In marcia ad Assisi e a Milano per la pace e per l'antifascismo

Dopo l’Anpi, la Cgil, l’Arci, la miriade di organizzazioni cattoliche Emergency, Amnesty International, l’Aoi (Associazione ong italiane) ora tocca pure agli organizzatori della Marcia PerugiAssisi  essere bollati di filoputinismo.

In marcia ad Assisi e a Milano per la pace e per l'antifascismo
Manifesto per la Perugia-Assisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Aprile 2022 - 12.49


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 E così, pure gli eredi di Aldo Capitini sono finiti nella lista di proscrizione degli “amici di Putin”. Dopo l’Anpi, la Cgil, l’Arci, la miriade di organizzazioni cattoliche che compongono l’ossatura del mondo solidale, Emergency, Amnesty International, l’Aoi (Associazione ong italiane) e l’elenco potrebbe riempire una pagina intera, ora tocca pure agli organizzatori della Marcia Perugi-Assisi  essere bollati di filoputinismo. La “colpa”?

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Il fatto che l’edizione straordinaria della Marcia, domenica 24 aprile, ha come titolo “Fermatevi”. Apriti cielo! Vergognatevi. Miserabili. Utili idioti al servizio del “macellaio” genocida del Cremlino. Se le parole fossero piombo, il terreno sarebbe pieno di cadaveri. Ora basta. Basta con questo insopportabile pensiero unico interventista. Basta con chi fino a due mesi fa pensava che il Donbass fosse una casella di Risiko e che oggi agita l’indice accusatorio e dà il via alla caccia al pacifista. Così non va. Non vanno quei direttori che si scoprono “commander in chief” di una stampa che si arroga il diritto-dovere di indicare al pubblico ludibrio quanti, a loro avviso, non si schierano senza se e senza ma a fianco della resistenza ucraina. In questa narrazione in mimetica, i pacifisti diventano i “nuovi kapò” al servizio delle camicie rossobrune di Mosca, perché si permettono di sostenere che solidarizzare con l’aggredito, il popolo ucraino, non deve per forza tradursi nell’invio di armamenti, sempre più letali. E che si può solidarizzare anche in altre modalità.  Basta. La red line della decenza è stata ampiamente superata. Superata, peraltro, da chi, alla guida di giornali un tempo popolari e oggi sempre più in caduta libera quanto a vendite (ci sarà una ragione..) la stessa solidarietà militante mostrata nei confronti della resistenza ucraina, non si è porta verso la resistenza palestinese o quella curda. Sia chiaro. Lungi da noi di  Globalist, partecipare alla spregevole gara del “chi è più solidale con chi”. Noi rifiutiamo una gerarchizzazione degli orrori, non contrapponiamo ai bimbi ucraini uccisi dall’artiglieria russa, i bimbi iracheni massacrati nella guerra voluta dal duo Bush&Blair, o i bambini yemeniti la cui vita è stata spezzata dalle bombe, anche made in Italy, vendute dall’Occidente alla Coalizione a guida saudita. L’elenco potrebbe allungarsi, includendo anche i bambini palestinesi. Ma lasciamo ad altri questo ignobile esercizio. Qualcosa, però, va detta. Va detto, ad esempio, che non è tollerabile che l’Europa accetti la creazione, di fatto, di rifugiati di Serie A, gli ucraini, a cui si aprono le frontiere – cosa assolutamente giusta – mentre quelle stesse frontiere (vedi la Polonia) vengono sbarrate a rifugiati che scappano da guerre colpevolmente “ignorate”. Così come non va bene, presidente Draghi, che i soldi per sostenere l’accoglienza di rifugiati ucraini vengano stornati dai già scheletrici budget dell’aiuto italiano allo sviluppo e alla cooperazione internazionale. E poi, non basta dire siamo dalla parte degli aggrediti. Su questo, non c’è partita. Poi, però, qualche riflessione in più andrebbe fatta, e chi fa questo sforzo, come Lucio Caracciolo, direttore di Limes, di cui chi scrive si fa onore di essere amico e collaboratore, viene tacciato di essere, pure lui, un amico di Putin. Si può dire, senza per questo essere messi sul banco degli amici dei carnefici, che definire Putin un “macellaio”, il mandante di un genocidio, come a più riprese ha fatto il presidente Usa, Joe Biden, non favorisce l’apertura di un tavolo negoziale? Si può dire, senza essere tacciati di collusione con il barbaro del Cremlino, che l’escalation verbale può forse servire, all’inquilino della Casa Bianca, a risalire nei catastrofici sondaggi per le elezioni di mid term, ma che il suo interesse interno non coincide con gli interessi dell’Europa? Macron lo ha fatto presente. Anche lui è al servizio del Cremlino? Questo killeraggio mediatico deve essere combattuto. 

