Niger: qual è la posta in palio di un golpe "internazionalizzato"
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Niger: qual è la posta in palio di un golpe "internazionalizzato"

Niger, la posta in gioco è altissima. Lo sanno bene a Parigi, a Bruxelles, come a Washington. L’Occidente, non solo la Francia, rischia di essere sfrattato dal Sahel. 

Niger: qual è la posta in palio di un golpe "internazionalizzato"
Niger, manifestazioni filo-golpe e pro Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Luglio 2023 - 12.34


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Niger, la posta in gioco è altissima. Lo sanno bene a Parigi, a Bruxelles, come a Washington. L’Occidente, non solo la Francia, rischia di essere sfrattato dal Sahel. 

Bandiere contro

Mgliaia di manifestanti pro-giunta si sono radunati ieri mattina  davanti all’ambasciata francese a Niamey, la capitale del Niger, dopo che Parigi ha sospeso gli aiuti a seguito del colpo di Stato.

Alcuni hanno anche cercato di entrare nell’edificio, ha riferito un giornalista dell’agenzia Afp sul posto. Altri hanno strappato la targa con la scritta ‘Ambasciata francese in Niger’, prima di calpestarla e sostituirla con bandiere russe e nigerine. “Viva Putin”, “Viva la Russia”, “Abbasso la Francia”, gridano i manifestanti.

Il ministero degli Esteri francese ha condannato “qualsiasi violenza contro le missioni diplomatiche, la cui sicurezza è responsabilità dello Stato ospitante”, mentre migliaia di persone manifestavano davanti all’ambasciata francese a Niamey prima di essere disperse dai lacrimogeni. “Le forze nigerine hanno l’obbligo di garantire la sicurezza delle nostre missioni diplomatiche e dei nostri consolati come parte della Convenzione di Vienna”, e “le esortiamo ad adempiere a questo obbligo loro imposto dal diritto internazionale”, sottolinea il Quai d’Orsay, la cui ambasciata è stata presa di mira dai manifestanti favorevoli ai golpisti militari che hanno rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum.

Escalation esplosiva

 I militari nigerini che hanno rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum accusano la Francia di voler “intervenire militarmente” per rimetterlo in carica, secondo una dichiarazione trasmessa lunedì dalla televisione nazionale.

“In linea con la sua politica di ricerca di modi e mezzi per intervenire militarmente in Niger, la Francia, con la complicità di alcuni nigerini, ha tenuto una riunione presso la sede della Guardia nazionale del Niger per ottenere le necessarie autorizzazioni politiche e militari”, si legge nel comunicato. 

L’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, ha intanto intimato un ultimatum di una settimana ai golpisti in Niger per il ripristino dell’ordine costituzionale e del governo civile del presidente Mohamed Bazoum, non escludendo l’uso della forza se ciò non accadrà. Lo hanno deciso i leader riuniti a Abuja. L’organizzazione ha anche deciso di imporre sanzioni economiche “immediate” al Niger.

La Francia risponderà “immediatamente e con decisione” in caso di attacco contro i suoi cittadini. Lo riferisce l’Eliseo dopo che migliaia di persone hanno manifestato davanti all’ambasciata francese a Niamey, la capitale del Niger.  

Emmanuel Macron “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi” in Niger, si legge ancora nella nota dell’Eliseo nella quale si ribadisce il sostegno a ogni iniziativa per il ripristino dell’ordine costituzionale. “Chiunque attacchi i cittadini francesi, l’esercito, i diplomatici o le basi francesi vedrà la Francia reagire immediatamente e con decisione”, si legge. “La Francia sostiene anche tutte le iniziative regionali” volte al “ripristino dell’ordine costituzionale” e al ritorno del presidente eletto Mohamed Bazoum, rovesciato dai golpisti, conclude la nota.

“L’Ue sostiene tutte le misure adottate da Ecowas come reazione al colpo di stato avvenuto in Niger e le appoggerà rapidamente e con decisione”. 

Così in un tweet l’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell esprime la posizione dell’Unione rispetto alle decisioni prese in merito alla situazione in Niger dall’organizzazione che rappresenta 15 paesi dell’Africa occidentale. “E’ importante che la volontà popolare espressa attraverso le elezioni -ha aggiunto Borrell- venga rispettata”.

 “L’Ue e il Niger condividono profondi legami sviluppatisi nel corso di decenni. L’attacco inaccettabile al governo democraticamente eletto mette a rischio questi legami”. Rincara la dose in un altro tweet la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Sostengo le decisioni dell’Ecowas e il suo ruolo attivo per un rapido ritorno al suo posto del presidente Bazoum”, aggiunge von der Leyen.

I diritti umani.

