Quando lo Zar Putin si traveste da storico. Mala tempora currunt

Quando si scomoda la Storia, si chiama in causa la Grande Madre Russia e si evoca pure Lenin, vuol dire che le cose stanno davvero precipitando.

Quando lo Zar Putin si traveste da storico. Mala tempora currunt
Vladimir Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Febbraio 2022 - 16.29


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La diplomazia del bastone e la carota

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“Questo è l’inizio di un’invasione russa in Ucraina”. Joe Biden abbandona la cautela delle ore successive al riconoscimento del Donbass da parte di Vladimir Putin e si rivolge agli americani per spiegare che la guerra è a un passo, e può arrivare “fino a Kiev”. L’allarme è condiviso dalla Nato, secondo cui la Russia “è ormai passata all’azione militare”. Tuttavia la risposta dello zar, ancora una volta, tiene tutti sulla corda: da una parte ha messo in stand-by le sue truppe, dall’altra ha lanciato una nuova sfida, riconoscendo ai separatisti la sovranità “su tutta la regione” di Lugansk e Donetsk. Per Kiev le intenzioni sono chiarissime: “Resuscitare l’Urss”, ha avvertito Volodimyr Zelensky, che ha promesso una difesa strenua all’integrità del suo Paese.

La svolta drammatica impressa da Putin alla crisi ucraina è motivo di estrema preoccupazione alla Casa Bianca. Biden, che come prima reazione si era limitato a denunciare una “violazione degli impegni internazionali” da parte di Mosca, si è rivolto alla nazione con toni più fermi. Le azioni nel Donbass equivalgono “all’inizio di un’invasione” e i russi potrebbero decidere di lanciare attacchi su larga scala contro varie città ucraine, “compresa la capitale Kiev”, ha spiegato il presidente americano, annunciando una risposta su due fronti. Da una parte, sanzioni ben più dure rispetto a quelle per l’annessione della Crimea. E sul piano militare, con un “dispiegamento aggiuntivo” di truppe Usa nei Paesi Baltici membri della Nato, mentre Washington continuerà a “fornire armi difensive” a Kiev. 

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L’America ed i suoi alleati restano aperti alla diplomazia, ma “purché sia una diplomazia seria”, ha avvertito Biden. Ad una diplomazia più seria da parte di Mosca non sembra però credere più Zelensky. Che dopo aver assorbito lo strappo di Putin sulle repubbliche ribelli, si è rivolto alla nazione con toni accorati. Le autorità russe vogliono “resuscitare l’Urss”, ha avvertito Zelensky, con un riferimento alla politica imperialista condotta da Putin in Cecenia e Georgia, fino alla Crimea. Quindi, ha rinnovato i suoi appelli all’Occidente ad un “chiaro sostegno”, ma allo stesso tempo ha assicurato che l’Ucraina è “pronta a difendersi”, perché “non abbiamo paura della Russia”.

Quanto a Putin, ha continuato a mostrare i muscoli. All’indomani del discorso fiume in cui ha scomodato persino Lenin per liquidare l’entità statuale Ucraina come un artificio dell’Urss, il presidente russo ha ripetuto il suo mantra: Kiev è una “minaccia strategica” per la sua ambizione di dotarsi di armi nucleari tattiche e l’obiettivo deve essere quindi la sua “smilitarizzazione”. “La soluzione migliore”, ha aggiunto tra il paternalista ed il minaccioso, sarebbe che l’Ucraina “rinunciasse spontaneamente all’ambizione di aderire alla Nato”. Quanto alle prossime mosse nel Donbass, Putin non si è sbilanciato. “L’ingresso dell’esercito russo dipenderà dalla situazione sul terreno”, ha spiegato rimanendo volutamente ambiguo, ma nel frattempo si è fatto autorizzare dal Senato l’invio delle cosiddette truppe di “peacekeeping”.

