Draghi e i ringraziamenti ai libici: "No Saviano, il premier non è stato vittima di un equivoco"

Lo scrittore aveva detto che il Presidente del Consiglio si era confuso. In realtà questa è stata ed è la politica italiana che tanti contestano.

Draghi in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Aprile 2021 - 19.20


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Abbiamo troppo rispetto per l’intelligenza, le capacità, la cura personale di tutti i dossier che chiamano in causa la Presidenza del Consiglio, per dare fiato al coro di quella stampa mainstream che quando finisce la pratica dell’adulazione si cimenta in quello delle scusanti, peraltro neanche richieste, dal diretto interessato. No, caro Saviano, Mario Draghi non è stato “vittima di un equivoco”, come scrivi in un pur condivisibile articolo, lettera-aperta al premier. Lui sapeva bene di cosa stesse parlando, solo che nei rapporti con le autorità libiche, gli affari hanno la meglio sui diritti umani. L’Eni conta più di Amnesty International, Impregilo più di Human Rights Watch, e i giornalisti amplificatori delle veline di Stato fanno più carriera, per non dire altro, dei giornalisti intercettati perché testimoni scomodi.

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Nessun equivoco

Scrive Saviano sul Corriere della Sera: “Caro Presidente Draghi, Le scrivo perché credo profondamente sia stato vittima di un equivoco. Caro Presidente, nessun migrante è stato mai «salvato» in mare dalla Guardia costiera libica (finanziata dall’Italia), semmai rapito e mai rimpatriato. I migranti «salvati» vengono portati in campi di prigionia, che sono veri e propri lager, e durante le operazioni di «salvataggio» la Guardia costiera libica – esistono filmati – ha più volte picchiato i migranti ammassati sui gommoni, non ha esitato a sparare su uomini e donne, uccidendo. Ha usato le proprie coste come ricatto estorsivo verso l’Europa e i migranti come bancomat: ha preso soldi per fermare le partenze, soldi dai trafficanti per poter agevolare le partenze, soldi dai familiari dei migranti per interrompere le torture, soldi per riscattarli e permettergli di tornare nei loro paesi. Tutto questo è stato indagato e svelato dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) e la stessa Organizzazione Internazionale per le migrazioni (OIM) ha dichiarato i porti libici come porti non sicuri.

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Presidente, anche sui centri di detenzione in Libia abbiamo informazioni dettagliate da fonti affidabilissime. Esistono almeno due tipi di lager: quelli ufficiali, nei quali vige il lavoro forzato, dove migranti che non hanno commesso alcun reato sono detenuti e trattati come criminali e schiavi. E poi ci sono i lager non ufficiali, veri e propri luoghi di tortura; qui i migranti vengono maltrattati a scopo estorsivo, venduti, picchiati, stuprati e uccisi. Le testimonianze sono agghiaccianti e chi ha ascoltato questi racconti non può ringraziare la Guardia costiera libica: se vuole approfondire le questioni di cui le sto parlando, le consiglio di ascoltare su Radio Radicale la trasmissione «Voci dalla Libia – speciale Fortezza Italia», a cura di Andrea Billau e Michelangelo Severgnini. Non possiamo più sottostare al ricatto, non possiamo più fare «noi» la parte del lupo nella speranza di depotenziare i pedatori. Lo hanno già fatto i governi a trazione PD e non ha funzionato, checché ne dica l’ex ministro Marco Minniti. So bene che si trova stritolato da una parte dell’opinione pubblica spaventata dall’inesistente «invasione» dei migranti, so bene che l’Europa è del tutto inaffidabile, e oggi con la pandemia in corso lo è ancora di più, ma la Guardia costiera libica non è la soluzione: è, al contrario, il principale problema, soprattutto perché l’opinione pubblica crede che finanziarla e armarla serva a bloccare migranti, quando in realtà è un’esigenza che risponde alla necessità di salvaguardare le politiche energetiche: si paga la Guardia costiera libica perché i giacimenti Eni in Libia non subiscano ritorsioni. Fino a quando non sarà chiaro a tutti che esiste un nesso tra la sicurezza degli impianti petroliferi in Libia, la Guardia costiera libica e l’affare dei migranti, la partita tra noi non sarà leale; fino a quando non sarà chiaro a tutti che le milizie libiche coprono segmenti legali e illegali, pubblici e privati, ci muoveremo su un terreno che sembra essere quello dei flussi migratori, ma che in realtà riguarda le politiche energetiche del nostro Paese e quante vite siamo disposti a sacrificare sull’altare del profitto o, come direbbe qualche ex ministro, della ragion di stato.

