Guerra in Ucraina: a vincere è comunque il Gigante cinese
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Guerra in Ucraina: a vincere è comunque il Gigante cinese

La Cina, pur condannando la guerra, dà tutta la responsabilità alla Nato e agli Usa e continua a insistere che le sanzioni alla Russia non hanno base legale

Guerra in Ucraina: a vincere è comunque il Gigante cinese
Putin e Xi Jinping
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Marzo 2022 - 14.21


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Il Gigante cinese si schiera.

“La colpa della guerra in Ucraina è degli Stati Uniti. Non usa mezzi termini il portavoce del ministro degli Esteri cinese Zhao Lijian: “Sono state le azioni della Nato guidata da Washington che hanno gradualmente spinto” Mosca e Kiev fino al punto di rottura.  

“Ignorando le proprie responsabilità”, continua Zhao Lijian, “gli Usa accusano invece Pechino della propria presa di posizione sulla vicenda e cercano margini di manovra nel tentativo di sopprimere la Cina e la Russia, per mantenere la propria egemonia” Sul fronte sanzioni la Cina sottolinea come non abbiano fondamento nel diritto internazionale. “Non porteranno pace e sicurezza” ha detto Zhao Lijian “ma avranno la sola conseguenza di provocare gravi difficoltà all’economia e ai popoli dei Paesi interessati intensificando ulteriormente la divisione e il confronto”.

La Società della Croce Rossa cinese, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, ha inviato un lotto di materiali per aiuti umanitari, inclusi cibo e necessità quotidiane, per un valore complessivo di cinque milioni di yuan (circa 723mila euro). Il lotto, ha aggiunto Zhao Lijian, è stato spedito oggi da Pechino, e sarà consegnato in Ucraina “il prima possibile”.

Due contributi per capire meglio

Annota Pierre Haski, direttore di France Inter, in un articolo pubblicato e tradotto in italiano da Internazionale.

“Le diplomazie occidentali – rimarca tra l’altro Haski – si aggrappano all’idea che la Cina, in questo conflitto, non abbia gli stessi interessi della Russia, come dimostra l’astensione di Pechino in occasione del voto delle Nazioni Unite della settimana scorsa. La Cina ha bisogno di stabilità economica perché è pienamente coinvolta nella globalizzazione, mentre la Russia si limita a esportare materie prime. Il caos provocato dalla guerra non va bene per gli affari cinesi, e il governo preferirebbe un ritorno alla stabilità.

Ma questo non basta a trasformare la Cina in un alleato dell’occidente in questa crisi. Pensare il contrario sarebbe un controsenso. L’aspetto fondamentale è un altro: la Cina può contribuire alla soluzione o è parte del problema? 

Pechino e Mosca non hanno stretto un’alleanza nel senso formale del termine, ma si definiscono reciprocamente “partner strategici”. Questo rapporto ha continuato a rafforzarsi nel corso dell’ultimo decennio, e la dichiarazione congiunta di Putin e Xi alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina lo ha dimostrato per l’ennesima volta. 

La Cina non approva il metodo impiegato dalla Russia contro l’Ucraina, anche perché manteneva buoni rapporti con Kiev. Tuttavia, a parte l’astensione all’Onu, Pechino non ha fatto nulla per arginare Mosca. Soprattutto la Cina non si è unita alle sanzioni economiche contro la Russia e i due paesi condividono lo stesso obiettivo: cambiare i rapporti di forza con gli occidentali. Questa missione è all’origine di un clima da guerra fredda tra Pechino e Washington. 

La situazione con la Russia è abbastanza grave da spingerci a coltivare qualsiasi speranza di un intervento capace di far cambiare idea a Putin. Gli statunitensi hanno addirittura condiviso con i cinesi le informazioni in loro possesso prima dell’invasione, nella speranza che potessero portare a un allentamento della tensione. 