Nino Lisi è un caro amico dai tempi, ormai lontani, della sua militanza nei cristiani per il socialismo. Per chi non lo conosce, si fidi: è una persona perbene, che ha dedicato la sua vita alla difesa dei più indifesi. In particolare, i palestinesi, l’unico popolo al mondo oggi sotto occupazione. Ecco un suo pensiero: Chissà perché nel pure apprezzato telegiornale de La 7, diretto da Enrico Mentana, gli Ucraini che si battono in armi contro gli invasori Russi che da 58 giorni cercano di occupare il loro Paese  vengono giustamente considerati eroici resistenti ed invece vengono chiamati facinorosi i Palestinesi che, non ricevendo armi da alcuno, si battono con le pietre  contro gli invasori Israeliani che occupano tutta la loro Terra da 55 anni?. Chissà perché mentre la Russia dell’autocrate Putin è giustamente oggetto di sanzioni e condanna ed  i Russi sono oggetto di ostracismo a tutti i livelli,  Israele invece, pur  condannato infinite volte dall’ONU e documentatamente accusato da Amnesty International  di praticare l’apartheid continua ad essere considerato dai media di tutto il mondo un paese democratico?  

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Chiedo lumi. Grazie 

Nino Lisi. 

Anche lui è un amico di Putin, con le mani intrise di sangue ucraino? 

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Ma torniamo alla Marcia PerugiAssisi. Riportiamo il manifesto che non è piaciuto neanche un po’ al collega Stefano Cappellini di Repubblica. Scrive Cappellini, collega che stimiamo, per davvero: “Quando l’ho visto, ho stentato a crederlo vero. Il manifesto della marcia per la pace Perugia-Assisi, uno degli appuntamenti più nobili del calendario nazionale, è un pugno in faccia. Un affronto. Una vergogna. Dispiace usare termini forti, ma è inevitabile.

Guardatelo. Innanzitutto, lo slogan, “Fermatevi”, che intima lo stop a entrambe le parti come se il conflitto fosse voluto e alimentato da tutte e due. Non un aggredito e un aggressore, bensì due belligeranti sullo stesso piano, l’uno e l’altro decisi a usare la violenza e la sopraffazione. La traduzione visiva dell’immorale tesi della “guerra per procura”, l’idea cara a molti che gli ucraini non stiano combattendo per difendere la loro nazione, la loro democrazia, la pace delle loro vite e delle loro famiglie, ma siano le truppe mercenarie dell’Occidente, degli Usa, della Nato, della Ue. Una tesi che è l’ultimo vilipendio dei cadaveri ucraini, lo sberleffo che nega a chi si difende anche la dignità della propria lotta, però camuffato da intransigenza pacifista, da lotta alla “sporca guerra” in quanto concetto astratto senza nessun collegamento con la realtà, il sangue, la devastazione, gli stupri che l’invasione putiniana ha portato in Ucraina.

Poi c’è l’immagine, agghiacciante, pura mistificazione: due civili, una mamma e il suo bimbo, terrorizzati da proiettili che provengono da direzione opposta, uno bianco e uno nero, uno vale l’altro, spari paralleli ed equivalenti, nessuna differenza, non sono le vittime di una parte, non sono i trucidati di Bucha, Borodyanka, Mariupol, sono le vittime neutrali – anche qui ideali nel senso di irreali – di due pazzi belligeranti. Già l’appello di convocazione della marcia conteneva questa visione, ma vederla tradotta in manifesto è un vero choc…”.

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Un j’accuse pesantissimo, quello rivolto ai pacifisti succubi, se non collusi, con i criminali russi. 

Questo è il testo del manifesto-appello.

FERMATEVI:
LA GUERRA È UNA FOLLIA!

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Ogni giorno che passa, lo scontro s’innalza e la guerra diventa più disumana e cieca distruggendo ogni residuo spazio di pace. Per questo ripetiamo che va fermata subito!!!

Fermare la guerra vuol dire negoziare subito, con determinazione, su tutto: il cessate il fuoco, i corridoi umanitari, la fine della guerra, la sicurezza per tutti, il disarmo, il rispetto dei diritti umani di tutti, comprese le minoranze. Tutte le strade vanno percorse. Bisogna dialogare con tutti.

E’ urgente l’apertura di un negoziato multilaterale serio, strutturato, concreto, onesto e coraggioso, sotto l’autorità delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale dell’Onu, i responsabili dell’Unione Europea e della politica internazionale lo devono fare ora! Guardando al presente ma anche al futuro. Per salvare la povera gente che è rimasta sotto le bombe. Per scongiurare la catastrofe atomica. Per impedire l’esplosione di una nuova devastante crisi sociale e ambientale. Non c’è obiettivo più importante!

