Per fortuna c'è la Caritas: sarà costruito un capannone per i migranti in Bosnia

I 900 migranti del campo di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina, avranno presto un refettorio dove mangiare e proteggersi dalla nuova ondata di freddo gelido prevista nei Balcani

Migranti in Bosnia
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10 Febbraio 2021 - 10.58


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Per proteggersi dal più che pungente freddo balcanico, presto i 900 migranti del campo di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina, avranno un refettorio dove mangiare e ripararsi.

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Incaricata della realizzazione del progetto, insieme a Caritas italiana e Caritas ambrosiana, è Ipsia-Acli. 

La capo progetto, Silvia Maraone, lavora lì da un anno e fa la spola tra la vicina cittadina di Bihac e il campo di Lipa sulle montagne, ad una trentina di km di impervia sterrata.

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Il progetto Caritas-Ipsia va avanti grazie ai fondi raccolti per la rotta balcanica, nell’ambito di una campagna rivolta alle comunità cattoliche.

A Lipa sono stati appena conclusi i lavori di spianatura, è stata sparsa la ghiaia sul terreno.

“Ora stiamo montando le tensostrutture per il refettorio, che potrà accogliere almeno 600 persone – dice Maraone al Sir -. Poi installeremo una tenda di servizio, una per l’isolamento della scabbia e una tenda-moschea. Speriamo di riuscire entro il fine settimana”. 

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I pasti saranno portati e distribuiti dalla Croce rossa di Bihac, che già se ne occupa due volte al giorno. Per ora solo pane e scatolette. 

I sei operatori umanitari e le quattro volontarie di Ipsia-Acli sono impegnati in Bosnia da anni con vari “social cafe'” ossia luoghi di animazione e socializzazione nei campi per famiglie e bambini, gli altri 6.000 che stanno percorrendo ora la rotta balcanica.

In questi centri, tra un caffè o un thè caldo, si fanno attività con i bambini, si gioca a carte, si organizzano tornei e corsi di lingua, si pratica sport. Quello di Usivak a Sarajevo, ad esempio, è stato realizzato con 50.000 euro donati dall’Elemosineria apostolica, per volontà di Papa Francesco.

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Appena ultimata la costruzione del refettorio si vorrebbe aprire anche a Lipa un “social cafe'” con attività psico-sociali e una outdoor gym.

Afgani, siriani, pakistani, bengalesi, iraniani trascorrono le giornate senza fare nulla, ammassati in tende di 30 persone su letti a castello, avvolti nelle coperte per ripararsi dal freddo, grazie ad una sorta di “effetto stalla”.

Coperte che poi dovranno essere bruciate per non diffondere ancora di più la scabbia.

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“Trascorrono le giornate lì, aspettando che il brutto tempo passi, prima di provare di nuovo il ‘game’ in primavera. Alcuni sono stati respinti anche 20 o 23 volte”.

“La cosa più brutta – afferma Maraone – è dover assistere alle violenze subite dai ragazzi alla frontiera. Vediamo minori con le braccia rotte, con frustrate sulla schiena”.

Al contrario, i momenti più belli “sono quando riceviamo notizie da quelli che sono riusciti ad arrivare alla loro meta, in Francia o Germania. E’ importante per noi sapere che non sono vite sprecate, che hanno recuperato la loro dignità”.

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