In Tunisia l'autocrate razzista Saied apre la caccia ai migranti
Top

In Tunisia l'autocrate razzista Saied apre la caccia ai migranti

L’autocrate razzista di Tunisi Saied ha dato il via alla caccia al migrante, scatenando la piazza.

In Tunisia l'autocrate razzista Saied apre la caccia ai migranti
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Giugno 2023 - 15.54


ATF

L’autocrate razzista di Tunisi Saied ha dato il via alla caccia al migrante, scatenando la piazza.

Caccia al migrante

“Proteggiamo Sfax“: è lo slogan ripetuto davanti alla Prefettura della città da parte delle centinaia di manifestanti che hanno risposto all’appello lanciato dal movimento locale capeggiato da Zied Mallouli, per il quale i migranti irregolari presenti sul territorio rappresentano “una minaccia contro l’incolumità degli abitanti di Sfax”. La città, situata a circa 270km a sud di Tunisi, è il secondo centro urbano del Paese, polo economico e commerciale nevralgico anche grazie al fiorente porto. Ed è proprio il porto di Sfax a rappresentare uno dei principali hub migratori del Mediterraneo, snodo tra l’Africa subsahariana e l’Europa.

Insieme alla Libia, la Tunisia costituisce l’ultima tappa terrestre in suolo africano della rotta migratoria intrapresa dai cittadini di paesi come Sudan, Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali, alla volta dell’Europa. Lo scorso 21 febbraio, durante una seduta del Consiglio Nazionale di Sicurezza dedicata alla questione migratoria in Tunisia, il presidente Kais Saied aveva sottolineato la necessità di porre fine al fenomeno, affermando che le migrazioni facessero parte di un “accordo criminale per cambiare la composizione demografica del Paese“, accusando poi i migranti di essere responsabili di “violenza, crimini e pratiche inaccettabili”. Il discorso di Saied ha provocato la reazione di numerose organizzazioni internazionali e della società civile, che hanno additato le sue affermazioni di razzismo, ma intanto in Tunisia gli episodi di attacchi, anche fisici, contro i migranti subsahariani si sono moltiplicati.

“Accordo criminale”

Ne scrive Youssef Siher su Il Fatto Quotidiano del 2 marzo. 

 “C’è un accordo criminale che è stato preparato dall’inizio di questo secolo per cambiare la composizione demografica del Paese”. No, non è il solito ritornello di qualche politico di destra europeo. A pronunciare queste parole è il capo dello Stato di uno dei Paesi al di là del Mediterraneo: la Tunisia. Kais Saied ha infatti iniziato una vera e propria campagna d’odio contro gli immigrati sub-sahariani, regolari e non, residenti nel Paese nordafricano. Il 21 febbraio scorso, durante una seduta del Consiglio Nazionale di Sicurezza dedicata alla risoluzione dei problemi del fenomeno migratorio in Tunisia, Saied ha sottolineato la necessità di “porre fine rapidamente a questo fenomeno, soprattutto perché gli immigrati incontrollati provenienti dall’Africa sub-sahariana” sono responsabili di “violenza, crimini e pratiche inaccettabili”. Saied accusa poi i partiti politici di complottare contro lo Stato tunisino avendo accettato “grosse somme di denaro dopo il 2011 per l’insediamento di immigrati clandestini” nel Paese. Attivisti e società civile in Tunisia hanno subito condannato le dichiarazioni di Saied, definendole “razziste” e “fasciste”, mentre l’opposizione ha risposto alle accuse e alle dichiarazioni del presidente mettendo in guardia dal ripetersi della retorica razzista del politico di estrema destra francese Eric Zemmour in Tunisia. 

L’ex candidato alla presidenza francese, non a caso, è stato uno dei primi a lodare le dichiarazioni di Saied e, in un tweet, scrive che “gli stessi Paesi del Maghreb cominciano a lanciare l’allarme di fronte all’impennata migratoria. Qui è la Tunisia che vuole prendere misure urgenti per proteggere la sua gente. Cosa aspettiamo a combattere contro la Grande Sostituzione?”. Il cosiddetto “Grand remplacement“, in francese, è una teoria del complotto di estrema destra diffusa dall’autore francese Renaud Camus negli ambienti nazionalisti secondo la quale gli immigrati non bianchi potrebbero, con l’immigrazione di massa, soppiantare le popolazioni autoctone e cambiare drasticamente la demografia di un Paese. Un cavallo di battaglia dei movimenti di destra estrema identitaria presenti nel continente europeo.