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Moltiplichiamo le iniziative di pace e domenica 24 aprile, vigilia della Festa della Liberazione, partecipa alla Marcia straordinaria PerugiAssisi della pace e della fraternità.

Nessuno si rassegni alla guerra e alla corsa al riarmo! Nessuno si pieghi alle leggi della violenza. Nessuno ceda alla logica amico-nemico. Risolviamo i problemi che non abbiamo ancora voluto affrontare nel rispetto del diritto internazionale. Basta con la propaganda di guerra! Fermiamo la circolazione dell’odio e dell’inimicizia. Facciamo pace. Prendiamoci cura delle vite degli altri, sempre, comunque e dovunque senza distinzioni di alcun genere.

Siamo solidali con gli ucraini e con tutte le vittime di tutte le guerre dimenticate che continuano a insanguinare il mondo. Con i russi che si oppongono alla guerra, con chi è costretto a farla e con le vittime della persecuzione anti-russa. Con tutti i bambini e le bambine, le donne e gli uomini di ogni età che pagheranno le dure conseguenze della guerra, in Italia e nel resto del mondo.

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Chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Fin qui il manifesto di convocazione. 

Giorgio Beretta è una persona seria. Scrupolosa. E’ contro la corsa a riarmo perché sa di cosa parla. 

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Leggete questo: “Ad oltre cinquanta giorni dall’invasione militare russa in Ucraina non accennano a placarsi le accuse nei confronti dei pacifisti. Una lunga lunga serie di epiteti è stata impiegata per etichettarli. Da quelli più volgari (“putiniani”, “filo-russi”, “pacifisti in poltrona”), a quelli più raffinati (“equidistanti”, “non interventisti”, “pacifisti passivi”) fino a quelli apparentemente più cordiali e, proprio per questo, più insidiosi (“utopisti”, “anime belle”, “pacifisti integrali”). Nonostante siano costantemente chiamati in causa nel “dibattito pubblico”, raramente sono stati invitati a presentare le proprie posizioni tanto che sorge spontanea una domanda: cosa hanno davvero detto i pacifisti? Proverò a rispondere richiamando alcuni interventi delle principali associazioni nazionali e di alcuni esponenti del pacifismo, tra cui alcuni dei miei.

Un mese prima dell’aggressione militare della Russia all’Ucraina, con un comunicato stampa la Rete italiana pace e disarmo ha chiesto all’Italia e all’Europa di promuovere un’iniziativa di neutralità attiva per ridurre la tensione e favorire un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte, chiarendo la propria indisponibilità a sostenere avventure militari. In un successivo ampio documento, Rete italiana pace e disarmo ha spiegato cosa intende con “neutralità attiva” – che non èequidistanza – ma è ancorata al diritto internazionale con un effettivo impegno per una reale de-escalation militare, sostenendo la neutralità dell’Ucraina come parte del processo di distensione regionale e attivando un dialogo diretto tra le istituzioni europee, a partire dal Consiglio d’Europa, e la Federazione Russa, in una logica di sicurezza condivisa, di cooperazione e di promozione dei diritti umani e della democrazia. […]. A chi accusa i pacifisti di essere “putiniani”, le associazioni pacifiste hanno ricordato che, a differenza di diversi rappresentanti politici italiani, hanno sempre denunciato le violazioni dei diritti umani e civili nella Russia di Putin. E che sono stati i primi – quando l’Italia nel 2011 con il governo Berlusconiha cominciato a vendere armamenti alla Russia –  a chiedere di revocare quelle vendite perché erano in palese contrasto con le norme della legge nazionale 185/1990 che vieta di esportare sistemi militari a regimi repressivi e che sono coinvolti in conflitti armati. Esportazioni che sono continuate anche dopo l’invasione russa in Crimea nonostante l’embargo di armi decretato nel luglio del 2014 dall’Unione Europea nei confronti della Russia. Con un’appendice che rivela la spregiudicatezza negli affari da parte del comparto militare-industriale: il tentativo di esportare in Ucraina i 94 blindati Lince che erano stati inizialmente destinati alla Russia ed erano bloccati per via dell’embargo. Un’iniziativa che fu prontamente denunciata da parte di Rete Disarmo e che portò il ministero della Difesa a smentire pubblicamente le notizie già diffuse dal governo ucraino.[…]. Se c’è qualcuno che non ha ancora capito che il movimento pacifista e le sue associazioni fanno tutt’altro che chiacchiere, ma avanzano da anni proposte concrete e sono promotori di istanze che mettono in pratica di persona, possono essere utili le parole di Mao Valpiana.  “A tutti quelli che ci dicono che il nostro è un pacifismo da divano, ricordo che dal 1948 come obiettori di coscienza siamo andati in carcere con Pietro Pinna e che da allora in poi non abbiamo perso un giorno di lavoro per il disarmo, per la riduzione delle spese militari, per la smilitarizzazione della Nato, per la smilitarizzazione prima dell’Unione Sovietica (siamo andati anche lì a manifestare e farci arrestare) e poi della Russia chiedendo che l’Italia non gli vendesse le armi, e abbiamo lavorato quotidianamente per far crescere il movimento dei resistenti alla guerra. E in tutto questo siamo stati isolati e ignorati dalla gran parte delle forze politiche e dei giornali che oggi si scoprono bellicisti e vogliono più armi e più fondi per aumentare ancora i bilanci militari di tutti i paesi d’Europa, felici di correre verso il baratro. A tutti questi bellicisti da divano, chiedo: dove eravate fino a ieri?”.

