Ritratto di Alexander Lukashenko, l'autocrate bielorusso imbottito di missili

Lukashenko ha un vizio antico come la dittatura: chi si oppone a lui, dev’essere eliminato, messo in carcere o altro.

Ritratto di Alexander Lukashenko, l'autocrate bielorusso imbottito di missili
Alexander Lukashenko
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Giugno 2022 - 18.45


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Mentre su Kiev piovono i missili russi, che non risparmiano asili e altri obiettivi civili, altri missili, “amici”, finiscono negli arsenali dell’alleato più fedele, servile, dello Zar del Cremlino: l’autocrate di Minsk, al secolo Alexander Lukashenko. La Bielorussia e la Russia devono essere pronte a schierare anche “l’arma più seria”, per difendersi da attacchi esterni, tuona Lukashenko, durante il suo incontro con l’omologo russo Putin, a San Pietroburgo: “Non lo nasconderò: sollevo questa questione così possiamo prepararci a tutto, anche per lo schieramento dell’arma più seria per proteggere la nostra Patria, da Brest a Vladivostok”, ha detto Lukashenko. Il presidente bielorusso ha affermato di aver discusso con Putin in “modo esteso” le questioni di difesa e sicurezza: “così che i nostri popoli – i russi e i bielorussi – sappiano che sono sotto seria protezione”. Durante il colloquio con il presidente russo, il dittatore della Bielorussia  ha affermato che “il blocco del transito tra l’enclave russa di Kaliningrad e la Lituania da parte di Vilnius equivale a una dichiarazione di guerra de facto”. Lo riporta l’agenzia statale russa Ria Novosti. La Russia fornirà alla Bielorussia missili a corto raggio Iskander-M, tra i più moderni nell’arsenale di Mosca e capaci anche di trasportare testate atomiche. Ad annunciarlo è lo stesso Zar russo . “Nei prossimi mesi – ha detto Putin – invieremo alla Bielorussia i sistemi missilistici tattici Iskander-M, che possono impiegare sia missili balistici sia da crociera, un versione sia convenzionale sia nucleare”. Putin ha anche proposto alla Bielorussia di ammodernare presso gli impianti in Russia gli aerei da combattimento Sukhoi SU-25 in dotazione alle forze armate di Minsk.

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L’autocrate al potere da sempre

Lukashenko ha un vizio antico come la dittatura: chi si oppone a lui, dev’essere eliminato, messo in carcere o altro. Chi ci mette la faccia finisce sulla lista nera: e non soltanto esponenti politici di opposizione, ma anche uomini d’affari e dipendenti di società che in qualche modo sono sospettati di “vicinanza” alla causa di chi si oppone al dittatore, e che perciò vengono arrestati e condannati senza troppe spiegazioni con l’accusa di evasione fiscale o frode. E non va meglio per i ragazzi, per gli studenti: in molti, solo per la colpa di aver espresso un’opinione politica, sono stati espulsi dalle Università, alcuni messi in carcere, altri costretti all’esilio. Ma basta un niente per finire nel mirino della polizia. Come la traduttrice Volha Kalatskaya, finita a processo per aver colpito con uno schiaffo (in realtà appena sfiorato, come si evince chiaramente da un video postato   sulla pagina Facebook dell’Associazione Bielorussi in Italia “Supolka”) un giornalista filo-regime. Rischia fino a 6 anni di reclusione per il reato di teppismo. La stessa Associazione dà notizia dell’arresto di una donna di 38 anni, Volha Zalatar, madre di 5 figli, arrestata la settimana scorsa mentre accompagnava la figlia di 10 anni alla lezione di musica. Il motivo del fermo l’ha spiegato in una nota lo stesso Ministero degli Interni: “Per attività di protesta, essendo l’amministratrice della chat del cortile locale e perché organizzava eventi di massa non autorizzati: tea party, passeggiate, concerti”. La donna era stata osservatrice indipendente alle elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 e non era stata ammessa allo spoglio elettorale. Dopo le elezioni aveva continuato il volontariato per aiutare i detenuti politici. La sera stessa della sua cattura è stato arrestato anche il marito, poi condannato a dieci giorni di reclusione per aver appeso una bandiera bianco-rossa-bianco (i colori della “vecchia” bandiera bielorussa, sostituita da Lukashenko nel ’95 con il vessillo rosso-verde) alla finestra del suo appartamento”. Katsiaryna Shmatsina, ricercatrice presso l’Istituto bielorusso di studi strategici (ICSID), non si fa troppe illusioni: «Una cosa è chiara: il regime è pronto a reprimere la protesta ad ogni costo». Nella sua analisi recentemente pubblicata sulla crisi post-elettorale in Bielorussia la ricercatrice sostiene: «Ci sono state importanti proteste post-elettorali nel 2006 e nel 2010. Ciò che è diverso questa volta è che la società sembra aver raggiunto il punto di svolta: la tortura e la brutalità della polizia antisommossa non fermano più le persone. Inoltre c’è l’indignazione causata dalla gestione da parte del governo della pandemia Covid-19, in particolare il modo in cui le autorità hanno negato la portata del problema («Hockey, vodka e sauna: così si combatte il Coronavirus», sosteneva lo scorso anno Lukashenko, ndr), coprendo le statistiche e costringendo i dipendenti del settore statale a lavorare senza misure protettive speciali. Nel frattempo, gli operatori sanitari che hanno segnalato i difetti del sistema sanitario sono stati multati o licenziati