Ma è soprattutto sul piano politico che lo zar ha sferrato un nuovo colpo che può portare ad un’ulteriore escalation militare: il riconoscimento della sovranità dei separatisti “sull’insieme delle regioni” di Lugansk e Donetsk, e non soltanto sulla porzione di territorio in loro controllo. Vale a dire anche sulle zone in cui sono presenti le truppe ucraine, che Kiev ha assicurato non si ritireranno. A dispetto di venti di guerra sempre più forti (i russi hanno anche deciso di evacuare il personale diplomatico dall’Ucraina), le cancellerie continuano a cercare spiragli di dialogo.

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Nella logica del bastone e della carota, Putin è tornato a parlare dicendo che la Russia è pronta a esplorare “soluzioni diplomatiche” per la crisi in Ucraina, ma gli interessi di Mosca non sono negoziabili. In un video messaggio trasmesso in occasione del ‘Giorno dei difensori della Patria’, festività nazionale in Russia, Putin ha detto che “Il nostro Paese è sempre pronto al dialogo diretto e onesto, per la ricerca di soluzioni diplomatiche ai problemi più complessi”, aggiungendo che “gli interessi della Russia, la sicurezza dei nostri cittadini, per noi non sono negoziabili”.

Intanto, immagini satellitari pubblicate dall’azienda di tecnologia spaziale statunitense Maxar Technologies mostrano quello che viene descritto come un nuovo movimento di truppe e materiali nella Russia occidentale e il movimento di oltre un centinaio di mezzi militari nel sud della Bielorussia, in prossimità del confine con l’Ucraina. Lo riporta il sito della Bbc.

Secondo diversi analisti, nel caso di un attacco su larga scala del territorio ucraino, proprio dal fronte bielorusso potrebbero muoversi importanti contingenti russi, un’eventualità però sempre negata con forza dal Cremlino che giustifica la presenza delle proprie truppe con una serie di esercitazioni congiunte con l’esercito locale.

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L’Ucraina ha iniziato a richiamare in servizio i riservisti dell’esercito di età compresa tra 18 e 60 anni. È quanto prevede un decreto firmato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky e che indica che Kiev si sta preparando a difendersi da un’invasione russa. I riservisti dovranno prestare servizio per un massimo di un anno, si legge nel decreto. Zelensky vuole così aumentare di circa duecentomila soldati il suo esercito.

L’esercito ucraino ha reso noto che un altro soldato è stato ucciso e 6 sono rimasti feriti in bombardamenti da parte dei separatisti filorussi nell’Ucraina orientale nelle ultime 24 ore. Lo riporta il Guardian. In questo periodo l’esercito ha registrato 96 bombardamenti, 81 dei quali sono avvenuti con armi pesanti, rispetto agli 84 del giorno precedente. È quanto emerge dal rapporto giornaliero della Joint Forces Operation ucraina, pubblicato questa mattina. Le forze separatiste, sottolinea il documento, hanno usato artiglieria pesante, mortai e lanciarazzi Grad.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha fatto sapere che gli Stati Uniti aumenteranno “le sanzioni se la Russia continua l’escalation con le sue mosse contro l’Ucraina” e ha ribadito che Usa e alleati sono uniti di fronte all’aggressione di Mosca. Blinken ha anche annullato l’incontro con il ministro degli esteri Serghiei Lavrov previsto per giovedì che, ha ricordato, era subordinato al fatto che non ci fosse una invasione russa dell’Ucraina. “Ora non ha senso”, ha detto. L’aggressione russa all’Ucraina, ha aggiunto è “la più grande minaccia alla sicurezza europea dalla seconda guerra mondiale”.

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Anche il Canada ha imposto una “serie di sanzioni” economiche contro la Russia. Lo ha annunciato il primo ministro Trudeau. Il premier canadese ha annunciato anche l’invio di piu’ truppe nell’Europa orientale. Trudeau ha spiegato che sino a 460 militari saranno mandati in Lettonia e nella regione per rafforzare il fianco orientale della Nato.