Human Rights Watch sottolinea che le forze militari responsabili del colpo di stato dovrebbero ripristinare i diritti umani fondamentali e proteggere le persone. I golpisti dovrebbero garantire che il presidente deposto, Mohamed Bazoum, e tutti gli altri detenuti, incluso il ministro dell’Interno Hamadou Adamou Souley, siano trattati legalmente e con rispetto e dovrebbero assicurare una rapida transizione verso un governo civile democratico. “I disordini generati dal colpo di stato non dovrebbero creare un vuoto nella protezione dei diritti e delle libertà fondamentali”, dice Rabia Djibo Magagi, difensore dei diritti umani in Niger. Il 27 luglio, il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, ha affermato che il presidente Bazoum “deve essere rilasciato immediatamente e senza condizioni e la sua sicurezza deve essere garantita. Anche i membri arbitrariamente detenuti del suo governo e i loro parenti devono essere rilasciati subito e senza condizioni”.

Niger, baluardo della democrazia? 

Da un report di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): “Per i leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), l’instaurarsi di un regime militare sarebbe una pessima notizia, in un momento critico per il Niger. Lo stesso Bazoum aveva infatti descritto il Paese come assediato su tutti i fronti: da un lato, il fragile e frammentato stato libico – da lui definito “una piattaforma per il crimine transnazionale” e un crocevia di armi e droga – mentre l’intensificarsi dell’attività jihadista ha aumentato fenomeni di instabilità e violenza anche all’interno delle sue frontiere.

Dopo i golpe in Mali, Guinea e Burkina Faso, Ecowas aveva promesso che altri tentativi di rovesciare violentemente i governi nella regione non sarebbero stati tollerati. Il Niger viene quindi visto anche come un test dell’abilità dei leader regionali di dissuadere i soldati e riportarli all’interno delle regole democratiche. Purtroppo, secondo l’analista di Brookings Danielle Resnick “finora la sensazione è che Ecowas non abbia un granché di influenza sulle traiettorie politiche e di sicurezza dei suoi membri.” 

Le motivazioni dietro al golpe inoltre rimangono ancora poco chiare. Tchiani ha dichiarato di aver preso il potere per evitare “la sua graduale ed inevitabile morte”, ma l’analista Paul Melly di Chatham House ha parlato di voci secondo cui si tratterebbe di una reazione alla volontà del presidente di congedarlo. 

Anche l’emittente France 24 ha fatto riferimento a tensioni fra Bazoum e Tchiani, oltre che rivalità all’interno dell’apparato militare nigerino. Secondo l’analista Rahmane Idrissa, infatti, “alcuni generali sono convinti che la gestione della sicurezza sia eccessivamente politicizzata, e le decisioni siano prese con l’obiettivo prima di tutto di conservare il potere, e questo approccio è negativo per le operazioni sul campo.” 

Gli esempi di Mali e Burkina Faso non sembrano però promettere alcun miglioramento: il Washington Post ha verificato che, dall’insediamento delle due giunte militari, gli omicidi extragiudiziali e i rapimenti perpetrati dai gruppi islamisti sono aumentati. A questi si è aggiunta anche la repressione violenta, con il gruppo paramilitare russo Wagner implicato nei massacri di più di 300 civili nel 2022.  

Commenta  Lucia Ragazzi, Ispi Africa Programme: “Chiusura delle frontiere, coprifuoco, sospensione della costituzione, controllo dei media, poi l’annuncio di un governo di transizione a guida militare. Lo scenario offerto dal Niger offre tanti elementi già visti nei colpi di stato della regione in questi anni. Pur con tutti gli interrogativi che ancora regnano in queste ore, che lasciano aperti molti scenari, l’incertezza a Niamey ha immediatamente generato forti preoccupazioni per i vicini della regione e per i partner internazionali. Il Niger è stato a lungo un punto di riferimento per gli sforzi securitari della regione. Ora gli equilibri potrebbero cambiare, costringendo gli attori regionali e i partner internazionali a porsi domande difficili su come gestire le collaborazioni con un governo non democraticamente eletto. Insomma, le conseguenze di ciò che accade a Niamey andranno ragionevolmente ben oltre i confini nigerini”. 

“La destabilizzazione del Niger – annota su Gli Stati Generali Simone Coccia – rappresenterebbe un ennesimo passo in avanti per i mercenari russi che imperversano in diverse zone della regione. La crisi delle relazioni tra Putin ed il capo del Wagner Group, Yevgeny Prigozhin, non cambia nulla: il gruppo mercenario ha semplicemente cambiato capo, ed il gruppo in questi luoghi è talmente radicato da poter vivere di linfa propria, e continua ad essere un hub bellico della Federazione russa. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, pur condannando il colpo di Stato e auspicando il ristabilimento dell’ordine, ha riferito che l’assistenza alla sicurezza ai paesi africani continuerà, menzionando specificamente la Repubblica Centrafricana e il Mali.