Ma la Cina è prudente, anche perché nel paese esiste una corrente nazionalista che simpatizza apertamente con Putin e i suoi metodi. Quando Didi, l’Uber cinese, ha annunciato la settimana scorsa il ritiro dal mercato russo a causa delle circostanze, la società è stata duramente criticata dagli internauti nazionalisti ed è stata costretta a fare marcia indietro”.

Così il direttore di France Inter

Il secondo contributo è di Eleonora Zucca che su Valigia Blu scrive: “La posizione della Cina rispetto alla guerra in Ucraina è stata riassunta dallo stesso ministro Wang Yi in 5 punti dove viene sottolineato come la priorità sia quella di evitare che la situazione peggiori ulteriormente, si incoraggia qualsiasi sforzo diplomatico volto a una soluzione pacifica e viene rimarcato il ruolo costruttivo che ricopre in questi contesti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oltre a sostenere ancora una volta il rispetto per la sovranità e integrità nazionale. Insomma, come viene scritto al punto tre, “l’attuale situazione è qualcosa che non vogliamo vedere”.

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Una delle questioni più dibattute da analisti e quotidiani relative alla posizione della Cina rispetto alla guerra in Ucraina è se Pechino fosse o meno a conoscenza dei piani di Putin. Il 4 febbraio, infatti, il presidente Xi Jinping ha accolto Putin nella capitale in occasione dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali – ricordiamo che il presidente Xi durante i due anni di pandemia non è mai uscito dal paese per incontri presidenziali – per sottoscrivere un documento congiunto che sancisce un’amicizia “senza limiti” basata sul coordinamento nella politica estera, la difesa degli interessi comuni, l’aumento della cooperazione contro le azioni di forza esterne e l’opposizione all’ulteriore allargamento della Nato. I giornalisti Edward Wong e Julian E. Barnes, in un articolo del 2 marzo sul New York Times, scrivono che secondo un report dell’intelligence occidentale furono gli stessi funzionari cinesi a chiedere agli omologhi russi di non avviare le operazioni di invasione prima della conclusione dei giochi olimpici. Tuttavia, nello stesso articolo si precisa come differenti servizi di intelligence abbiano interpretazioni dell’incontro contrastanti e che “non è chiaro fino a che punto l’informazione [del piano di invasione] sia stata condivisa”.

Sapere se la Cina fosse a conoscenza o meno è importante per capire fino a che punto sia complice di Putin, e definire quanto sia profonda la relazione sino-russa lo è altrettanto per intuire le prossime mosse di Xi Jinping – spiega l’analista Yun Sun in un articolo su Stimson, nel quale evidenzia alcune criticità nella comunicazione e nelle scelte prese da Pechino nei giorni precedenti all’invasione. L’ambasciata cinese in Ucraina, nell’arco di 48 ore, è passata dal suggerire di attaccare sulle proprie automobili adesivi contraddistintivi   con la bandiera cinese per poi fare dietrofront e chiedere di non rivelare la propria identità per motivi di sicurezza. Inoltre, sempre l’ambasciata a Kyiv ha le procedure di registrazione dei cittadini per una evacuazione il giorno stesso in cui Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina. E la scadenza per la registrazione era stata fissata il 27 febbraio, tre giorni dopo la chiusura dello spazio aereo ucraino, di fatto impedendo a molti cittadini cinesi di fuggire per tempo”. […] Oggi la Cina è nella posizione di risultare il grande vincitore di questa crisi, a condizione che non sia percepita né come un piromane degli occidentali né come un partner inaffidabile da Mosca. Una porta stretta che purtroppo non contribuisce molto a risolvere il conflitto”, rimarca ancora Zocca

