Libia, Haftar corre a prendere ordini da Turchia ed Egitto mentre Roma non tocca palla
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Libia, Haftar corre a prendere ordini da Turchia ed Egitto mentre Roma non tocca palla

ra le narrazioni più farlocche che il governo securista propina a piene mani c’è quella di una Italia tornata ad essere protagonista nel Mediterraneo. A cominciare dalla Libia.

Libia, Haftar corre a prendere ordini da Turchia ed Egitto mentre Roma non tocca palla
Khalifa Haftar
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Aprile 2023 - 19.14


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Tra le narrazioni più farlocche che il governo securista propina a piene mani c’è quella di una Italia tornata ad essere protagonista nel Mediterraneo. A cominciare dalla Libia.

Chi conta davvero

Ai narratori di palazzo e ai loro aedi mediatici consigliamo la lettura del report di Agenzia Nova, che nelle vicende libiche è addentro come pochi altri

Ecco il report: “il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, nell’est della Libia, Aguila Saleh, e il generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato esercito nazionale libico (Lna), dovrebbero recarsi presto Egitto e saranno informati dei risultati della recente visita del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, in Turchia. Lo ha riferito il quotidiano panarabo “Asharq al Awsat”, citando fonti libiche ed egiziane anonime, secondo cui i prossimi colloqui nella capitale egiziana si inseriscono nel contesto di un continuo coordinamento e consultazione tra le autorità egiziane e libiche. Al momento non sono note le date della visita.Il miglioramento delle relazioni tra Egitto e Turchia potrebbe avere un primo, importante e tangibile impatto in Libia. I ministri degli Esteri dei due Paesi del Mediterraneo, l’egiziano Sameh Shoukry e il turco Mevlut Cavusoglu, si sono incontrati il 13 aprile scorso ad Ankara per aprire “una nuova pagina nelle relazioni” bilaterali. E uno dei temi al centro del colloquio è stata, appunto, la crisi in Libia. Per anni, Ankara e Il Cairo hanno sostenuto coalizioni politiche e militari opposte: i turchi in Tripolitania (ovest) e gli egiziani in Cirenaica (est). Cavusoglu ha detto che la rinnovata cooperazione tra Turchia ed Egitto apre addirittura la possibilità di addestrare congiuntamente l’Esercito libico, dopo una sua eventuale e futura riunificazione. “Siamo d’accordo sul fatto che non siamo rivali in Libia e che dovremmo lavorare insieme per la stabilità della Libia”, ha detto il capo della diplomazia turca. Il ministro egiziano, da parte sua, ha parlato di un “desiderio comune di lavorare con le istituzioni libiche e adempiere alle loro responsabilità per tenere elezioni libere ed eque, al fine di formare un governo che esprima la volontà del popolo libico”.

L’incontro tra i capi della diplomazia di Turchia ed Egitto si è tenuto in concomitanza con l’importante riunione del generale Mohamed al Haddad, capo di Stato maggiore delle forze militari affiliate al Governo di unità nazionale della Libia (Gun) con sede a Tripoli, con il generale Abdelrazek al Nadori, comandante designato dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) che fa capo al “feldmaresciallo” libico Khalifa Haftar, tenuta ieri sera a Bengasi, alla presenza dei membri del Comitato militare congiunto 5+5, composto da cinque alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest. Secondo l’emittente panaraba di proprietà saudita “Al Arabiya”, nella riunione di Bengasi è stata discussa anche la formazione di una forza congiunta per garantire le elezioni e i confini del Paese e di una forza comune che faccia da “nucleo” per unificare l’establishment militare. Già lo scorso 17 marzo, “Agenzia Nova” aveva riferito della possibile creazione di una forza congiunta divisa in tre battaglioni – ciascuno in rappresentanza della Tripolitania (ovest), Cirenaica (est) e Fezzan (sud) – per intervenire nelle regioni meridionali, con un comandante che dipenda dai due capi di Stato maggiore.

Emadeddine Badi, analista libico del Global Initiative Against Transnational Organized Crime, organizzazione internazionale non governativa con sede a Ginevra, prevede che l’incontro tra i ministri degli Esteri di Turchia ed Egitto (e più ampi riallineamenti turco-egiziani) “avrà effetto a catena sulle dinamiche di transizione in Libia, in particolare perché il percorso politico sponsorizzato dalle Nazioni Unite manca di qualsiasi sostanza o direzione significativa nella congiuntura attuale”. Secondo Mario Savina, curatore della newsletter dell’Associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia (Airl) e dottorando in Storia e Culture dell’Europa presso l’ Università “La Sapienza” di Roma, “il miglioramento delle relazioni tra questi due Paesi è al momento l’unico processo che possa portare benefici alla Libia”. Un avvicinamento, quello tra Ankara e Il Cairo, a cui ha lavorato a lungo anche l’Italia. In diverse occasioni, infatti, il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, ha detto che “per risolvere la crisi in Libia è necessario mettere attorno allo stesso tavolo Turchia ed Egitto, coinvolgendo anche Qatar ed Emirati Arabi Uniti”.

