In Niger nasce il governo dei golpisti
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In Niger nasce il governo dei golpisti

Il leader dei golpisti che hanno preso il potere in Niger, il generale Abdurahman Tchiani, ha firmato un decreto sulla formazione di un governo di transizione

In Niger nasce il governo dei golpisti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Agosto 2023 - 18.29


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Niger, istituzionalizzare il putsch.  

Il leader dei golpisti che hanno preso il potere in Niger, il generale Abdurahman Tchiani, ha firmato un decreto sulla formazione di un governo di transizione. Il governo di 21 membri, annunciato poco prima del vertice cruciale dei paesi dell’Africa occidentale in programma oggi ad Abuja, è guidato dal primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine ed è composto 20 ministri, compresi quelli della Difesa e dell’Interno, due generali della giunta golpista che si definisce Consiglio nazionale per la Salvaguardia della Patria. 

La formazione del governo da parte dei golpisti segna la fondazione del regime militare dopo il colpo di stato del 26 luglio, quando la giunta ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum e appare un segno di sfida nei confronti dei leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) riuniti  ad Abuja per valutare la situazione in Niger.

Da questo vertice sono attese “decisioni importanti”, secondo l’organizzazione regionale che ha ribadito di favorire i mezzi diplomatici per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger, pur mantenendo la minaccia dell’uso della forza per rimettere nelle sue funzioni il presidente Bazoum. L’Ecowas è considerata dai golpisti di Niamey come un’organizzazione “al soldo” della Francia, ex potenza coloniale, obiettivo principale della giunta da quando ha preso il potere. 

Onu, molto preoccupati per la salute del presidente arrestato

Il numero uno delle Nazioni Unite ha dichiarato di essere “molto preoccupato” per le condizioni di detenzione del leader nigerino Mohamed Bazoum e ha chiesto il suo rilascio. Il segretario generale Antonio Guterres ha denunciato “le deplorevoli condizioni di vita in cui il presidente Bazoum e la sua famiglia si trovano”, si legge in una nota delle Nazioni Unite.

Intanto l’esercito fedele ai golpisti sta aumentando la presenza nella capitale Niamey, allarmato da un possibile intervento militare dei Paesi limitrofi, con Nigeria e Costa d’Avorio tra i Paesi più propensi all’azione per ripristinare il precedente governo eletto democraticamente. Un convoglio di circa 40 pick-up, secondo quanto si apprende, è arrivato al tramonto di domenica sera, portando truppe da altre parti del Paese per prepararsi a un’eventuale battaglia.

L’Unione europea cerca di abbassare il livello della tensione, anche se dalle parole del portavoce per la politica estera dell’Ue, Peter Stano, traspare l’urgenza di una svolta in tempi brevi per evitare la definitiva escalation: “L’Unione europea esprime fermo sostegno alle attività dell’Ecowas e alla posizione che ha assunto. Siamo in attesa della riunione straordinaria convocata per giovedì. Pensiamo che fino a quel momento ci sia ancora spazio per la mediazione“, ha dichiarato ribadendo comunque “pieno sostegno a qualsiasi decisione sarà presa” dall’Ecowas. Quindi anche l’intervento armato.

Il ruolo della Wagner

Intervento che vedrebbe opporsi agli eserciti Ecowas, secondo quanto affermato da fonti ucraine, anche i paramilitari di Yevgeny Prigozhin, volati con un nuovo convoglio verso il Paese: “I campi dislocati in Bielorussia sono utilizzati dal fondatore della milizia privata di mercenari Yevgeny Prigozhin per riaddestrare i suoi mercenari e trasferirli nei Paesi africani. In questo modo, la Wagner agisce come un esportatore di guerra in tutto il mondo”, dicono. Proprio il capo di Wagner ha inviato un messaggio ai golpisti: potete “chiamare in qualunque momento”, ha detto in un audio di 30 secondi pubblicato oggi su un canale Telegram. “Siamo sempre dalla parte del bene, dalla parte della giustizia e dalla parte di coloro che combattono per la sovranità e i diritti del loro popolo”, ha aggiunto.

