Palestina, l'appello: fermate i pogrom dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata
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Palestina, l'appello: fermate i pogrom dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata

Dalla notte del 20 giugno alla notte del 21 giugno, centinaia di coloni protetti dall’esercito hanno fatto irruzione nei villaggi di Al-Lubban, Al-Sharqiya e Turmus Ayya dando fuoco a case dove si trovavano intere famiglie

Palestina, l'appello: fermate i pogrom dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata
Un militare israeliano nella West Bank nel villaggio di Turmus Ayya
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Giugno 2023 - 19.16


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Salvate i palestinesi dai pogrom dei coloni in armi.

E’ l’accorato appello lanciato dall’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh

“Dalla notte del 20 giugno alla notte del 21 giugno, centinaia di coloni protetti dall’esercito hanno fatto irruzione nei villaggi di Al-Lubban, Al-Sharqiya e Turmus Ayya dando fuoco a case dove si trovavano intere famiglie, scuole, terreni e automobili, senza curarsi del fatto che molte persone potessero morire bruciate vive. Per fortuna questo non è successo, ma un palestinese è rimasto ucciso e vi sono state decine di feriti. 

Lo scorso mese di febbraio, la comunità internazionale – ivi compresi i media italiani – aveva giustamente parlato di “pogrom” per descrivere l’attacco incendiario dei coloni israeliani contro la città di Huwara, nel nord della Cisgiordania Occupata. In Palestina, ci auguravamo tutti che una cosa del genere non si sarebbe mai ripetuta, ma sapevamo che le mere condanne non avrebbero protetto il nostro popolo e non sarebbero servite da lezione per Israele, se non in senso contrario: la totale mancanza di iniziative concrete equivaleva ad una garanzia di impunità e di fatto incoraggiava simili efferate violenze in futuro. 

Così è stato. Lo abbiamo visto sia ieri che precedentemente ad Huwara, dove i coloni sono tornati obbedendo all’esplicita richiesta del Ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, di “cancellare” quel posto dalle mappe.
Questa si chiama pulizia etnica. L’idea è quella di eliminare, possibilmente con l’uso della forza, la popolazione palestinese da un’area dove Israele sta progettando la costruzione di migliaia di nuove unità abitative per espandere le colonie illegali. 

E’ perciò urgente che le vite dei palestinesi siano protette in modo serio ed efficace da chi, nel resto del mondo, farebbe qualsiasi cosa per far rispettare i diritti umani e la legge internazionale.
In questa occasione, ricordiamo alle Nazioni Unite e ai singoli Paesi, tra cui l’Italia, che hanno il dovere legale non solo di condannare, ma di agire immediatamente per fornire protezione al popolo palestinese contro il terrorismo dei coloni israeliani, obbligando questi ultimi e il governo israeliano che li sostiene a pagare le conseguenze delle proprie azioni”.

Un appello che va rilanciato, amplificato, fatto oggetto di mobilitazione, su cui impegnare le forze di opposizione in Parlamento. 

Il prezzo dell’occupazione 

Così l’editoriale di Haaretz: “L’attacco omicida di martedì, che ha causato la morte di quattro civili israeliani nei pressi dell’insediamento cisgiordano di Eli, ci ricorda tragicamente – come se ce ne fosse bisogno – il profondo pericolo che corrono gli israeliani che scelgono di vivere in un territorio occupato.  Gli sforzi del governo per offuscare l’esistenza dell’occupazione e le contorsioni legali che definiscono la Cisgiordania come un’area di “occupazione belligerante” – cioè un territorio non soggetto alla Convenzione di Ginevra, che proibisce gli insediamenti civili nel territorio occupato – non cambieranno la difficile e pericolosa realtà. Una realtà in cui si scontrano quotidianamente i militari, i coloni e la popolazione palestinese che lotta per liberarsi dall’occupazione, anche attraverso la lotta armata.
L’entità della minaccia non si esprime solo nella portata degli attacchi compiuti, ma piuttosto nel gran numero di attacchi sventati – a testimonianza di una situazione di guerra costante, che richiede una soluzione diplomatica approfondita.

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È innegabile che le forze di sicurezza e di intelligence abbiano l’obbligo di impedire la crescita delle organizzazioni terroristiche e di prevenire gli attacchi dei “lupi solitari”. Ma sarebbe un’illusione aspettarsi che una vasta operazione militare come lo Scudo difensivo o le incursioni a Gaza possano forgiare una realtà diversa e tranquilla, priva di minacce.
Le dolorose grida dei ministri e dei parlamentari  che invitano l’esercito a “radere al suolo gli edifici”, come ha suggerito Itamar Ben-Gvir, o “è giunto il momento di agire e non di parlare”, come ha detto Bezalel Smotrich, così come gli appelli per “un’operazione estesa a Jenin” non fanno che alimentare le ambizioni di vendetta sfrenata, raccogliendo dividendi politici e ritraendo principalmente questi sciabolatori come patrioti che detengono il brevetto esclusivo della guerra al terrorismo. Ma nel loro vuoto, ignorano il fatto che i militari e lo Shin Bet non stanno girando i pollici, come dimostrano le loro operazioni a Jenin e Nablus.
Allo stesso tempo, quando il governo decide di espandere la costruzione di insediamenti, permette ai coloni di tornare a Homesh e non fa molto per prevenire i pogrom dei coloni contro i residenti palestinesi, non può aspettarsi che i sentimenti di rabbia, vendetta e frustrazione della popolazione palestinese occupata non trovino sfoghi violenti.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, che si appoggia su un record ragionevole in tutto ciò che riguarda le operazioni militari ostentate, deve ora fermare i rumorosi agitatori di guerra nel suo governo, e non farsi trascinare in una campagna militare disastrosa.
Deve condurre la guerra al terrorismo con saggezza, perché chi non è disposto a pagare un prezzo diplomatico dovrà pagare con il sangue”.
Stretta mortale