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Corruzione, repressione politica e dei media sono un altro aspetto controverso del regime Lukashenko. Questo esercizio del potere comprende arresti arbitrari, violazione della privacy, controllo delle reti associative e del potere giudiziario. Secondo il rapporto sui diritti umani del dipartimento di Stato americano “le autorità a tutti i livelli hanno spesso operato nell’impunità e non hanno preso i necessari provvedimenti per perseguire o punire gli amministratori nel governo e le forze di sicurezza che hanno commesso abusi sui diritti umani”.

Di grande interesse è l’analisi di Anna Zavesofa, profonda conoscitrice della realtà russa e delle repubbliche dell’ex impero sovietico.

Scrive Zavesofa sul sito Gariwo. La foresta dei Giusti “Questa crisi artificiale è organizzata secondo il tipico schema di Lukashenko, che da 27 anni ormai ricorre alle provocazioni con scenari molto simili, tirando il sasso e nascondendo (nemmeno troppo) la mano, allo scopo di far infuriare uno dei suoi grandi vicini, ora l’Europa, ora la Russia. La “guerra ibrida” dei migranti è una di quelle provocazioni che, secondo il dittatore belarusso, è una situazione ‘win-win’. Vilnius e Varsavia sono in prima linea europea nel combattere il regime di Lukashenko, aiutando l’opposizione e concedendo asilo ai dissidenti. Se la Bielorussia riesce a far invadere la Polonia e la Lituania da profughi, scatenando una crisi umanitaria, il voto di protesta di destra in quei Paesi potrebbe spingere i loro governi a rinunciare a combattere la dittatura di Minsk. 

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Se Vilnius e soprattutto Varsavia bloccheranno con durezza i tentativi dei richiedenti asilo di sfondare il confine sotto l’occhio vigile dei soldati bielorussi, potrebbero trovarsi ai ferri corti con Bruxelles e intensificare i contrasti già esistenti con l’Europa. Se l’Europa si spaventa del ricatto e decide di negoziare con Lukashenko (l’ipotesi meno probabile), Minsk potrebbe tornare ad avere una sponda alternativa a Mosca e riprendere respiro dopo la raffica di sanzioni da parte dell’Unione europea. 

Ma soprattutto la crisi artificiale al confine con l’Europa – e la Nato – viene creata a beneficio dell’interlocutore principale di Lukashenko, Vladimir Putin. I canali di propaganda televisiva russi, e lo stesso ministro degli Esteri del Cremlino Sergey Lavrov hanno già fatto loro la retorica di Minsk sugli “europei disumani” che ‘sparano a donne e bambini’ alla frontiera polacca, ribaltando completamente l’abituale narrazione razzista sui ‘nullafacenti musulmani che invadono l’Europa’ . E il dittatore bielorusso si è affrettato a telefonare al suo collega russo per denunciare un ‘pericolo di conflitto armato’ ai confini con l’Europa. 

Nonostante sporadici tentativi di giocare su due tavoli con l’Europa, tutto quello che fa Lukashenko è ormai rivolto a Mosca. La crisi del suo regime dopo le ‘elezioni’ del 9 agosto 2020 e della repressione violenta della protesta in piazza, ha distrutto qualunque speranza di un negoziato con l’Occidente. Ma paradossalmente ha aumentato, invece di ridurre, la leva di Minsk sul Cremlino, come mostrato anche dal recente pacchetto di accordi di integrazione tra i due Paesi. Come nota Maksim Samorukov su Carnegie Moscow, più Lukashenko vacilla, più il Cremlino riduce le sue pressioni per inglobare la Bielorussia. Nonostante Putin continui a non fidarsi del suo vicino, rimproverandogli – non del tutto a torto – di aver sabotato per vent’anni le ambizioni imperiali di Mosca, più il regime bielorusso corre il rischio di collassare, meno spazio di manovra ha Putin: l’alternativa a Lukashenko rischia sempre di più essere non un altro autocrate più abile e meno odioso, ma una rivoluzione democratica sul modello ucraino, con conseguente passaggio di Minsk nell’orbita europea e occidentale. Una opzione inaccettabile, nella visione geopolitica manichea di Putin. È a lui che sono indirizzate le dichiarazioni del ministero degli Esteri bielorusso sugli ‘armamenti pesanti ammassati dalla Polonia al confine’. Dopo che, al negoziato di pochi giorni fa, il Cremlino ha riconfermato lo sconto sul gas per Minsk, ma ha stretto i cordoni della borsa su altri dossier, Lukashenko vuole dimostrare a Putin di essere l’ultimo baluardo all’avanzata dell’Europa e dei suoi valori, in quello ‘scontro di civiltà’ che il leader russo vede come inevitabile. Chiedere a Putin un intervento militare per ‘proteggere i confini bielorussi dalla Nato” – e quindi permettere alla Russia la finora negata presenza militare diretta sul suolo bielorusso, in cambio di aiuti per la propria sopravvivenza sul trono: nella logica di Lukashenko potrebbe essere un premio che vale il rischio di uno scontro militare in Europa, e tanto più la vita e la sicurezza di qualche migliaio di migranti mediorientali”.