Così Beretta.

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In marcia

“Abbiamo conosciuto e ascoltato chi ha fatto la Resistenza, partigiani, sfollati, deportati che ne sono usciti feriti nel corpo e nell’anima per tutto il resto della loro esistenza, ma comunque vivi. Abbiamo poi conosciuto e ascoltato in anni recenti altre vittime di guerre e dittature, dall’America Latina al Medio Oriente, e nessuno di loro per quelle strade vuole più tornare; per tutti loro la guerra è un tabù, il peggiore degli incubi, una follia da “ripudiare”, fuori dalla ragione umana. Per questo chi parla ancora di armi e guerra senza aver compreso la lezione che viene quelle storie è un irresponsabile che segue altri interessi disumani o non è preparato per rappresentare o prendere decisioni per altri… in tutti i casi è da fermare.

Solo a nominare la data, il 25 aprile, viene un’emozione forte, memoria dell’orrore e gioia della rinascita. È la luce che squarcia le tenebre. È il parto della democrazia, il pensiero della libertà, della gioia di respirare la libertà, mettere alle spalle l’oppressione, il fascismo, la dittatura, l’odio, il razzismo, la discriminazione, la persecuzione.
Il 25 aprile è la metafora delle lotte di liberazione di tutta l’umanità. È il mai più guerre, il mai più Auschwitz. Non vedere più carneficina. Non vedere più l’uomo ridotto a un numero da sterminare. L’insegnamento che dobbiamo saper cogliere da chi è passato per le guerre di liberazione, da chi ha lottato con le armi o senza le armi per la libertà e la dignità, è di non cadere più nella trappola mortale, disumana della guerra.

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Sì, perché la Resistenza non è stata solo lotta partigiana in montagna con le armi. La Resistenza è stata un fenomeno diffuso, è stata anche resistenza civile, resistenza delle donne disarmate che mantenevano le famiglie dei partigiani, resistenza delle staffette partigiane, resistenza civile degli intellettuali, resistenza di chi nascondeva gli ebrei, resistenza di chi aiutava i disertori della Repubblica di Salò, resistenza dei sacerdoti cattolici che sostenevano gli antifascisti perseguitati, resistenza dei partigiani nonviolenti che non hanno mai voluto togliere la sicura al fucile ma partecipavano agli atti di sabotaggio, resistenza anche di chi si è opposto agli atti di vendetta verso i fascisti. La resistenza è stata quella di Arrigo Boldrini e Nuto Revelli, ma anche di Aldo Capitini e Riccardo Tenerini, scelte diverse nell’uso o nel rifiuto delle armi, ma identiche nella finalità e nel successivo impegno politico per liberare il mondo dal flagello della guerra.


Dire no alla guerra, no al riarmo, rifiutare la logica del più forte e del più potente, respingere l’idea che la violenza assassina si sconfigge con altra violenza più assassina, non significa rinunciare alla lotta per la libertà, ma al contrario, è prendere il testimone di chi è passato per le tragedie della storia ed ha deposto le armi, affidandoci la Carta Costituzionale dove possiamo trovare le risposte per mantenere e rafforzare la pace e la convivenza.
Il 25 aprile ci deve dare il coraggio di proseguire sulla strada dei costituenti, cercando senza indugio e con tutte le nostre risorse la strada della nonviolenza e dalla Pace. Per questo il 25 aprile saremo a fianco dell’Anpi nel dire che la Liberazione oggi si chiama disarmo, la Resistenza oggi si chiama Nonviolenza”.

Così, in comunicato, la Rete Italiana Pace e Disarmo.

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Chi pensa questo, chi scrive questo, può essere tacciato, in buona sostanza, di essere la quinta colonna dello Zar in Italia?

La nostra risposta, secca è: No. Ma questo non piace ai “commander in chief” della stampa mainstream. Ce ne faremo una ragione. Intanto, buona marcia, PerugiAssisi. 

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