Perché, allora, andare in Libia e, con tutte le informazioni che abbiamo – grazie soprattutto alle Ong e ai giornalisti intercettati dalla procura di Trapani – ringraziare la Guardia costiera libica?

Presidente, trovi il modo di ascoltare tutte le persone coraggiose che conoscono quello che accade in Libia, ascolti i volontari delle Ong, ascolti anche molti uomini della Guardia Costiera Italiana che hanno salvato e protetto vite, spesso in conflitto con i governi da cui dipendevano, ma in coerenza con la legge del mare. Ascolti i migranti che sono sopravvissuti ai lager…”.

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Globalist ha rivolto non so più quante volte ormai, lo stesso invito, allo stesso destinatario. Ma quel mondo solidale, evidentemente, non rientra nell’agenda dell’ex presidente della Bce.

Ha ragione Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia: “Salvataggi e Guardia costiera libica sono due ossimori –rimarca -. Quello che è noto a tutti è che la Guardia costiera libica, grazie al rafforzamento della sua capacità operativa da parte dell’Italia, negli ultimi cinque anni ha riportato in Libia decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo. Ammesso che li abbia salvati da una morte in mare, li ha consegnati in buona parte a un rischio elevato di morire in terra libica. Per la tutela dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo in Libia tutto ci vorrebbe meno che complimentarsi con le autorità di quel Paese”. “Amnesty International – sottolinea ancora Noury – continua a sostenere che i centri di detenzione in Libia debbano essere evacuati. E che l’Italia debba avere un ruolo in questa operazione. Quanto poi al tema dei corridoi umanitari, pur potenzialmente importante non può sostituire la necessità di togliere al più presto queste persone dai luoghi di violenza, tortura, stupri e schiavitù”.

E ha ragione da vendere il segretario nazionale di Sinistra Italiana, e parlamentare di LeU, Nicola Fratoianni: “Draghi esprime soddisfazione per il lavoro della Libia sui salvataggi? Evidentemente gli sfugge la differenza tra salvataggio e cattura. In Libia i migranti vivono in condizioni inumane e atroci, come confermato da tutte le organizzazioni internazionali. Esprimere soddisfazione per il lavoro della Libia su questo fronte mi pare francamente inaccettabile“. La “Guardia costiera” libica è in realtà un corpo militare composto principalmente da ex militari e trafficanti, creato, addestrato e finanziato dall’Italia per intercettare i migranti nel mediterraneo e riportarli in Libia, un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Inoltre, molto spesso, la “guardia costiera” non interviene in soccorso delle imbarcazioni in difficoltà, lasciando che i migranti muoiano in mare. È solo dello scorso 20 marzo la notizia di oltre 60 persone morte al largo delle coste libiche, abbandonate al loro destino nonostante le segnalazioni fatte dalle Ong alle autorità.

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Le violazioni dei diritti umani e la gestione dei fondi.

Dal 2017 – ricorda su wired. it Kevin Carboni, in documentato articolo – oltre 600 mila persone, tra migranti e rifugiati, sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera e trattenute nei centri di detenzione libici. Questi campi sono stati più volte denunciati dalle organizzazioni internazionali, compresa l’Onu, per le violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate al loro interno e per le condizioni disumane in cui vengono lasciati i migranti. L’Italia ha fatto ben poco finora per cambiare questa situazione. Rispetto ai 20 milioni dati per la “guardia costiera”, annota ancora Carboni – l’investimento per migliorare le condizioni dei centri di detenzione è stato di solo 6 milioni negli ultimi anni e nessun progetto è stato ancora completato. Inoltre, c’è stata una totale mancanza di monitoraggio da parte dell’Italia rispetto ai fondi dati a Tripoli nel corso degli ultimi anni. Secondo diverse inchieste, molti di questi finanziamenti sono finiti in mano a trafficanti e milizie, gli stessi che speculano sul traffico di migranti, a cui chiedono migliaia di euro per traversate quasi impossibili.

