A Cipro il Sultano sfida Erdogan l'Europa: "L'unica soluzione è due Stati"

Il “Sultano” si sente il padrone del Mediterraneo. E come tale si comporta. Visita le “province” del neo-impero ottomano con al seguito una corte infinita di ministri, generali, affaristi e faccendieri.

Erdogan nella repubblica turco-cipriota
Erdogan nella repubblica turco-cipriota
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Luglio 2021 - 18.21


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Il “Sultano” si sente il padrone del Mediterraneo. E come tale si comporta. Visita le “province” del neo-impero ottomano con al seguito una corte infinita di ministri, generali, affaristi e faccendieri. Elargisce encomi e dispensa minacciosi ammonimenti. Esporta il suo nazional-islamismo e progetta staterelli etnici. Così è avvenuto a Cipro Nord. A bordo di una vettura scoperta in stile papamobile, Recep Tayyip Erdogan ha passato in rivista il corteo festante di nazionalisti che lo ha accolto ieri nella parte settentrionale dell’isola sotto controllo turco, nel 47esimo anniversario dell’intervento militare di Ankara, compiuto in risposta a un tentativo di golpe filo-greco.

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Il Sultano rilancia

“Non abbiamo altri 50 anni da buttare”. Non può esserci alcun progresso nei negoziati sul futuro di Cipro “senza accettare che ci sono due popoli e due stati”, proclama Erdogan nel suo discorso. 

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Dopo quasi mezzo secolo di vani tentativi di riunificazione di Cipro – dove la linea verde pattugliata dall’Onu separa la zona internazionalmente riconosciuta a maggioranza greca da quella di fatto gestita da Ankara -, il presidente turco ha lanciato l’ennesima sfida all’Unione europea, che solo pochi giorni fa aveva ribadito con una visita della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che Bruxelles non accetterà «mai la soluzione a due stati». Ieri, Erdogan ha affermato l’esatto contrario.

“L’eguaglianza sovrana e lo status paritario dei turchi ciprioti devono essere accettati. È questa la chiave della soluzione”, ha scandito, accusando le autorità di Nicosia di adottare «un approccio massimalista distaccato dalla realtà». La missione era iniziata già lunedì pomeriggio con una delle più nutrite delegazioni all’estero di un governo turco.

Con sé, Erdogan ha portato buona parte dei ministri, l’intero stato maggiore del suo Akp, i massimi esponenti istituzionali e il principale alleato, l’ultranazionalista Devlet Bahceli: tutto per segnare l’importanza di un’operazione su cui Ankara – che sull’isola mantiene dal 1974 decine di migliaia di soldati – sta puntando sempre più forte. La scommessa parte dai fallimenti di tutti i negoziati condotti finora – gli ultimi nel 2017 in Svizzera. La scorsa primavera, poi, il tentativo di avviare nuovi colloqui formali è naufragato sul nascere.

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La strategia imperiale

 Nel discorso pronunciato nel parlamento di Lefkoşa, Erdogan ha anche annunciato l’imminente inizio dei lavori di costruzione del nuovo complesso presidenziale nord-cipriota.

“ È un passaggio cruciale del grande gioco nel Mediterraneo – rimarca in un documentato report per limesonline Daniele Santoro –  potenzialmente più importante della presa di Tripoli (Libia) da parte di Ankara. Conferma l’irreversibilità dell’approccio fondato sulla soluzione dei due Stati a Cipro. Slittamento di postura notevole rispetto all’accondiscendenza alla riunificazione esibita dalla Turchia nel 2004 (piano Annan) o nel 2017 (negoziati di Crans-Montana).  Il külliye (complesso) presidenziale che le aziende turche costruiranno su un appezzamento di circa 500 ettari simboleggerà la sostanziale sovranità nord-cipriota. O meglio dei turchi di Cipro, secondo l’innovazione lessicale introdotta da Erdoğan: non ci sono più Cipro Nord e Cipro Sud, ma turchi e greci (rum). Il confine tra le due entità isolane diventa frontiera dello spazio turco in via di istituzionalizzazione. E torna fronte principale del conflitto tra Turchia e Grecia.
La capacità di Ankara di riappropriarsi della causa nord-cipriota, di avvolgere nella sua stretta la “piccola patria” (yavru vatan), riflette la potenza accumulata nell’ultimo quinquennio, la quasi inedita – in epoca repubblicana – disponibilità a farne uso per proteggere i propri interessi, anche oltreconfine.
Le prossime mosse di Ankara non sono difficili da decifrare. Il cantiere del külliye prelude all’apertura della base navale e della base aerea che i turchi stanno costruendo sul territorio della Repubblica turca di Cipro Nord, destinate a ospitare aerei da guerra, droni e le nuove navi della Marina (nei prossimi mesi entreranno in servizio la prima fregata classe İstif e la portaerei leggera Anadolu). Mentre il processo che porterà i clienti regionali della Turchia a riconoscere Cipro turca è ben avviato. Azerbaigian e Pakistan   hanno inviato proprie delegazioni ufficiali a Lefkoşa nei giorni precedenti la visita di Erdogan. Anche Libia, Bangladesh e Gambia sarebbero pronte al riconoscimento ufficiale in attesa di un peso massimo. Il Regno Unito è il principale indiziato. Tali mosse – annota ancora l’analista di Limes – mirano a innervosire i greci, a indurli a muovere per primi. I turchi raramente attaccano, più spesso avanzano difendendosi. Costringono il nemico a esporsi, così da fargli ‘cadere l’arma dalla mano’, come rammentano gli analisti cinesi. È stato così a Tripoli, Idlib e Şuşa. L’autocontrollo dei greci stabilirà se sarà così anche a Cipro”, conclude Santoro.

