Se si vuole avere una idea compiuta di cosa intenda l’Europa per esternalizzazione delle frontiere, un testo basilare è l’accordo tra Ue e Turchia. E’ il compendio di una visione distorta, securista, disumana di ciò che significa affrontare l’”emergenza” migranti. Ieri erano 5 anni esatti dall’annuncio dell’accordo tra Ue e Turchia.
“Siamo di fronte a un totale fallimento delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, che hanno di fatto calpestato i diritti fondamentali di decine di migliaia di innocenti. Da allora infatti non è passato un giorno senza che moltissime famiglie rimanessero intrappolate nei campi sulle isole greche, in condizioni disumane”.
È la denuncia lanciata da Oxfam, in occasione dell’infausto anniversario di un accordo, nato con l’esplicito obiettivo di bloccare i migranti in Grecia per poi rispedirli indietro verso la Turchia.
Miliardi al carceriere di Ankara
Una politica che non ha prodotto altro che condizioni di vita spaventose, episodi di violenza sui migranti alle frontiere e ritardi enormi nelle richieste di asilo, rendendole impossibili in molti casi. Tutto questo nonostante le famiglie arrivate sulle isole greche provenissero spesso da paesi in conflitto da molti anni, come Siria, Afghanistan o Iraq. Nel 2021 gli arrivi in Grecia sono stati 1068 di cui 566 via mare. Dopo l’incendio che ad agosto 2020 ha devastato il centro di Moria, nel nuovo campo di Mavravoni a Lesbo, quasi 8 mila persone – in maggioranza famiglie con bambini piccoli – nonostante il freddo invernale vivono in tende anche solo a 20 metri dal mare, senza riscaldamento per le inondazioni e i blackout. Nonostante questo palese fallimento, il nuovo Patto Ue sulla migrazione, presentato lo scorso settembre, non fa che seguire lo stesso approccio di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere europee inaugurato con l’accordo Ue-Turchia. Da qui l’appello all’Unione Europea per un radicale cambio di rotta, che implichi uno stop definitivo alla costruzione di nuovi campi nelle isole greche, come prevede proprio il nuovo Patto europeo.
“Negli ultimi 5 anni abbiamo assistito ad un progressivo e inaccettabile peggioramento delle condizioni dei migranti nei campi in Grecia. – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Le politiche attuate dall’Unione non hanno avuto altra conseguenza, se non quella di causare una catastrofica crisi umanitaria con migliaia di famiglie costrette a dormire al freddo, spesso senza aver accesso a fonti d’acqua pulita, all’elettricità, con le donne esposte di continuo a episodi di violenza, molestie e sfruttamento. A un anno dallo scoppio della pandemia nulla sembra essere cambiato, anzi. I leader europei devono agire subito per tutelare i diritti umani fondamentali di migliaia di esseri umani. E l’Italia del nuovo governo Draghi, saprà prendere una posizione che marchi una discontinuità chiara e netta o sarà bloccata dalla ricerca di equilibri interni tra visioni discordi? Purtroppo dal brevissimo accenno alle politiche migratorie durante il discorso al Senato del Presidente Draghi sembra prendere quota la seconda ipotesi”
In una lettera aperta pubblicata ieri, diretta all’Unione europea e agli Stati membri, firmata da altre 7 organizzazioni umanitarie, si rivolge quindi il seguente appello: nessun richiedente asilo sia sottoposto a detenzione, così come previsto nei nuovi centri di accoglienza che dovrebbero essere costruiti sulle isole greche. Soprattutto nel caso di donne e bambini reduci da viaggi lunghi e pericolosi; ai richiedenti asilo siano garantite, senza eccezioni, condizioni di vita dignitose: l’Ue non può eludere i propri obblighi in materia di tutela diritti umani attraverso la creazione di una “fase di pre-ingresso” che contraddicono le normative europee in materia; ai richiedenti asilo venga garantita la possibilità di usufruire di assistenza legale, non escludendo il supporto legale fornito dalle Ong e dall’Unhcr, per affrontare il lungo e complicato percorso previsto. Nel caso delle cosiddette procedure accelerate alla frontiera infatti spesso i diritti dei richiedenti asilo vengono violati: venga previsto un controllo indipendente ed efficace sulle reali condizioni dei centri di accoglienza sulle isole greche. L’Ue e gli Stati membri devono consentire il monitoraggio esterno e la verifica da parte di parlamentari e Ong.
L’inferno in terra
“Avrei preferito morire nel mio Paese, sotto le bombe, invece di morire tutti i giorni in questo campo“, è una delle frasi che in questi mesi psicologi e psicologhe di Intersos hanno ascoltato a Lesbo, durante le sessioni di supporto psicologico rivolto alle donne che vivono nel campo temporaneo di Mavrovouni. Queste donne – scrive Vita.it in un report che dovrebbe scuotere ogni coscienza che si vuole umana – sono bloccate a Lesbo da mesi o anni. Si sentono intrappolate, senza speranza, si vergognano. I pensieri suicidi e i comportamenti autodistruttivi sono molto diffusi, esacerbati dalle dure condizioni di vita nel campo di Mavrovouni, che producono un forte senso di insicurezza, ansia e oppressione. La morte è percepita come un sollievo, una via d’uscita dalla loro prigionia.