Nel mirino delle superpotenze ci sono le miniere di uranio, fonte strategica ed essenziale per la vasta rete delle centrali nucleari soprattutto francesi: senza di loro, ad esempio, sono a rischio le attività estrattive dove Oran, la società mineraria francese, è in prima linea. Il Niger è il settimo produttore mondiale di uranio, assicura il fabbisogno dell’elemento radioattivo per il 5% del mercato totale con 2020 tonnellate (2022). La quasi totalità entra nel mercato europeo, al punto da rappresentarne quasi un quarto del totale– quindi molto più di quanto venga acquistato dal Kazakistan, il primo esportatore del mondo.

Diversi siti minerari a cielo aperto si trovano vicino alla città di Arlit, nel nord-ovest, e sono gestiti da Somair (Société des Mines de l’Aïr), una joint venture tra la francese Orano con il 63,4% e Sopamin (Société du Patrimoine des Mines du Niger di proprietà statale del Niger) con il 36,66%. Il sito di Imouraren, a circa 80 km a sud di Arlit, secondo Orano contiene una delle più grandi riserve del mondo: le attività estrattive, malgrado ci siano le licenze per operare, sono in standby in attesa che il prezzo dell’uranio migliori. In termini monetari l’uranio per il Niger è la voce che nell’esportazione occupa, dopo l’oro, il secondo posto”.

La posta in gioco

Rimarca Alessandro Ferri su Linkiesta: “Il Niger è l’ultimo presidio occidentale nel Sahel, o meglio, lo era. Questo mette a rischio la tenuta degli interessi delle tante aziende italiane – e non solo – che operano lungo il corso dell’omonimo fiume, soprattutto nel settore energetico. In generale, tutta l’area al di sotto del deserto del Sahara è in crisi, per un motivo o per l’altro: Niger e Mali sono minati dall’instabilità politica e sono caduti in mano ai golpisti con l’aiuto della Russia, il Ciad è alle prese con una difficile transizione dopo la morte, nel 2021, del presidente-dittatore Idriss Deby, mentre in Sudan si combatte ormai da tre mesi e qualche giorno, in un contesto di fame e crisi umanitaria che dura da praticamente quarant’anni. Come sempre, l’inesistenza di un esercito comune europeo rafforza le politiche russe in una zona ricchissima di materiali e con un potenziale di sviluppo del tutto inespresso. Nel mentre, Vladimir Putin vorrebbe dare agli africani l’immagine del leader buono, giocando col grano, vendendolo a prezzi irrisori o addirittura regalandolo ai Paesi amici, in un perverso dare-avere spropositatamente sbilanciato in favore, neanche sarebbe da dirlo, di Mosca. Ora in Mali e in Niger i cittadini acclamano Putin, presunto novello salvatore di un continente devastato da secoli di crimini e ingiustizie, ma cosa faranno domani, quando il leader russo, o chi per lui, verrà a chiedere il conto ai Paesi che in quel momento si troveranno invasi dai miliziani di Wagner e non avranno la forza, né politica, né militare, per potersi opporre?

Per questo la caduta di Bazoum è un dramma per l’Occidente. Bazoum era l’unico garante di un equilibrio fragilissimo, l’unico che ha deciso di accogliere i francesi in ritirata dal Mali, l’unico che parlava con l’Europa e con gli Stati Uniti (e questo forse è proprio ciò che gli ha salvato la vita: se i golpisti lo avessero fatto fuori, probabilmente ora staremmo parlando di una guerra e non di un colpo di Stato).

Adesso, volenti o nolenti, bisognerà trovare una soluzione per non perdere del tutto il polso sul Sahel: la priorità numero uno sarà sicuramente rimpatriare in modo sicuro i militari di Barkhane, o di trovargli un’altra collocazione.

Fatto questo, si dovrà forse progettare una strategia di ampio respiro che possa quantomeno permettere alle aziende occidentali di continuare a operare in Niger senza pericoli per l’incolumità dei lavoratori.

Infine, sarà probabilmente l’ora di trovare una soluzione che eviti il totale crollo della sfera d’influenza europea sull’Africa, anche se si può iniziare a parlare di situazione pressoché irrecuperabile e di nuovo, oscuro, oppressivo, dominio russo sul Sahel”.

Scenario globale

Di grande interesse è un passaggio dell’intervista concessa a Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera da  Charles Kupchan, già consigliere di Barack Obama e docente di relazioni internazionali alla Georgetown University di Washington.

“Proprio il conflitto in Ucraina  – osserva Kupchan – ha dimostrato come gran parte del Sud globale non si sia schierato con gli Stati Uniti e i suoi alleati. La maggior parte dei Paesi dell’America Latina, del Sud-est asiatico e dell’Africa sono rimasti, come minimo, alla finestra. È come se l’Occidente avesse perso capacità di attrazione nei confronti di questi mondi. Tutto ciò mentre la Cina sta diventando sempre più competitiva in questo immenso territorio. Non va sottovalutata neanche la Russia, come dimostra il recente vertice di San Pietroburgo tra Putin e diversi leader africani”.

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