La prudenza occidentale

Quanto alle potenze occidentali, continuano a chiedere moderazione. Il sottosegretario di Stato Usa, Victoria Nuland, ha dichiarato di aver incontrato i leader militari del Niger, ma di non aver fatto progressi immediati dato che i golpisti non hanno accolto i suggerimenti degli Stati Uniti per cercare di ripristinare l’ordine democratico e che la sua richiesta di incontrare il leader spodestato del Niger Mohamed Bazoum è stata rifiutata. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, in un’intervista si è limitato a dire che la diplomazia è il “modo preferibile” per risolvere la crisi, aggiungendo che Washington sostiene “gli sforzi dell’Ecowas per ripristinare l’ordine costituzionale”.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha assicurato di lavorare affinché “ci sia una soluzione diplomatica, dobbiamo scongiurare assolutamente una guerra in Niger”. Anche perché l’Europa, e soprattutto un Paese di confine come l’Italia, teme non solo le ripercussioni economiche, ma soprattutto quelle in tema migratorio, essendo il Niger un punto di snodo fondamentale della cosiddetta rotta del Mediterraneo. Non lo nasconde nemmeno il portavoce dell’Ue Peter Stano: la gestione della migrazione “è uno dei molti problemi che la situazione in Niger pone perché” il colpo di Stato “rappresenta un pericolo generale per la stabilità e la sicurezza nell’intera regione. Se il colpo di Stato sarà autorizzato ad avanzare, non ci saranno conseguenze positive. Come si è già visto nella regione, ogni volta in cui si è verificato un colpo di stato militare e il rovesciamento delle istituzioni democratiche, questo ha portato a rischi per la sicurezza, inclusa l’incapacità della comunità internazionale di aiutare a regolare i flussi migratori“.

L’incognita subsahariana

Di grande interesse è l’analisi, su Avvenire, di Maurizio Ambrosini.

“Che le sorti della democrazia in un Paese africano come il Niger siano un problema per le cancellerie e le opinioni pubbliche europee è un fatto nuovo, e di per sé encomiabile. Molti hanno scoperto, a seguito del golpe militare, che il Niger non solo è un fornitore strategico di un terzo circa dell’uranio per le centrali nucleari francesi, ma anche un partner-chiave per il controllo dei transiti dei migranti e profughi nell’Africa occidentale.

Dal settembre 2016, con l’entrata in vigore di una legge approvata l’anno prima, il Paese reprime i passaggi di persone di varia provenienza che intendono attraversare la nazione con l’intento di raggiungere l’Africa settentrionale, da decenni meta di migrazioni sub-sahariane: flussi di persone in parte stagionali e circolatori, in parte animati da progetti di insediamento più o meno stabile, in parte guidati dal proposito di proseguire il viaggio verso l’Europa. Il poverissimo Niger ospita inoltre circa 200mila profughi in fuga dalle violenze dei jihadisti del Mali e del Burkina Faso, nella famigerata zona dei tre confini. Da qui sono partiti i corridoi umanitari finanziati dalla Cei con i fondi dell’otto per mille per portare al sicuro in Italia i malcapitati fuggiti dalla Libia.

La narrazione ufficiale ha spesso descritto in questi anni il Niger come un partner esemplare delle politiche di Bruxelles e dei governi dell’UE. Poco più di un anno fa, nel luglio 2022, una nota di Bruxelles sosteneva: «Gli sforzi congiunti nell’ambito di questo partenariato aiuteranno a salvare vite umane, interrompere il modello di business utilizzato dalle reti criminali, impedire ai migranti di diventare vittime di violenza e sfruttamento e proteggere i loro diritti fondamentali». Il Niger è stato persino premiato dall’UE per la sua collaborazione con le istituzioni europee, e dall’Italia ha ottenuto un finanziamento di 7,5 milioni di euro a carico del Fondo Migrazione 2023 nell’ambito delle iniziative per contrastare il traffico di esseri umani. 

Le evidenze raccolte sul terreno raccontano una storia diversa. In un Paese poverissimo, il transito di migranti nella reg ione di Agadez alimentava un’elementare economia dei passaggi, in cui si guadagnavano da vivere non solo i guidatori dei mezzi di trasporto, ma i fornitori di alloggi, di cibo, di acqua, di schede telefoniche e di altri servizi. Era un’economia inserita nella società locale, conosciuta e largamente tollerata, perché procurava mezzi di sostentamento a migliaia di famiglie. Il brusco cambiamento di rotta del governo nigerino l’ha stroncata, tamponando qua e là l’impatto del nuovo corso con qualche aiuto umanitario. Praticamente da un giorno all’altro degli operatori economici che offrivano servizi e sviluppavano transazioni alla luce del sole sono stati criminalizzati, subendo arresti e sequestri.

È una storia esemplare di come i deboli governi africani prendano misure contrarie agli interessi dei loro cittadini per aderire alla volontà dei potenti partner occidentali e ottenerne l’appoggio. Come conseguenza, i transiti si sono indubbiamente ridotti, come desiderato dai governi europei, ma le rotte residue sono diventate più tortuose, costose e pericolose. Il livello di criminalità si è alzato, perché ora si tratta di eludere pattugliamenti e controlli armati, e questo comporterà probabilmente nuovi investimenti nella militarizzazione del remoto confine tra Niger e Libia, per tenere lontani i profughi dalle sponde del Mediterraneo. Sempre che le nuove autorità di Niamey accettino di continuare a collaborare. Se lo faranno, non è difficile prevedere che l’atteggiamento dei governi europei finirà per ammorbidirsi”.