E non solo: nonostante le critiche degli attivisti, le ultime dichiarazioni di Saied sono state sostenute da diversi tunisini sui social. “La soluzione è espellerli e rafforzare il monitoraggio e la verifica di ogni persona che si trova sul suolo tunisino senza visto e in modo illegale”, è solo uno dei commenti. Secondo un sondaggio del 2022 commissionato da BBC News Arabic, l’80% dei tunisini ritiene che la discriminazione razziale sia un problema nel proprio Paese, il dato più alto nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Ed è proprio questo razzismo, evidentemente non solo percepito, che Saied cerca di cavalcare con la sua retorica populista, addossando la colpa dei problemi economici e sociali sugli immigrati. L’Unione africana (Ua) ha condannato le dichiarazioni del presidente tunisino mettendo in guardia contro “l’incitamento all’odio razziale” e convocando il rappresentante tunisino nell’Ua per un incontro urgente. Ha poi ricordato che gli Stati membri dell’Ua sono obbligati “a trattare tutti i migranti con dignità”. Il 25 febbraio centinaia di persone sono scese per le strade della capitale tunisina per chiedere al presidente di scusarsi con i migranti subsahariani. “Abbasso il fascismo, la Tunisia è un paese africano” erano i cori urlati dai manifestanti.

In Tunisia si respira quindi un’aria pesante e il clima d’odio verso gli immigrati è aumentato esponenzialmente nelle ultime settimane. L’1 marzo l’Associazione degli studenti e degli stagisti africani in Tunisia (Aesat) ha esortato i suoi membri a non uscire se non per le emergenze e portare sempre con sé i documenti d’identità. L’Aesat lamenta infatti che diversi studenti dei paesi sub-sahariani sono stati arrestati nonostante la loro situazione legale. “Sebbene alla fine siano stati rilasciati, uno di loro ha trascorso sei giorni in detenzione, metà dei quali senza cibo. Pertanto, non sorprende che gli studenti non osino sporgere denuncia durante gli attacchi per paura di essere vittime di questi arresti ingiustificati”, ha dichiarato l’associazione in un comunicato stampa. Intanto, Guinea e Costa d’Avorio hanno iniziato a rimpatriare centinaia di loro cittadini. Secondo quanto riporta il quotidiano The New Arab, più di 800 ivoriani si sono registrati per essere rimpatriati, molti dei quali erano in Tunisia da più di cinque anni prima di ricevere improvvisamente l’ordine di andarsene. Secondo i dati del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), circa 21mila migranti privi di documenti provenienti da altre parti dell’Africa soggiornano attualmente nel piccolo Paese nordafricano. Molti migranti irregolari provenienti dalla Costa d’Avorio, dal Camerun, dal Ghana e dalla Guinea svolgono infatti lavori mal pagati e in nero nel tentativo di raggiungere l’Italia e l’Europa in generale. La situazione attuale in Tunisia non fa che accelerare questo processo, portando a eventuali situazioni incontrollabili in tutto il Mediterraneo”.

Dichiarazione congiunta delle organizzazioni della società civile di ricerca e soccorso in mare e delle reti di solidarietà verso le persone migranti

“Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino( e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS) per le persone soccorse in mare. Esortiamo le autorità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri a revocare i loro accordi con le autorità tunisine, volti al controllo delle migrazioni, ed esprimiamo la nostra solidarietà alle persone coinvolte.

Attacchi razzisti contro le persone di colore e repressione della società civile tunisina

Negli ultimi mesi si è intensificata la repressione contro gli oppositori politici, la società civile e le minoranze in Tunisia. Diverse organizzazioni tunisine e internazionali per la tutela dei diritti umani hanno espresso preoccupazione per “l’indebolimento dell’indipendenza della magistratura, gli arresti di critici e oppositori politici, i processi militari contro i civili, la continua repressione della libertà di espressione e le minacce contro la società civile”.

Parallelamente, catalizzato dal discorso razzista e discriminatorio contro i migranti provenienti dall’Africa subsahariana pronunciato dal presidente tunisino Kais Saied il 21 febbraio, il razzismo contro le persone nere, già esistente in Tunisia, si è intensificato portando a un peggioramento della situazione soprattutto per coloro che provengono dai Paesi dell’Africa centrale e occidentale. Un gran numero di persone della diaspora africana residenti a Sfax, Sousse e nella capitale Tunisi ha subito atti di violenza, trovandosi senza alloggio, senza cibo e privati del diritto alla salute e al trasporto pubblico. Gli africani neri non subiscono solo i pogrom da parte di gruppi di persone armate, ma anche forme di violenza istituzionale. Vengono schedati per motivi razziali, arrestati e detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza. Alcuni sono stati oggetto di sparizioni forzate. Per quasi un mese, circa 250 persone rimaste senza casa, tra cui alcuni bambini, hanno organizzato un sit-in davanti all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) e all’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), chiedendo la loro immediata evacuazione in quanto in pericolo di vita. L’11 Aprile 2023, la protesta è stata sgomberata violentemente dalle forze di sicurezza, che hanno attaccato la folla con gas lacrimogeni per disperdere le persone, causando gravi lesioni. Circa 80 persone sono state arrestate. Tra questi, alcuni hanno riferito di aver subito torture e maltrattamenti.

Questi sviluppi si verificano in un momento in cui la situazione socio-economica della Tunisia peggiora continuamente: il tasso di disoccupazione è del 15% e il tasso di inflazione del 10%. Il Paese manca di beni di prima necessità e, a causa della siccità, l’uso dell’acqua è limitato.