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Uno Stato binazionale

A ribadire la posizione di Nicosia è il presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Anastasiadis, in una recente intervista a euronews: “Come possiamo accettare posizioni che vadano a discapito di uno stato federale? In altre parole, noi abbiamo fatto concessioni per soddisfare le richieste dei turco ciprioti. A provocare questo scontro è stata la posizione completamente nuova in base alla quale dovremmo procedere alla soluzione non di una federazione bizonale e bicomunitaria con uguali diritti politici, come definita nelle risoluzioni delle Nazioni Unite, ma a una soluzione a due Stati, un’idea impensabile anche per la comunità internazionale, poiché contraddice tutte le risoluzioni Onu senza eccezioni per quanto riguarda la questione cipriota e contraddice anche le posizioni dell’Unione europea”, afferma Anastasiadis. Per poi aggiungere: “Se Erdogan, se la Turchia insiste che qualunque negoziato per trovare una soluzione al problema di Cipro debba iniziare solo a condizione che venga riconosciuto uno stato sovrano turco cipriota, lei capisce che non andiamo da nessuna parte”.

Potenza militare 

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Il Sultano nel discorso tenuto, il 5 luglio, a conclusione della sua visita in una fabbrica di cingoli per carri armati sita nel Distretto di Sakarya, nella Regione di Marmara, si è soffermato sulla politica estera di Ankara e sui rapporti d’alleanza e cooperazione con il Qatar.

Erdogan ha sottolineato che la Turchia è presente in Libia, Siria, Azerbaigian e Mediterraneo orientale e che porterà avanti i propri diritti legittimi”svolgendo attività d’esplorazione in tutti i suoi mari e, nello specifico, nelle vicinanze di Cipro.

Osserva in propositi Filippo Del Monte, in un documentato report per Difesaonline: Dunque il ‘sultano’ Erdogan ha nuovamente utilizzato toni forti per tracciare la linea della politica estera e di difesa della Turchia anche in questo frangente. L’elenco degli Stati nei quali i Turchi sono presenti sia militarmente che come influencers delle politiche pubbliche è volto a mettere in risalto l’importanza del Paese quale potenza internazionale capace di proiettare “imperialmente” all’esterno dei confini nazionali la propria forza.

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La concezione strategica della Mavi Vatan (Patria Blu) è stata sintetizzata qualche anno fa dall’ex contrammiraglio turco Cem Gürdeniz come ‘diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle’  e questa è la chiave di volta della continuità tra ‘Profondità strategica’ e ‘Patria blu’ con la seconda che è il correttivo marittimo di una dottrina prettamente tellurica. L’obiettivo strategico della Turchia resta quello di svincolarsi dalla limitazione territoriale anatolica nella quale, con il Trattato di Sevres del 1920, le potenze vincitrici della Grande guerra l’hanno imbrigliata. Ma la “profondità strategica” della Turchia è tale solo se accompagnata da una capillare presenza in mare di navi da guerra (appoggiate da basi sparse nell’hinterland mediterraneo) e di navi adibite alle trivellazioni.

La politica navalistico-ottomana impostata da Erdogan ha nell’elemento prettamente militare uno dei suoi punti di forza e nelle capacità economiche del Paese quello di debolezza endemica e che potrebbe causarne, in ultima analisi e con una iperestensione dello spazio di proiezione turco già teso al limite delle sue capacità, il crollo verticale e repentino. Questo Erdogan lo sa bene e necessita di ottenere il massimo dei risultati – compresa l’autosufficienza energetica – nel più breve tempo possibile onde abbandonare il suo revisionismo incrementale a tendenza rivoluzionaria”.

E’ l’azzardo del Sultano. Tutto o niente. La posta in gioco è il controllo del Mediterraneo, con le sue ricchezze energetiche e la sua importanza geopolitica. 

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