Per concludere,  un documentato report di Start Magazine: “La Cina vuole venire in soccorso? Sì. Può? In una certa misura”, riassume Alicia García-Herrero, capo economista dell’Asia alla banca d’investimento Natixis, in una conversazione telefonica da Taipei. Finora – leggiamo su El Pais – le sanzioni degli Stati Uniti, dell’UE e di altri alleati si sono concentrate – oltre a punire individui chiave nel governo, tra cui lo stesso presidente Vladimir Putin, e a chiudere lo spazio aereo – sul settore finanziario. Le misure contro la Banca centrale della Federazione russa congelano le riserve depositate in altri paesi, per un totale di circa 630 miliardi di dollari (568 miliardi di euro). Anche altre banche commerciali hanno avuto le loro attività estere congelate. L’espulsione dalla piattaforma SWIFT, seguita da un numero crescente di paesi, rende anche più difficile e costoso per le banche russe operare all’estero. Finora, le punizioni non hanno toccato i gioielli della corona delle esportazioni russe, il petrolio e il gas – che portano circa 700 milioni di dollari al giorno di entrate alle casse di Mosca – anche se questo, in caso di conflitto prolungato, potrebbe cambiare.

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Dal 2014, con le sanzioni internazionali che hanno messo Mosca alle corde dopo la sua annessione della penisola ucraina di Crimea, la Russia ha preso misure per impermeabilizzarsi contro possibili punizioni occidentali. Ha tagliato il suo debito estero, aumentato le sue riserve d’oro e di valuta estera e ridotto la sua dipendenza dai mercati europei, che sono passati dal 50% circa del commercio russo al 32% di oggi – circa 250 miliardi di dollari.

E la dichiarazione congiunta, firmata il 4 febbraio durante l’incontro del presidente Putin con il suo omologo cinese Xi Jinping a Pechino, collega Russia e Cina – seconda più grande economia del mondo – a un livello senza precedenti. La collaborazione tra i due “non conosce limiti”, hanno dichiarato i due leader.

Questa collaborazione può estendersi all’assistenza della Cina per aiutare il suo partner strategico ad attutire – come ha fatto in passato – l’effetto delle sanzioni, che stanno già iniziando a farsi sentire. Il rublo è sceso fino al 30% lunedì.

Alcuni passi sono già stati fatti: il 4 febbraio ha firmato accordi per aumentare le forniture di petrolio e gas russo per i prossimi 25-30 anni per un importo di 117,5 miliardi di dollari (circa 105,9 miliardi di euro). Ha anche eliminato le restrizioni alle importazioni di grano russo. “Non c’è dubbio che la Cina vuole aiutare il suo partner”, dice García-Herrero. “Se la Russia è vittoriosa, la Cina ha bisogno che Putin sia in debito con lei. È un modo per difendere i suoi interessi in una parte molto grande del mondo: Mongolia, Kazakistan… E se Mosca perde, deve proteggere i suoi interessi nella Russia stessa”. In quest’ultimo caso, potrebbe, tra l’altro, approfittare dell’opportunità di sostituire le multinazionali straniere nelle major petrolifere della Russia o aumentare la sua collaborazione nell’Artico. Finora la Cina ha optato per una parvenza di neutralità. Appoggia il suo alleato, ma soprattutto per omissione: non ha condannato l’invasione né ha aderito alle sanzioni, che considera “illegali”. Finora, tuttavia, gli Stati Uniti non hanno trovato alcuna indicazione che la Cina intenda violare queste sanzioni.

“L’assistenza materiale che la Cina fornirà sarà limitata perché deve essere limitata. La Cina non può andare oltre”, ha detto mercoledì ai giornalisti Mikko Huotari, direttore del think tank tedesco Merics, specializzato in Cina. “Ma tale assistenza sarà un’ancora di salvezza per Mosca”.

Tra le altre cose, Pechino può intensificare il suo commercio con il suo vicino del nord, una tendenza che sta accelerando dal 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea e le sanzioni internazionali hanno messo il paese alle corde. Se allora il commercio tra i due rappresentava il 10% del totale della Russia, oggi rappresenta il 18% e ammonta a quasi 150 miliardi di dollari. Gas, petrolio e prodotti agricoli rappresentano i principali acquisti della Cina: dal 2014 il consumo di gas russo da parte del paese è triplicato, grazie all’inaugurazione nel 2019 del gasdotto Power of Siberia 1. La Russia, da parte sua, acquista dal suo partner prodotti manifatturieri, prodotti chimici e attrezzature per le telecomunicazioni.

