogo proposta da Morsi la scorsa settimana ponendo la condizione di un governo di unità nazionale, che affronti e discuta gli emendamenti necessari alla costituzione islamista, vero oggetto del contendere fra governo e opposizione.

Anche le veementi reazioni all’esecuzione di Belaid hanno posto l’esecutivo di Jebali con le spalle al muro, spaccando Ennadha fra chi, come lo stesso premier, per scongiurare una probabile sanguinosa guerra civile, mette sul tappeto la possibile formazione di un governo tecnico aperto all’opposizione e chi, come Abdelhamid Jelassi, fa muro rispetto qualsiasi ipotesi di mediazione.

L’irriducibile contrapposizione nelle società arabe contemporanee fra un mondo rurale integralista e tradizionalista e le metropoli della borghesia professionale e dei giovani di Piazza Tahrir e Avenue Bourghiba sembra ad una svolta: i prossimi mesi ci diranno se prevarrà la presenza organizzata e diffusa dei partiti islamisti – oggi in apparenza saldamente al potere ovunque – o l’iniziativa dei ceti urbani acculturati e in cerca della modernità.

La Rivoluzione dei gelosmini non è ancora sfiorita.

Claudio Tanari

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