Da circa un anno la Libia è spaccata tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Fathi Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà includere i principali “stakeholder” libici per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo “clanico” tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est)”.

Egitto, Turchia. Emirati Arabi Uniti. Qatar. Sono gli attori esterni più influenti in Libia. Tutti, tranne l’Italia.

Diritti calpestati

“Le autorità libiche stanno schiacciando lo spazio civile usando il stanco pretesto di far rispettare le norme”, ha detto Hanan Salah, direttore associato per il Medio Oriente e il Nord Africa di Human Rights Watch. L’8 marzo il Dipartimento Giurisprudenza del Consiglio Supremo della Giustizia ha emesso un editto. L’editto specificava che i gruppi civici istituiti in base a qualsiasi altro regolamento erano “nulli e non validi”. Il 21 marzo, il consiglio ha dato alle organizzazioni non governative una posizione legale provvisoria fino a quando non “correggeranno il loro status legale”. La legge consente la registrazione solo per i gruppi con mandato di lavorare su questioni sociali, culturali, sportive, caritatevoli o umanitarie. La legge 19/2001 prevede anche requisiti di registrazione eccessivamente gravosi. Le autorità libiche, i gruppi armati limitano la capacità di operare dei gruppi non governativi. La missione di ricerca delle Nazioni Unite afferma che questo crea “un’atmosfera di paura” Quattro membri del Movimento Tanweer sono stati condannati a tre anni di lavori forzati nel dicembre 2022. Le “confessioni” registrate in video da alcuni di loro, apparentemente ottenute sotto coercizione, sono apparse sui social media. Almeno tre dei quattro uomini condannati sono in prigione, mentre gli altri cinque sono ancora in custodia preventiva. Nel marzo 2022, i membri di Tanweer che erano fuggiti all’estero hanno sciolto l’organizzazione e cancellato la presenza dei social media del gruppo. Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze ha visitato la Libia a dicembre. Reem Alsalem ha detto di aver incontrato molti ostacoli, tra cui la mancanza di accesso ai centri di detenzione che detenono donne e ragazze. Le forze armate arabe libiche (LAAF), il gruppo armato sotto il comando di Khalifa Hiftar, le hanno impedito di lasciare l’aeroporto di Bengasi. Alsalem è solo il secondo esperto delle Nazioni Unite a visitare la Libia dal 2011, dopo che diversi membri di organizzazioni non governative hanno detto a Human Rights Watch che i loro dipendenti stranieri non sono stati in grado di ottenere visti di ingresso dalla fine del 2022. Human Rights Watch non ha ricevuto risposta dalle autorità alle sue domande di visti di ingresso da ottobre 2022. Una serie di leggi vagamente formulate che disciplinano l’espressione, la riunione, l’associazione, la criminalità informatica e i crimini contro lo Stato limitano gravemente le organizzazioni non governative in Libia. Il GNS, rivale orientale e con sede a Sirte, nominato dalla Camera dei rappresentanti nel marzo 2022 e alleato con la LAAF, gareggia per la legittimità politica nazionale e il controllo in Libia. Il GNS con sede a Tripoli, nominato dai delegati del Forum di dialogo politico libico nel marzo 2021 dopo colloqui politici facilitati dalle Nazioni Unite, e il GNS rivale con sede a Sirte e orientale, nominato dalla Camera dei rappresentanti nel marzo 2022 e alleato con i legislatori e le autorità libiche della LAAF, dovrebbero garantire in via prioritaria quanto segue. Adottare una legge sull’organizzazione della società civile che garantisca il diritto alla libertà di associazione e di espressione. Liberazione dei membri di Tanweer detenuti e di chiunque altro detenuto per l’esercizio pacifico dei loro diritti fondamentali. Abrogare la pena di morte per aver fondato o partecipato a organizzazioni illegali.

“Il 22 giugno 2020  – rimarca  greenreport.it – l’United Nations Human Rights Council (HRC) ha istituito l’Independent Fact-Finding Mission on Libya (FFM) per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutta la Libia dall’inizio del 2016, per prevenire un ulteriore deterioramento della la situazione dei diritti umani e per garantire che i responsabili vengano perseguiti, l’HRC ha successivamente prorogato il mandato della FFM per un periodo finale non prorogabile di nove mesi, per presentare le sue raccomandazioni conclusive.

La FFM ha intrapreso 13 missioni, condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive e ora ha presentato il suorapporto finale  e ha espresso «Profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani nel Paese», concludendo che «Vi sono motivi per ritenere che sia stata commessa un’ampia gamma di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze di sicurezza dello Stato e da gruppi di milizie armate».