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Ne scrive, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, Yaniv Kubovich: “Le pressioni dei ministri del governo israeliano e dei parlamentari  dell’establishment della sicurezza per lanciare una vasta operazione militare in Cisgiordania si stanno diffondendo nell’esercito, seminando tensione tra gli alti ufficiali militari in generale e nell’esercito in particolare.
I funzionari della sicurezza affermano che alcuni ministri del gabinetto stanno agendo in modo irresponsabile riguardo a questioni sensibili di sicurezza, impedendo un dibattito serio necessario per prendere decisioni. I ministri hanno invocato operazioni militari a Gaza in trasmissioni in diretta, sulla scia di attacchi come quello avvenuto martedì nell’insediamento cisgiordano di Eli e altri quest’anno, anche prima che alcuni incidenti fossero terminati.
I funzionari della sicurezza temono che tali dichiarazioni irresponsabili, quando l’emozione è alta, possano rendere più difficile per ministri del gabinetto come Itamar Ben-Gvir o Bezalel Smotrich invertire la rotta dopo aver chiesto di “spianare gli edifici in Cisgiordania” o aver fatto altri appelli spontanei in trasmissioni dal vivo, temendo di soffrire politicamente se le loro richieste non venissero attuate.
Funzionari della sicurezza che hanno familiarità con le discussioni nell’esercito dicono che non c’è consenso su un’operazione militare nel nord della Cisgiordania. Il Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa israeliane, Herzl Halevi, sostiene la posizione del ramo dell’intelligence, del ramo operativo e di altri comandi, secondo i quali non sarebbe saggio entrare in Cisgiordania, dato che si ritiene che un’operazione del genere avrebbe probabilmente un effetto di ricaduta su altri fronti, in particolare su Gaza.
Alcuni funzionari della sicurezza criticano la posizione del Comando Centrale, guidato dal Gen. Yehuda Fuchs, che sostiene una grande operazione in Cisgiordania. Essi affermano che il Comando centrale sente le pressioni dei ministri del governo e delle personalità di estrema destra e ritengono che la sua posizione derivi dalla necessità di spegnere gli incendi e fornire una risposta tattica agli attacchi armati nel suo distretto, ma che la sua posizione non coincida con quella dell’Intelligence militare, che considera la Cisgiordania in modo strategico.
Gli oppositori di una grande operazione non negano la necessità di rispondere alle tensioni sulla sicurezza e di aumentare la pressione sui terroristi ricercati. Tuttavia, i funzionari dell’Intelligence militare ritengono che sia meglio agire contro i militanti sulla base di informazioni precise senza attaccare la popolazione generale, la cui stragrande maggioranza non è coinvolta nei terroristi né li sostiene. I funzionari della sicurezza, e non solo i vertici militari, ritengono che sia meglio operare contro i militanti a Jenin come hanno fatto per smantellare il gruppo della Tana dei Leoni a Nablus.

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A Nablus, il servizio di sicurezza Shin Bet, l’Idf e la Polizia israeliana hanno lavorato specificamente in collaborazione con l’Autorità Palestinese, che ha reclutato con successo alcuni militanti che sono stati inseriti nel suo apparato di sicurezza, mentre altri sono stati uccisi nei raid o arrestati e incarcerati in Israele o nell’AP. I funzionari della sicurezza ritengono che l’incidente nel campo profughi di Jenin sia stato un po’ diverso perché l’Autorità Palestinese è più debole a Jenin che a Nablus. Tuttavia, i militanti di Jenin non godono dello stesso sostegno popolare della Tana dei Leoni, in parte perché molti di loro non sono locali, ma sono fuggiti qui come trafficanti di armi, di droga e persino di donne. I funzionari della sicurezza che si oppongono a una grande operazione affermano inoltre che, a parte il campo profughi di Jenin e pochi altri luoghi a loro noti, l’Autorità palestinese ha il controllo del resto della Cisgiordania, che è relativamente pacifica. Secondo loro, una grande operazione provocherebbe necessariamente scontri in altre città con le forze di sicurezza e aumenterebbe il terrore. I funzionari della sicurezza hanno dichiarato, nelle valutazioni di intelligence successive agli ultimi incidenti, che un’operazione di vasta portata andrebbe a vantaggio di Hamas. Dicono che Hamas farebbe fatica a non reagire e temono che sfrutterebbe i combattimenti in Cisgiordania per rafforzare le sue forze in un tentativo di strappare il controllo a Mahmoud Abbas e all’AP.
I funzionari della sicurezza che stanno iniziando a digerire l’approccio dell’attuale governo dicono che le interviste ad hoc ai media sono solo una parte del problema. Dicono che le decisioni sulla costruzione di insediamenti come misura punitiva, la decisione di andare a Homesh e gli emendamenti di Evyatar e Smotrich riguardanti la costruzione di insediamenti sono controproducenti per calmare la situazione della sicurezza in Cisgiordania, quando l’AP sta soffrendo una grave crisi economica e Israele continua a trattenere parte dei fondi dovuti”.
Così il dibattito all’interno dell’establishment politico e militare d’Israele.

La tensione in Cisgiordania è altissima. I coloni in armi non arretrano e la popolazione palestinese vive nel terrore. E la comunità internazionale assiste silente. Un silenzio complice. Che dura da 56 anni, dall’inizio dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi.

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