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E questo prima della guerra.

 Il patto Mosca-Minsk

Mosca, con una quota del 50% nel commercio mondiale bielorusso, è il principale partner economico di Minsk. La Bielorussia si colloca al quarto posto tra i partner commerciali della Russia. In termini di investimenti russi nell’economia bielorussa, il Cremlino occupa il primo posto. Una componente importante delle relazioni russo-bielorusse sono i legami interregionali, che disvelano il potenziale della cooperazione commerciale, economica e umanitaria. I contatti sono regolarmente mantenuti nel campo dell’istruzione, della scienza e della cultura. Infine, l’esperienza di successo dell’interazione nel quadro dello “Stato dell’Unione” ha contribuito ad incrementare i processi di integrazione nello spazio della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi), portando alla formazione dell’Unione doganale, dello spazio economico comune di Russia, Bielorussia e Kazakistan e poi l’Unione economica eurasiatica.

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L’8 novembre scorso il ministro bielorusso per l’energia Viktar Karankevich e il direttore generale della compagnia russa Rosatom Aleksei Lihachev hanno sottoscritto a Mosca un documento di cooperazione per il trasporto di materiale nucleare in vista della costruzione di una centrale atomica in Bielorussia. L’ultimo tocco ai rapporti di stretta alleanza è stata la firma, il 9 novembre, di un protocollo sui prezzi del gas russo nel 2022. Lo hanno sottoscritto il ministro dell’energia bielorusso Viktar Karankevich e il suo parigrado russo Nikolai Shulginov. Il documento non contiene ancora cifre. Verranno scritte dal colosso energetico russo Gazprom in un testo che sarà concordato in seguito. 

La denuncia di Amnesty

Nell’ambito della repressione brutale e di massa scatenata contro il dissenso dopo le elezioni dell’agosto 2020, le autorità della Bielorussia hanno ridotto il sistema giudiziario a un’arma per punire le vittime della tortura più che i responsabili”. È la denuncia di Amnesty international nel suo rapporto “Bielorussia:“Voi non siete esseri umani” ”, che definisce la ricerca della giustizia in Bielorussia “senza speranza”. Secondo l’organizzazione per i diritti umani “è necessario che la comunità internazionale si attivi affinché le vittime delle violazioni dei diritti umani abbiano giustizia e i responsabili delle violazioni siano chiamati a rispondere”. Sebbene abbiano ammesso di aver ricevuto oltre 900 denunce di violazioni dei diritti umani commesse dalla polizia a partire dall’agosto 2020, le autorità bielorusse “non hanno avviato una sola indagine mentre ne hanno aperte centinaia contro manifestanti pacifici, molti dei quali vittime di maltrattamenti e torture”. “Dall’inizio delle proteste post-elettorali – ha dichiarato Maria Struthers, direttrice per l’Europa orientale e l’Asia centrale di Amnesty International – i gruppi per i diritti umani hanno raccolto prove di tortura riguardanti centinaia di manifestanti pacifici e hanno documentato la morte di almeno quattro di loro”. Il report di Amnesty presenta terribili resoconti di arresti di massa di manifestanti pacifici, sottoposti a tortura, obbligati a rimanere nudi o in posizioni dolorose, pestati senza pietà e privati per giorni del cibo, dell’acqua potabile e delle cure mediche. Durante e dopo le proteste, le autorità bielorusse hanno utilizzato decine di centri di detenzione per trattenere arbitrariamente i manifestanti pacifici, compresa la famigerata struttura Akrestsina nella capitale Minsk: all’inizio del dicembre 2020, secondo l’Alta commissaria Onu per i diritti umani, aveva già superato quota 27.000 e gli arresti da allora sono proseguiti. Invece di avviare procedimenti penali nei confronti dei sospetti autori di violazioni dei diritti umani, il 28 ottobre 2020 la Procura generale della Bielorussia ha reso noto che erano stati aperti 657 fascicoli nei confronti dei manifestanti e che oltre 200 persone erano state incriminate per rivolta di massa e violenza contro agenti di polizia. ‘La comunità internazionale non può restare a guardare’, ha concluso Struthers.

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Quello che per Amnesty è uno scempio, per lo zar del Cremlino è una medaglia da appuntare al petto di Lukashenko. Premiandolo con i missili che rafforzeranno la sua dittatura e renderanno ancora più esplosivo il fronte orientale dell’Europa.

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