Da Rafah a Montecitorio: una interpellanza umanitaria e un governo spiazzato dall'Europa
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Da Rafah a Montecitorio: una interpellanza umanitaria e un governo spiazzato dall'Europa

Un rapporto importante tra azione sul campo e proiezione parlamentare. Da Rafah a Montecitorio, per chiedere conto al governo italiano del suo operato nella tragedia di Gaza. 

Da Rafah a Montecitorio: una interpellanza umanitaria e un governo spiazzato dall'Europa
Macerie a Rafah
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Marzo 2024 - 21.30


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Un rapporto importante tra azione sul campo e proiezione parlamentare. Da Rafah a Montecitorio, per chiedere conto al governo italiano del suo operato nella tragedia di Gaza. 

Rapporto virtuoso

L’interpellanza urgente, primo firmatario Arturo Scotto, al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ha molteplici significati. Il primo dei quali, nell’assoluta urgenza, è quello di sostenere le agenzie Onu, in primis l’Unrwa, che operano per alleviare l’indicibile sofferenza dei 2 milioni di palestinesi, in maggioranza donne, adolescenti, bambini, intrappolati nella Striscia di Gaza dall’esercito israeliano. 

A ciò si aggiungono le ricadute politiche. Sulla pace, il “campo giusto” rafforza la sua unità: i firmatari dell’interpellanza sono deputati del Pd, del Movimento 5Stelle e di Alleanza Verdi Sinistra. I contenuti e le richieste avanzate, altro punto qualificante, sono espressione di un vasto movimento della società civile, centinaia di associazioni, Ong, sindacati, che hanno dato vita alla grande manifestazione nazionale del 9 marzo scorso a Roma. 

“I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

Gaza, a seguito dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2024, è diventata il teatro di un’operazione militare da parte dell’esercito israeliano che ormai dura da più di cinque mesi. A farne le spese sono sempre di più le popolazioni civili che abitano la striscia: ci sono, dall’inizio del conflitto, quasi 31.000 i morti, oltre settantamila i feriti, di cui tantissimi donne e bambini; il sistema sanitario è totalmente saltato: sono 342 i medici feriti o addirittura uccisi, 100 quelli fermati, 106 le ambulanze distrutte. Le strutture ospedaliere aperte sono meno di un terzo rispetto a prima del 7 ottobre. Per Medici senza frontiere è tecnicamente impossibile tracciare l’entità del disastro: il 16 per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione, 265.000 sono affetti da infezioni all’apparato respiratorio, 210.000 i casi di diarrea, 80.000 i casi di Epatite A dovuta a promiscuità, condizioni igienico-sanitarie minime, acqua non potabile; a questi si aggiungono oltre 300.000 malati cronici (diabetici, oncologici, cardiopatici, ipertesi) senza più cure; l’ufficio delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari riferisce che il rischio di morire di fame a Gaza colpisce in modo sproporzionato i bambini e le donne incinte.

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Su 416 donne in stato di gravidanza che si sono rivolte alla clinica del progetto Hope a Deir al Balah tra il 5 e il 24 febbraio 2024, circa un quinto mostrava segni di malnutrizione, una condizione che aumenta i rischi di emorragia post partum, potenzialmente letale, di parto prematuro e di neonati sottopeso; il colera viene considerato altamente probabile se l’assedio a Gaza proseguirà. A cinque mesi dal 7 ottobre 2023 la bomba più pericolosa è quella epidemiologica; l’Oms, citando delle proiezioni, frutto degli studi della Hopkins University e dell’Università di Londra, dichiara che senza il cessate il fuoco saranno tra i 60.000 e gli 85.000 i morti in più nei prossimi sei mesi solo per le malattie; nessuna operazione umanitaria su larga scala è davvero possibile, però, senza il blocco delle ostilità; infatti, per gli aiuti umanitari si accumulano file sterminate di camion che aspettano per giorni: sono tra i 1.500 e i 2.000 i tir fermi a Rafah; all’hub dell’Ocha, gli autisti chiedono di fare qualcosa per sbloccare la situazione, alcuni di loro sono lì da più di un mese. Trasportano cibo in scatola, farina, pacchi di riso, tende e coperte; nel centro logistico della Mezzaluna rossa egiziana si stoccano le merci che non passano il vaglio di sicurezza di Israele.

Visitando un paio di capannoni è possibile constatare la mole di aiuti che arrivano da Arabia Saudita, Brasile, Germania, Francia, Australia, Indonesia, Singapore, Unione europea, oltre a Onu e dalle Ong. A essere respinti sono anestetici, incubatrici, bombole di ossigeno, generatori, toilette chimiche, depuratori di acque; secondo criteri di assoluta discrezionalità di Israele; il divieto di ingresso degli aiuti e il conseguente calo drastico che ne deriva sulla popolazione civile è esso stesso equiparabile ad un atto di guerra; nei giorni scorsi il presidente Biden ha chiesto ad Israele di non ostacolare gli aiuti e ha annunciato una missione umanitaria via mare.