La Tunisia non è un luogo sicuro di sbarco

Molti elementi erano già sufficienti per contestare la sicurezza della Tunisia per i suoi stessi cittadini, affermando che non è un Paese di origine sicuro. Ciò nonostante, le espulsioni da parte dell’Italia dei cittadini tunisini che non hanno accesso alla protezione internazionale è in aumento. Dopo gli ultimi sviluppi, appare ancora più urgente affermare che la situazione è estremamente grave e pericolosa per le persone nere e straniere, tanto che anche la sicurezza della Tunisia come Paese terzo appare profondamente compromessa.

Questo insieme di fattori mette le persone migranti nere e le voci di opposizione in una posizione di vulnerabilità. Non essendo al sicuro in Tunisia, le persone migranti dell’Africa subsahariana cercano di uscire da un Paese che è sempre più pericoloso per loro. Di conseguenza, non dovrebbe essere permesso lo sbarco in Tunisia delle persone intercettate in mare, durante il tentativo di fuggire dal Paese. Secondo la Convenzione SAR (Search And Rescue), un soccorso è definito come “una operazione volta a soccorrere le persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e condurle presso un luogo sicuro di sbarco”. Nella risoluzione MSC 167(78) dell’Organizzazione Marittima Internazionale, un luogo sicuro di sbarco è ulteriormente definito come “un luogo in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui le loro necessità fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) possono essere soddisfatte”.

La Tunisia non ha un sistema nazionale di asilo, e le persone soccorse in mare, tunisine e non, sono altamente esposte al rischio di subire violazioni dei diritti umani, detenzione e respingimenti forzati.

Lo sbarco in Tunisia dei naufraghi e delle persone intercettate in mare viola il diritto internazionale in materia di diritti umani e il diritto del mare.

Fermare la complicità dell’Europa nelle morti alle frontiere

Per oltre un decennio, l’UE e i suoi Stati membri hanno sostenuto politicamente, finanziato ed equipaggiato lo Stato tunisino affinché sorvegliasse i propri confini e contenesse la migrazione verso l’Europa. L’obiettivo è chiaro: impedire l’arrivo dei migranti in Europa, ad ogni costo.

Ciò si realizza attraverso diversi accordi finalizzati alla “gestione congiunta dei fenomeni migratori”, alla sorveglianza delle frontiere e al rimpatrio dei cittadini tunisini. Tra il 2016 e il 2020, sono stati stanziati per la Tunisia oltre 37 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, per favorire la “gestione dei flussi migratori e delle frontiere”. Altri milioni di euro sono in arrivo. Inoltre, l’UE supporta la Tunisia attraverso “l’addestramento delle forze di polizia, la fornitura di attrezzature per la raccolta e la gestione dei dati, il supporto tecnico, l’equipaggiamento e la manutenzione delle imbarcazioni per il pattugliamento delle coste e altri strumenti per il tracciamento e il monitoraggio dei movimenti”. Purtroppo, nessun cambiamento nelle politiche europee è all’orizzonte. Proprio nel novembre 2022, nel suo recente Piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione europea ha menzionato il suo obiettivo di “rafforzare le capacità della Tunisia […] di prevenire le partenze irregolari [e] sostenere una gestione più efficace delle frontiere e della migrazione”.

In questo modo, l’UE supporta anche la Guardia costiera tunisina, un attore le cui violazioni dei diritti umani contro le persone in movimento sono ben documentate. Negli ultimi anni, il numero di intercettazioni e di respingimenti da parte della Guardia costiera tunisina verso la Tunisia è aumentato enormemente. Solo nel primo trimestre del 2023, a 14.963 persone è stato impedito di lasciare la Tunisia via mare e sono state violentemente riportate indietro contro la loro volontà per conto dell’UE. Già nel dicembre 2022, più di cinquanta associazioni avevano denunciato la violenza della Guardia Costiera tunisina: “Aggressioni verso le persone con bastoni, spari di colpi in aria o in direzione del motore, attacchi con coltelli, manovre pericolose per tentare di affondare le imbarcazioni, richieste denaro in cambio del soccorso…”. Questi attacchi si sono intensificati negli ultimi mesi, prendendo di mira sia persone migranti tunisine che non tunisine. Inoltre, è stato recentemente documentato come la Guardia costiera tunisina sottragga i motori alle imbarcazioni che tentano di fuggire dal Paese, lasciando le persone a bordo alla deriva, provocandone la morte.

Le organizzazioni firmatarie ricordano che la Tunisia non è un Paese di origine sicuro per i cittadini tunisini. Inoltre, non può considerarsi un luogo sicuro di sbarco per le persone provenienti dall’Africa subsahariana, né per i cittadini tunisini e né per gli altri stranieri in fuga dal Paese. Chiediamo alle autorità dell’Unione Europea e ai suoi Stati membri di interrompere il supporto tecnico e finanziario nei confronti della Guardia costiera tunisina, nonché la cooperazione volta al controllo delle migrazioni dalla Tunisia, garantendo canali di movimento sicuri per tutte e tutti”.

La Tunisia che si ispira ancora ai valori della “rivoluzione dei gelsomini” non si arrende e sfida l’autocrate razzista sostenuto dall’Europa pavida e dall’Italia collusa.

Native

Articoli correlati