Le storie di Zahra, Farida e Mariam
Perché il campo, per loro, è una prigione, dove le attuali misure di isolamento limitano ulteriormente lo spazio già molto limitato in cui devono vivere. Trascorrono la maggior parte del tempo rinchiuse nella loro tenda, in attesa del passaggio di un agente che le informi della risposta alla loro domanda di asilo. Quando l’agente finalmente arriva, però, può essere la fine per la famiglia di queste donne. Secondo la politica migratoria in vigore, infatti, ogni persona ha un numero di caso diverso ed è sottoposta a una procedura di asilo diversa, anche i membri della stessa famiglia.
Zahra, 68 anni, ha dovuto rinunciare già 3 volte a essere trasferita in un appartamento ad Atene. Non può lasciare suo figlio, Ayoub, che è stato gravemente ferito a Moria, e ora non può camminare. Di tutte le pazienti che Intersos segue, il 70% ha subito episodi di violenza di genere almeno una volta nella vita. Per le donne che hanno subito un’esperienza traumatica, vivere nel campo significa sentirsi costantemente a rischio. Nel campo non è possibile garantire un livello di sicurezza di base e gli aggressori possono accedere facilmente ai loro alloggi. Questo provoca nelle donne una costante ansia e paura che simili incidenti possano ripetersi, aggravando le loro condizioni di salute mentale.
Farida, 22 anni, è stata violentata a Moria, davanti ai suoi due figli. Non era la prima volta che un uomo abusava di lei. Per questo era scappata dal suo paese, in Europa cercava sicurezza. Ora ha chiesto di essere rimpatriata in Afghanistan. Molte donne sposate subiscono quotidianamente violenza domestica da parte dei loro mariti. Giustificano il comportamento abusivo con la miseria delle condizioni di vita a cui sono sottoposti. La violenza è spesso denunciata da donne che lottano per trovare un equilibrio nella loro vita personale e che si trovano a replicare gli stessi modelli violenti sui loro figli, esponendoli ad abusi e abbandono.
Mariam è stata salvata da suo fratello Masoud, che ha affrontato il loro patrigno mentre tentava di abusare di lei. Questo episodio ha segnato per sempre la loro vita. Sono scappati dall’Afghanistan, insieme, raggiungendo Lesbo anni dopo. Ora, Masoud presenta i sintomi della psicosi. Sta aspettando da 6 mesi di ricevere la decisione sulla sua domanda d’asilo. Mariam è una delle nostre pazienti. Ha già rifiutato due volte di essere trasferita sulla terraferma. Presenta sintomi della Sindrome Post Traumatica (Ptsd) e avrebbe bisogno di una terapia psicologica. Già durante la seconda sessione, però, ha informato il suo psicologo che non desidera più continuare la terapia. “Se mio fratello non può essere aiutato, non voglio essere aiutata neanche io”.
Sono queste le vittime delle politiche migratorie europee, politiche di contenimento basate sull’approccio degli hotspot che negli anni non hanno fatto altro che intrappolare le persone in un’attesa senza fine, privandole della basilare dignità umana e costringendole a rivivere gli stessi traumi. 8.596 persone sono attualmente bloccate sull’isola di Lesbo.
La storia di ogni singolo richiedente asilo presente a Lesbo è una testimonianza diretta del costo umano delle scelte europee sull’immigrazione ma, nonostante ciò, l’Europa non accenna a cambiare direzione: il nuovo patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, infatti, non fa altro che dare continuità alle politiche di contenimento fin qui messe in atto, rafforzando un approccio di polizia di confine invece che salvaguardare i diritti dei migranti.
“Il patto Ue-Turchia è un accordo disumano, che ha portato dolore, morte e sofferenza per migliaia di vite umane intrappolate qui in Grecia – afferma Apostolos Veizis, direttore esecutivo di Intersos Hellas – Oggi, 5 anni dopo, facciamo i conti con l’enorme portata della crisi umanitaria creata dalle politiche dell’Ue nelle isole greche. Questo accordo rappresenta la persistente volontà dei governi europei di continuare a portare avanti misure di contenimento, invece di trovare soluzioni umanitarie praticabili. Tutto ciò che fanno queste politiche è aumentare la miseria delle persone e spingerle verso percorsi migratori più pericolosi. L’accordo Ue-Turchia continua ad essere un enorme passo nella direzione sbagliata, in quanto formalizza un sistema che minaccia il diritto di asilo, ignorando completamente le esigenze umanitarie e di protezione. Non ha mai funzionato e non funzionerà mai. Questa è una politica che ha portato solo dolore, tristezza e miseria a persone già traumatizzate, perpetuando una situazione insopportabile”.