Le opzioni sul tavolo

A declinarle, in un documentato report per AnalisiDifesa, è Marco Leofrigio.

“Gli sviluppi della crisi nigerina dipenderanno dalle opzioni attualmente sul tavolo. Mantenere il negoziato aperto senza esasperare la crisi con la giunta di Niamey ridurrebbe il rischio di escalation e di un conflitto regionale che potrebbe destabilizzare tutta l’Africa Occidentale/Sahel ma rafforzerebbe la giunta golpista nigerina. Uno sviluppo probabilmente non accettabile per la Francia. 

Limitare il contrasto al Cnsp a sanzioni economiche sempre più forti eviterebbe un conflitto aperto, provocherebbe forse danni alla già debole economia nigerina anche se la vastità dei confini nigerini attraversati da tempo da traffici illegali potrebbe vanificare o ridurre l’impatto delle sanzioni. Di certo tali misure accentuerebbero la spaccatura all’interno dell’Ecowas allontanando definitivamente il Niger dall’influenza occidentale.

Attuare un vasto intervento militare richiederebbe tempo e determinerebbe un conflitto di durata indefinita e fuori controllo, che potrebbe allargarsi ad altre nazioni e che favorirebbe i movimenti jihadisti attivi nella regione (nel 2022 il Niger ha subito 114 attacchi di matrice jihadista contro i circa 2mila di Mali e Burkina Faso). Occorrerebbe poi mettere a punto piani e attività d’intelligence, riunire e supportare logisticamente ingenti forze (molti più militari dei 7mila messi in campo dall’Ecowas nel 2017 per l’intervento nel minuscolo Gambia) con mezzi terrestri e aerei per uno sforzo bellico dalla tempistica potenzialmente prolungata, con ampi costi finanziari e con la prospettiva di dover dispiegare truppe non solo a Niamey ma in tutto il Niger, grande oltre volte l’Italia. L’esercito nigeriano, che porterebbe il peso più rilevante in caso di interventi dell’Ecowas, ha già molti impegni interni da affrontare contro i movimenti jihadisti (Boko Haram e i miliziani jihadisti dell’Islamic State West Africa Province legati allo Stato Islamico) e i separatisti del Biafra. Inoltre il successo militare contro la giunta militare del Niger non è scontato non solo per il supporto che verrebbe offerto da Mali e Burkina Faso ma anche perché la penetrazione di truppe nigeriane a Niamey non sarebbe gradito all’Algeria. Le truppe nigeriane e gli alleati di Costa d’Avorio e Senegal dovrebbero confrontarsi con le forze nigerine potenziate in questi anni dagli aiuti e dalle forniture occidentali, turche ed egiziane senza contare che un eventuale ruolo attivo delle forze francesi potrebbe venire interpretato in tutta l’Africa come un’operazione neo coloniale favorendo così la penetrazione (anche militare) russa, turca e cinese. Parigi dovrebbe poi tenere in conto il rischio che un’altra “campagna d’Africa” possa infiammare nuovamente l’insurrezione interna in molte banlieues che aprirebbe un rilevante fronte interno.

Condurre un’azione mirata a liberare Bazoum, con forze speciali presumibilmente francesi (già presenti a Niamey), determinerebbe in ogni caso uno stato di guerra che comprometterebbe i rapporti e gli interessi di Parigi e occidentali in Niger senza però garantire sviluppi negativi per la giunta militare di Niamey. Ogni azione militare contro il Cnsp potrebbe inoltre offrire il destro per interventi esterni a sostegno dei golpisti come quello dei contractors russi della Pmc Wagner. Il suo leader, Yevgeny Prigozhin, si è già reso disponibile a inviare i suoi uomini a Niamey anche se Mosca finora si è espressa a favore del ripristino del governo legittimo pur senza emettere condanne o minacciare sanzioni nei confronti della giunta golpista.

Puntare su un contro-golpe interno non offrirebbe attualmente garanzie di successo poiché non vi sono elementi che inducano a ritenere che ampie fasce della popolazione siano pronte a sollevarsi contro il Cnsp né che una parte consistente delle forze militari e di sicurezza nigerine siano pronte a insorgere contro i golpisti.

La crisi nigerina  – conclude Lofrigio – resta quindi troppo complessa per poter sperare in soluzioni rapide, efficaci ma soprattutto che non ne comportino l’ulteriore aggravamento”.

Niger, la partita è solo agli inizi. Come la “guerra dell’uranio”.

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