Mentre l’Italia continua a finanziare il governo libico (di Tripoli) e le sue milizie, l’inchiesta FFM  delinea quello che definisce «Un ampio sforzo delle autorità per reprimere il dissenso della società civile» e documenta «Numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, stupro, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate», sottolineando che «Quasi tutti i sopravvissuti intervistati si sono astenuti dal sporgere denuncia ufficiale per paura di rappresaglie, arresti, estorsioni e sfiducia nel sistema giudiziario». […]. Mohamed Auajjar, presidente della FFM  ha detto che «C’è un urgente bisogno di responsabilità per porre fine a questa pervasiva impunità. Chiediamo alle autorità libiche di sviluppare senza indugio un piano d’azione per i diritti umani e una roadmap  completa sulla giustizia di transizione incentrata sulle vittime e di ritenere responsabili tutti i colpevoli delle violazioni dei diritti umani».

Il rapporto ricorda che «Il governo libico è obbligato a indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani e crimini nelle aree sotto il suo controllo in conformità con gli standard internazionali. Ma le pratiche e i modelli di gravi violazioni continuano senza sosta, e ci sono poche prove che siano stati compiuti passi significativi per invertire questa preoccupante traiettoria e portare soccorso alle vittime».

E, nonostante le missioni petrolifere della nostra primo ministro che annuncia futuristici “Piani Mattei”, il rapporto evidenzia che «Il mandato della Missione sta terminando quando la situazione dei diritti umani in Libia si sta deteriorando, stanno emergendo autorità statali parallele e le riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il Paese sono lungi dall’essere realizzate. In questo contesto polarizzante, i gruppi armati che sono stati implicati in accuse di tortura, detenzione arbitraria, tratta e violenza sessuale restano ritenuti non responsabili».

Le indagini della FFM hanno rilevato che «Le autorità libiche, in particolare i settori della sicurezza, stanno riducendo i diritti di riunione, associazione, espressione e credo per garantire l’obbedienza, radicare valori e norme egoistici e punire le critiche contro le autorità e la loro leadership. Gli attacchi contro, tra l’altro, difensori dei diritti umani, attiviste per i diritti delle donne, giornalisti e associazioni della società civile hanno creato un’atmosfera di paura che ha spinto le persone all’autocensura, alla clandestinità o all’esilio in un momento in cui è necessario creare un’atmosfera che sia favorevole a elezioni libere ed eque affinché i libici esercitino il loro diritto all’autodeterminazione e scelgano un governo rappresentativo per governare il Paese».

Questi i governanti ai quali stringiamo le mani e con i quali (ri)stringiamo patti petroliferi e gasieri, ai quali consegniamo armi e motovedette. E mentre il governo annuncia la caccia agli scafisti in tutto il globo terracqueo che verrebbero favoriti dalla sinistra e e dalle ONG, il rapporto afferma che in realtà durante il suo ultimo viaggio in LIbia la nostra premier si è amichevolmente intrattenuta con alcuni di quei trafficanti:«La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni. Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che i migranti siano stati ridotti in schiavitù in centri di detenzione ufficiali così come in “prigioni segrete” e che lo stupro sia stato commesso come crimine contro l’umanità». I trafficanti di esseri umani sono gli stessi con i quali facciamo accordi e parliamo del “Piano Mattei”: «Nel contesto della detenzione, le autorità statali e le entità affiliate – tra cui l’Apparato di deterrenza della Libia per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo (DACOT), le Forze armate arabe libiche (LAAF), l’Agenzia per la sicurezza interna (ISA) e l’Apparato di supporto alla stabilità ( SSA) e la loro leadership – sono stati ripetutamente trovati coinvolti in violazioni e abusi. I detenuti sono stati regolarmente sottoposti a tortura, isolamento, detenzione in isolamento ed è stato negato un adeguato accesso ad acqua, cibo, servizi igienici, luce, esercizio fisico, cure mediche, consulenza legale e comunicazione con i familiari».

Inoltre, il rapporto afferma che «Le donne sono sistematicamente discriminate in Libia. La loro situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi tre anni. La sparizione forzata della deputata Sihem Sergiwa e l’uccisione di Hannan Barassi sono rimaste questioni di profonda preoccupazione per la FFM», e gli esperti hanno ribadito il loro «Appello alle autorità di Bengasi affinché indaghino adeguatamente su queste violazioni e ritengano responsabili i colpevoli»i.

La Missione ha invitato l’Human Rights Council  a «Istituire un meccanismo di indagine internazionale indipendente dotato di risorse sufficienti» e ha esortato l’ UN High Commissioner for Human Rights (OHCHR) a «Istituire un meccanismo distinto e autonomo con un mandato permanente per monitorare e riferire in merito gravi violazioni dei diritti umani, al fine di sostenere gli sforzi di riconciliazione libici e assistere le autorità libiche nel raggiungimento della giustizia di transizione  e per individuare i responsabili dei crimini»-

La FFM condividerà con l’International Criminal Court, secondo gli standard di cooperazione internazionale in materia penale e l’accordo sulle relazioni Onu-ICC, il materiale e i risultati che ha raccolto durante il suo mandato e un elenco di persone che ha identificato come possibili autori di violazioni dei diritti umani e crimini internazionali”.

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