La nuova Caporetto dell'Onu in Siria: l'indifferenza verso milioni di persone

L'Onu riduce i corridoi di aiuto in Siria; Assad e il suo regime ostacolano l'accesso umanitario, mettendo a rischio milioni di persone.

La nuova Caporetto dell'Onu in Siria: l'indifferenza verso milioni di persone
Terremoto in Siria e Turchia
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

13 Luglio 2023 - 10.05


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Si consuma nell’indifferenza l’ennesima dimostrazione dell’impossibilità di far coesistere la cooperazione tra Stati e l’aiuto umanitario internazionale. E’ questo il senso autentico della nuova Caporetto dell’ONU sulla Siria, della quale non si parla perché la Siria faceva notizia solo quando c’erano i “barbudos” di al-Baghdadi a fare da copertura alle malefatte di Assad.

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Ora  accade che l’ONU nel corso degli anni abbia ridotto da quattro a uno i corridoi che consentivano l’accesso degli aiuti umanitari internazionali alla popolazione civile che sopravvive nei territori siriani che non sono tornati sotto il controllo del regime siriano. Lì, a pochi chilometri dall’invalicabile confine turco, vivono quattro milioni di persone, tre dei quali deportati da Assad quando riconquista militarmente, con il sostegno di russi e iraniani, i territori dove costoro vivevano. Siriani deportati in Siria. E sottoposti al fuoco siriano che vuole riconquistare il controllo militare di quei territori, consegnati dallo stesso Assad a gruppi jihadisti, che proprio lì convenne di trasferirli, con comodi autobus, quando le operazioni militari in altre aree del Paese volsero a suo favore. 

Le numerose manifestazioni di protesta contro le vessazioni cui questi gruppi sottopongono la popolazione civile non hanno mai scaldato il cuore di alcuno. Il massimo che possono auspicare è di ricevere acqua potabile, alimenti essenziali e medicine dalle agenzie umanitarie dall’ONU. Ma da anni Damasco, con il sostegno di Mosca e Pechino, richiede che quegli aiuti non entrino nei territori in oggetto, al confine con la Turchia, con camion dell’ONU dalla Turchia. No. Dovrebbero arrivare da Damasco, visto che quella terra è ufficialmente Siria. E gli aiuti sono destinati alla Siria perché la cooperazione è tra Stati. Ma anche Assad e i suoi amici russi e cinesi hanno difficoltà a sostenere che chi bombarda un territorio dovrebbe portarvi aiuti umanitari per le vittime dei suoi bombardamenti. E così, dopo estenuanti balletti tesi a ridurre il numero del valichi e i mesi di vigenza dell’eccezione, l’accordo è stato sempre rinnovato. E’ andata così anche dopo il violento sisma di inizio anni, che ha colpito proprio lí con più forza. E si è strappato un’estensione dell’accesso  degli aiuti via terra fino al 10 luglio. Ma quando la fatidica data è arrivata Mosca e Pechino hanno opposto il veto all’estensione del transito via terra per altri novi mesi: troppi. La richiesta dall’Onu era inizialmente di estendere per un anno, ma ridurre a nove non è bastato. Dopo il veto Mosca ha proposto al Consiglio di Sicurezza di estenderlo per soli sei masi, con significative restrizioni di ciò che può passare e di come può essere trasportato. Nessuno ha accettato. Così ora si spera che nuovi negoziati nelle prossime ore aiutino a risolvere un problema che il mondo, almeno a parole, non dovrebbe poter tollerare: lasciar morire di sete e di malattie 4 milioni di persone, moltissimi ovviamente i bambini, che hanno il solo torto di essere nati in territori siriani che hanno detto di no ad Assad. Nessuno di loro però ha mai preso armi. 

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Si troverà un accordo? I più ne appaiono convinti, anche se ormai sono passate molte ore dalla scadenza dei termini fissati dall’ONU stessa. Si tratterà ancora? Ovviamente prevederlo non basta. Bisogna capire su cosa si tratterà. 

Non si tratterà sul diritto di qualcuno di negare i diritti umani altrui, per altro in assenza di alcun reato. Si tratterà invece sul diritto di uno Stato di disporre a proprio piacimento del destino dei suoi sudditi. E’ questo il vero oggetto della discussione. Il caso siriano è il più eclatante caso di un governo in guerra con la sua popolazione, per motivi principalmente di fedeltà personale al leader. Ma il problema ormai si pone in diversi territori. Basti citare il caso del Sudan, ad esempio, dove l’esercito nazionale in lotta con ribelli fa stragi in territori ritenuti ostili, o della Birmania, o dell’ Afghanistan, o della Libia, e  molto altro ancora. La strategia obamiana di ritirarsi dal Medio Oriente lasciando i cocci delle invasioni americane alla popolazione locale ha avviato uno concorrenza spietata tra imperi o aspiranti tali e  i risultati sono devastanti; l’altrettanto delirante ritiro dall’Afganistan, deciso  da Trump  e realizzato da Biden, ha reso tutto evidente. Occorre pensare a una governance per queste aree  ridotte in macerie da miliziani, narcotrafficanti, servizi segreti, mercanti di armi e di schiavi, oppure l’oscura cloaca dove ogni complotto è possibile si estenderà ulteriormente.    

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