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Ma dato il divario di volume è ancora enorme nella bilancia commerciale Russia-UE e Pechino “non può sostituire l’Europa”. “Soprattutto nel settore del gas”, sottolinea García-Herrero. Come ricorda l’economista, non ci sono connessioni tra i gasdotti russi che inviano il combustibile in Europa e la Power of Siberia 1, il che rende “impossibile per la Cina assorbire il surplus di gas che la Russia avrebbe se l’Occidente decidesse di imporre sanzioni su questo prodotto o se la Russia decidesse di non venderlo all’Europa”. I due paesi stanno negoziando un secondo gasdotto, Power of Siberia 2, anche se la sua costruzione e l’entrata in servizio potrebbero richiedere anni dopo la conclusione dell’accordo.

Inoltre, ci sono aree in cui la Cina semplicemente non può servire come alternativa all’Europa o agli Stati Uniti quando si tratta di fornire prodotti alla Russia, come nel caso di quelli farmaceutici.

“Un’altra questione chiave sarà nel settore della tecnologia e delle comunicazioni. Chiaramente, c’è un’enorme opportunità per i proxy cinesi di coprire le potenziali perdite della Russia dalle sanzioni tecnologiche in arrivo. Ma la fornitura di attrezzature high-tech e semiconduttori è una questione globale e non sembra che la Cina possa essere facilmente un sostituto”, ha notato Huotari.

Pechino può dare una mano nel settore finanziario. Circa il 13% delle riserve della Russia, più o meno 90 miliardi di dollari, sono denominate in renminbi, la valuta cinese, e la Banca Popolare Cinese (PBoC, banca centrale) non bloccherà il loro uso. Potrebbe forse permettergli di passare quei fondi nella valuta statunitense per fornire liquidità, anche se secondo il capo economista di Natixis “sarebbe una grande dimostrazione di sostegno… se lo fa, sarà in cambio di qualcosa”. La Russia ha anche una linea di swap con la PBoC del valore di 150 miliardi di yuan, quasi 24 miliardi di dollari. “La PBoC potrebbe stabilire una linea di credito in dollari per fornire liquidità in valuta forte alla Russia, ma c’è un ovvio rischio di credito”, ha detto Natixis.

Meno chiaro è il sollievo che potrebbe venire dalla chiusura della piattaforma SWIFT per le sue operazioni bancarie. La Cina ha il suo sistema alternativo, CIPS, che le banche russe potrebbero usare. Ma anche questo meccanismo non è del tutto indipendente da quello internazionale e il suo livello di transazioni è molto inferiore a quello del suo rivale: mobilita 50 miliardi di dollari al giorno di transazioni, contro i 400 miliardi di dollari di SWIFT. “Sarà un costo di transazione molto alto e solo con le banche russe perché non c’è nessuno che opera a livello internazionale con CIPS, non c’è davvero liquidità”, spiega García-Herrero.

Chen Xin, professore alla Fudan University di Shanghai, si è espresso in termini simili in un’intervista al Guanchaonline, in cui ha sottolineato che consentire alle banche russe di utilizzare CIPS potrebbe esporre le istituzioni finanziarie cinesi a sanzioni: “È un sistema che si basa ancora su una rete di banche, che potrebbe essere sanzionato dagli Stati Uniti. Se nessuno è autorizzato a fare affari con quelle banche cinesi e altri paesi si uniscono a queste sanzioni, il sistema non funzionerà”.

Come riassume García-Herrero, “non c’è modo che la Cina possa mitigare completamente” il danno all’economia russa. “Un’altra cosa è che può attutire i colpi, ma ogni volta che ne attutisce uno, passerà il conto (a proprio vantaggio). Questa è l’idea”. Huotari, da parte sua, sottolinea che la Russia “diventerà chiaramente più dipendente dalla Cina in futuro”.

Una dipendenza che la guerra d’Ucraina sta rendendo ancor più stringente.

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