Servono tra i 500 e 700 camion al giorno per tamponare l’emergenza umanitaria, mentre ne entrano poche decine; anche la soluzione dell’aviolancio degli aiuti umanitari fatti da molti Paesi e previsti anche nella missione italiana Levante non rappresenta una reale alternativa al fabbisogno della popolazione considerando che la quantità di merci con lancio equivale ad un decimo del carico di un solo camion; l’Unrwa è nel mirino, il suo definanziamento e il suo depotenziamento produrrebbe per almeno un milione di persone a Gaza il collasso definitivo.

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Ed è la stessa Unrwa che dice che a Rafah i rifugiati condividono un gabinetto in 600; l’Italia continua a bloccare il proprio contributo annuale all’Unrwa, mentre l’Unione europea lo ha ripristinato e, per bocca della presidente della Commissione, ha affermato: «Dobbiamo garantire la sicurezza della distribuzione degli aiuti all’interno di Gaza. Questo rende ancora più importante lavorare con quelle agenzie che hanno ancora una presenza sul campo. Ed è il caso dell’Unrwa. A gennaio, sono state mosse gravi accuse contro alcuni membri del personale dell’Unrwa. Perciò abbiamo deciso di valutare le nostre decisioni di finanziamento alla luce delle azioni intraprese dalle Nazioni unite e dall’Unrwa in risposta a tali accuse. Da allora, l’Onu ha condotto un’indagine interna e ha creato un gruppo di revisione indipendente, guidato da Catherine Colonna. L’Unrwa ha anche accettato un audit da parte di esperti esterni nominati dall’Unione europea.

Di conseguenza, procederemo con il pagamento di 50 milioni di euro a sostegno dell’Unrwa»; inoltre, sono stati congelati numerosi progetti a Gaza e in West Bank della Agenzia della Cooperazione italiana allo sviluppo e delle Ong italiane che operano in Palestina e in Israele –:

quali iniziative stia intraprendendo il Governo per assicurare la consegna degli aiuti umanitari all’interno della striscia alla popolazione civile, anche attraverso una specifica iniziativa dell’Unione europea volta a chiedere allo Stato d’Israele, nell’immediato, lo sblocco dei valichi;

quali azioni di competenza stia perseguendo il Governo per favorire il cessate il fuoco, affinché la situazione della popolazione civile non degeneri ulteriormente;

“ScottoAscariFratoianniAuriemmaBakkaliBoldriniBonelliCarminaCarotenutoCherchiFerrariGhioGrimaldiMariOrlandoProvenzanoQuartapelle ProcopioQuartiniScarpaVaccariZan”.

Richieste che vengono rafforzate dalle conclusioni del Consiglio europeo che si è tenuto ieri a Bruxelles sul conflitto a Gaza.

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Dichiara in proposito Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia:” Le conclusioni  del Consiglio europeo di ieri rappresentano un deciso passo in avanti delle posizioni europee su alcuni aspetti decisivi per il futuro di oltre 2 milioni di persone allo stremo a Gaza, superando di gran lunga le ‘timide’ posizioni italiane. In particolare, al punto 25, sull’indicazione dello sblocco dei fondi all’Unrwa data ai singoli Paesi, si va ben oltre alla posizione contraria espressa di recente dalla Premier Giorgia Meloni in Parlamento.

Due sono i concetti chiave alla base delle indicazioni: il primo è che i servizi forniti dall’Unrwa a Gaza e in tutta la regione sono essenziali; il secondo è che la Commissione europea, così come altri paesi, hanno già ricominciato a garantire il loro sostegno finanziario alla crisi. Del resto, alti funzionari europei, responsabili per gli aiuti umanitari, hanno dichiarato recentemente che non hanno ricevuto prove da parte di Israele circa le accuse rivolte ai dipendenti dell’agenzia Onu. – sottolinea Pezzati -A questo punto cosa aspetta il nostro Governo non solo a sbloccare i soldi promessi all’Unrwa nel 2022 (che non sono stati erogati), ma anche a prevederne per l’immediato uso nella crisi attuale?”

“Allo stesso tempo il Consiglio si è detto profondamente preoccupato per il rischio imminente di carestia causato dall’ingresso insufficiente di aiuti a Gaza, con metà della popolazione che rischia letteralmente di morire di fame, chiedendo a Israele l’apertura di ulteriori rotte e valichi terrestri. Chiedendo, inoltre, il rispetto del Pronunciamento della Corte di Giustizia Internazionale e delle misure urgenti richieste. Tutti punti che la nostra Premier però non ha nemmeno menzionato nel suo intervento – conclude Pezzati – Chiediamo dunque al Governo di fare uscire finalmente il nostro Paese dall’angolo in cui si trova, giocando un ruolo deciso a livello internazionale per raggiungere il cessate il fuoco, il pieno accesso umanitario per la popolazione e per il rispetto del pronunciamento della Corte di Giustizia Internazionale, nonché del diritto umanitario in generale da parte di Israele”.

Facciamo nostra la richiesta del responsabile di Oxfam. Cosa c’è da attendere ancora prima di sbloccare i fondi all’Unrwa? Che Netanyahu finisca di radere al suolo Rafah? 

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