Chi non ha mai “equivocato” è Luigi Di Maio. Cambiano le maggioranze, cambiano i premier, ma lui resta sempre dello stesso avviso: le Ong sono i “taxi del Mediterraneo”. Poi, certo, da ministro degli Esteri deve abbassare i toni, ma ciò che pensa sui “taxisti” del mare è sempre la stessa cosa.

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Scriveva Alex Zanotelli il giorno dopo la missione in Libia del titolare della Farnesina: “Ieri il ministro Di Maio a Tripoli ha detto che in Libia non arrivano più armi grazie all’operazione Irini. Ma è una bugia: arrivano eccome. E non ha fatto neanche menzione dei lager dei migranti: l’Italia finanzia la Guardia costiera libica che tortura, violenta, uccide in nome dell’Italia. E chi tenta di scappare muore”. Così il missionario comboniano da tempo impegnato in difesa dei migranti, intervenendo alla conferenza stampa online di presentazione dell’iniziativa “Fame e Sete di Giustizia – Digiuno di solidarietà con i migranti”, organizzata dall’associazione Cantiere casa comune, che a partire dalla Settimana santa, osserverà ogni primo mercoledì del mese davanti al Parlamento. Il missionario ha ricordato che “questi disperati bussano anche alle porte dell’Italia e l’Italia è parte dell’Unione europea che dei migranti non ne vuole sapere. E così è assurdo che l’Italia esternalizzi le frontiere facendo accordi con Paesi terzi”.

Intanto continuano le stragi in mare. “Si stimano – ha ricordato Zanotelli – 60.000 migranti morti nel Mediterraneo ma ormai potremmo aver raggiunto le 100.000 vittime. Il Mare nostrum è diventato ormai un mare nero. Siamo davanti a un fenomeno estremamente grave e un giorno saremo portati davanti ai tribunali internazionali perché ci stiamo comportando come i nazisti”.

Padre Zanotelli ha continuato: “Ci sono 80 milioni di rifugiati riconosciuti dalle Nazioni Unite che bussano alle nostre porte: Europa, Stati Uniti, Australia, ai Paesi ricchi insomma. Perché i migranti sono frutto di un sistema profondamente ingiusto che permette al 10% della popolazione di consumare il 90% dei beni del pianeta”.

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Anche il cardinale Franco Montenegro, arcivescovo di Agrigento ha parlato di “Mediterraneo” come “cimitero liquido”. “In Italia, se abbandono un cane per strada, rischio delle multe, ma se lascio uomini in mare e muoiono non mi succede nulla. Nessuno risponde per quello che succede”. Ma se i migranti vengono “è perché hanno fame, vengono a riprendersi ciò che noi paesi civili abbiamo tolto. Neanche nella Chiesa i migranti trovano posto, ad esempio tra le preghiere dei fedeli, a messa. Cristo – ha affermato l’arcivescovo – arriva su questi barconi e noi non lo vediamo”. A testimoniare il dramma delle migrazioni c’è anche Blessing Okoedion, la presidente dell’Associazione Weavers of hope: “Prima di venire in Italia, nel 2013, ero già laureata e come molti tendevo a pensare che chi subiva la tratta era chi voleva fare i soldi in modo facile. Poi capitò a me, e vissi due drammi: il dolore delle violenze e il dolore di non essere ascoltata, creduta”, ha detto Okoedion rigraziando “chi in Italia mi accolse, aiutandomi. Non potrò mai cancellare quello che mi è successo, ma ora posso essere protagonista della mia storia, aiutando altre donne a uscire dalla prostituzione. Non dimentichiamoci però – ha chiesto la presidente di Weavers of hope – che se non ci fosse la domanda, non ci sarebbe l’offerta della prostituzione”.

Potremmo proseguire a lungo con altre testimonianze dall’inferno libico. Ma non c’è bisogno. Il quadro è chiaro. E mortificante per l’Italia. Li ringraziamo perché fanno il lavoro sporco al posto nostro. Perché respingono una “invasione” che non esiste ma che fa campagna elettorale permanente. Così come prendiamo schiaffi in faccia a ripetizione dall’Egitto sui casi Regeni e Zaki. Così come omaggiamo l’autocrate turco, Recep Tayyp Erdogan. Nessun equivoco. E’ la faccia sporca della realpolitik. Anche con il “governo dei migliori”.

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