Pentagono: 800 militari da Italia a Paesi baltici

Il Pentagono conferma l’invio nei paesi baltici di un battaglione di fanteria (800 uomini) dall’Italia, per rafforzare il fianco orientale della Nato alla luce della crisi ucraina, precisando che insieme ai militari verranno inviati fino a otto F-35 dalla Germania in “diverse località lungo il fianco orientale della Nato”. A questi si aggiunge lo spostamento di venti elicotteri d’attacco AH-64 dalla Germania all’area baltica e altri 12 dalla Grecia alla Polonia.

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Quasi centomila rifugiati dal Donbass

Intanto è salito a oltre 94.600 il numero di residenti delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk and Lugansk che dal 18 febbraio hanno attraversato il confine ucraino passando in Russia: lo ha reso noto oggi una fonte delle forze dell’ordine russe. “Fino alla mattina del 23 febbraio, più di 94.600 persone hanno attraversato il confine russo, quasi 60.000 di loro sono cittadini ucraini, più di 34.600 sono russi”, ha detto una fonte all’agenzia Tass.

La Cina si oppone alle sanzioni

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La Cina si oppone alle sanzioni alla Russia e non intende imporne. Lo ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, in risposta a una domanda sulla possibilità che la Cina imponga sanzioni alla Russia per il riconoscimento dei due territori di Luhansk e Donetsk nel Donbass. “Riteniamo che le sanzioni non siano un modo fondamentale ed efficace per risolvere il problema e la Cina si oppone sempre a qualsiasi sanzioni unilaterale illegale”, ha scandito la portavoce. La Cina, ha proseguito Hua, auspica che le parti interessate possano “riflettere attentamente e cercare di risolvere il problema attraverso il dialogo e la consultazione”, invitando gli Stati Uniti a “non ledere i diritti gli interessi legittimi della Cina e di altre parti nella gestione della questione ucraina e delle sue relazioni con la Russia”.

Campo “incerto”

Dalle poche testimonianze di giornalisti e attivisti sul campo, sappiamo che negli ultimi giorni gli attacchi dei separatisti filorussi – che non si sono mai interrotti dal 2014, anno dell’invasione – sono aumentati, ma non è chiaro quanto sia effettivamente coinvolto l’esercito russo.

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Il Wall Street Journal ha scritto che martedì, sul confine fra i territori controllati dal governo ucraino e le due repubbliche autoproclamate, «i bombardamenti sono durati tutta la giornata». Nel paese di Novoluhanske, sul versante controllato dall’Ucraina, i mezzi militari dei separatisti hanno colpito vari edifici e ucciso un uomo. A Shchastya, una piccola città in territorio controllato dal governo a circa 30 chilometri da Luhansk, è stata bombardata la centrale elettrica locale, e circa 40mila persone sono rimaste senza elettricità. Alcuni soldati ucraini hanno detto a Radio Free Europe che negli ultimi giorni i bombardamenti sono notevolmente aumentati.

Circolano inoltre diverse testimonianze di ingenti movimenti di truppe e mezzi militari nei territori russi al confine con altre parti dell’Ucraina: il giornalista israeliano Moshe Schwartz ne ha pubblicati alcuni provenienti dalla regione di Belgorod, a pochi chilometri in linea d’aria dalla città ucraina di Charkiv.

I territori più a rischio sono comunque considerati quelli all’interno delle regioni di Donetsk e Luhansk controllati dal governo ucraino. Una delle città ritenute uno dei possibili obiettivi dell’esercito russo è Mariupol, uno dei principali porti nel sud del paese. Martedì sera in città si è tenuta un’affollata manifestazione a favore del governo centrale ucraino.