“Ribadiamo la necessità che l’Europa si impegni a portare avanti nuove politiche migratorie, incentrate sulla protezione e sull’integrazione delle persone, assicurando l’applicazione da parte degli Stati membri della legislazione in vigore in tema di ricongiungimenti familiari”, aggiunge Cesare Fermi, direttore della Regione Europa di Intersos . “L’Europa – chiarisce Fermi- non può essere solo un’altra tappa nel doloroso percorso migratorio e ha il dovere di garantire a tutti il rispetto dei diritti umani fondamentali che sono alla base della sua esistenza”
Intersos è presente in Grecia da marzo 2016 e a Lesbo da settembre 2020, con una squadra di emergenza arrivata subito dopo l’incendio di Moria per valutare i bisogni più urgenti della popolazione colpita dalla crisi. Poiché è stata identificata un’urgente necessità di supporto per la salute mentale alle donne vulnerabili, nel 2021 Intersos ha avviato un intervento volto a fornire assistenza psicosociale completa alle donne vulnerabili e a migliorare la risposta generale alla salute mentale a Lesbo. Da febbraio 2021 psicologi e case manager di Intersos hanno svolto 122 sedute individuali, fornendo supporto di salute mentale a 31 donne. “Le condizioni di salute mentale più frequenti tra i nostri pazienti – rimarca l’Ong – sono il disturbo dell’adattamento, il disturbo depressivo, il disturbo d’ansia o il disturbo da stress post-traumatico, spesso accompagnato da pensieri suicidi, premeditazione o tentativi in passato”.
“L’Ue ha così dato a Recep Tayyip Erdoğan la possibilità di utilizzare regolarmente il ricatto dei migranti. E il presidente turco è passato all’azione alla fine di febbraio, annunciando che le frontiere erano aperte per i migranti che desideravano entrare in Europa. In questo modo l’autocrate turco, impantanato nella sua avventura siriana a Idlib, ha utilizzato i migranti come arma non letale, cercando di fare pressione sui partner occidentali e di destabilizzare la Grecia, con la quale ha peraltro intrapreso un pericoloso braccio di ferro relativo alla delimitazione delle zone economiche marittime. Annunciando la partenza di centinaia di migliaia di migranti verso l’Europa – anche se in realtà tale movimento ha coinvolto solo alcune decine di migliaia di persone – Erdoğan cerca al contempo di canalizzare verso l’Europa il malcontento popolare che cresce nel suo paese, soprattutto tra gli elettori del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp)”. Così scriveva l’economista Ahmet Insel in un vibrante articolo-denuncia pubblicato in Italia da Internazionale il 10 marzo 2020. Un anno dopo, la situazione è ulteriormente peggiorata.
Ma già nel 2017, ad un anno dalla firma, era chiaro che quello era l’accordo della vergogna. “A un anno dalla firma dell’accordo tra Unione Europea e Turchia – sottolineava Save the Children – denunciamo l’aumento allarmante dei casi di autolesionismo e tentativo di suicidio, aggressività, ansia e depressione tra i bambini migranti e rifugiati a causa del degrado progressivo delle condizioni sulle isole greche, dove sono trattenuti circa 13.200 richiedenti asilo in condizioni disumane.
Con il rapporto “Tra autolesionismo e depressione – L’impatto devastante dell’accordo UE-Turchia sui bambini migranti e rifugiati”, vogliamo descrivere le atroci condizioni in cui l’Europa ha costretto migliaia di famiglie e più di 5.000 bambini, rinchiusi in strutture diventate di fatto veri e propri centri di detenzione a seguito dell’applicazione dell’accordo UE-Turchia nel marzo 2016.
Sono evidenti le conseguenze sulla salute mentale e il benessere generale dei bambini. Incidenti e atti di autolesionismo che coinvolgono bambini anche di 9 anni si stanno moltiplicando, e le madri scoprono spesso le ferite sulle loro mani quando li aiutano a lavarsi. Alcuni bambini, anche di 12 anni, hanno tentato il suicidio generando anche un meccanismo di emulazione tra i loro coetanei. C’è stata, inoltre, un’impennata nell’abuso di droghe e alcol nel tentativo di sfuggire ad una realtà insostenibile”.
Oxfam, Intersos, un mondo solidale che lavora ogni giorno, sul campo, in difesa dei più indifesi. Un mondo che andrebbe sostenuto con finanziamenti adeguati, con una informazione attenta, continua, costruttiva. Invece, l’Europa civilizzata, a parole, preferisce riempire di soldi autocrati, rais, presidenti-carcerieri, facendo di loro i Gendarmi del Mediterraneo. Una vergogna indelebile per la “civile Europa”.