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Dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, sempre più osservatori sembrano convinti che l’esercito russo non si limiterà a occupare più stabilmente i territori delle due repubbliche autoproclamate, ma che avanzerà anche in territorio ucraino. Diversi funzionari occidentali hanno detto  al Financial Times di essere «quasi certi» che nei prossimi giorni la Russia «attaccherà una serie di territori che non sono occupati dai separatisti, e che potrebbe attaccare anche Kiev e alcune basi militari strategiche».

Diversi analisti sono convinti che l’esercito russo non potrà rimanere posizionato sul confine e nelle due repubbliche autoproclamate, cioè fuori dalle proprie basi, per molto tempo. Fonti del Guardian spiegano che finora è stato mobilitato circa un terzo dell’esercito russo, che quindi si trova in territori sconosciuti, al freddo, senza sapere esattamente quali saranno gli ordini a breve.

«Se le truppe dovranno essere usate, è probabile che verranno usate molto presto, mentre sono ancora fresche», ha detto Nick Reynolds, un esperto di combattimento via terra del centro studi britannico Royal United Services Institute (Rusi). Esiste ancora la possibilità, seppure sempre meno citata, che queste truppe non vengano utilizzate e si ritirino tornando nelle proprie basi.

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Quando lo “Zar” si traveste da storico…

Annota Il Post: “Con una veemenza e una convinzione che hanno stupito anche gli esperti che hanno più familiarità con le sue distorsioni storiche, nel suo discorso di lunedì Putin ha detto, tra le altre cose, che l’Ucraina «non ha mai avuto una tradizione stabile come nazione a sé stante» e che è stata sostanzialmente inventata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica all’inizio del Novecento: «L’Ucraina moderna è stata interamente e completamente creata dalla Russia», ha detto Putin. Martedì ha ripreso la questione il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che è arrivato a dire che l’Ucraina ‘non ha il diritto di essere una nazione sovrana’.

Non è certo la prima volta che Putin esprime idee di questo tipo: sono anni che lo fa, sostenendo pubblicamente che russi e ucraini siano «un solo popolo». Lo disse nel 2014, in occasione dell’annessione della Crimea, lo ha ripetuto varie volte in interviste  e interventi pubblici e lo ha ribadito anche lo scorso luglio in un suo lungo saggio intitolato “Sull’unità storica dei russi e degli ucraini”: il saggio sostiene, in sostanza, che l’Ucraina appartenga alla Russia e che la formazione di un’identità nazionale ucraina staccata dalla Russia sia da considerarsi un «progetto anti-russo». Sono tutte opinioni condivise e ribadite pubblicamente anche dagli alleati stretti di Putin, con formule anche molto fantasiose, come quella di Vladislav Surkov, consigliere di Putin sulla questione ucraina, che definì l’Ucraina «uno stupefacente entusiasmo per l’etnografia, portato agli estremi».

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Uno degli argomenti usati da Putin per sostenere che l’Ucraina non possa essere considerata una nazione sovrana, per esempio, è che parte dell’attuale Ucraina faceva parte della cosiddetta Rus di Kiev, cioè l’insieme di tribù slave, baltiche e finniche che nel Nono secolo creò una lasca entità monarchica che si estendeva dal mare Bianco nel nord al mar Nero nel sud, e che dunque comprendeva parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo. Secondo Putin, la comune appartenenza alla Rus di Kiev è da considerarsi il fondamento di una comune identità. Parliamo però di eventi che risalgono a oltre un millennio fa..”.

Non basta. Annota ancora Il Post: “Tra le altre cose, Putin ha detto, come già in altre occasioni, che l’Ucraina non esisterebbe se non fosse stato per Vladimir Lenin, che al momento della creazione dell’Unione Sovietica decise di fare dell’Ucraina una repubblica separata dalla Russia…”.

Non importa contrastare queste ricostruzioni “storiche”. Il fatto grave è che lo “Zar” abbia toccato queste corde per conquistare il consenso panrusso. Mala tempora currunt.  

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