Libano: così sta morendo il paese dei Cedri

 L’intensificarsi del conflitto armato ha danneggiato le infrastrutture civili e ha avuto conseguenze sui servizi di base da cui i bambini e le famiglie dipendono

Libano: così sta morendo il paese dei Cedri
Proteste in Libano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Aprile 2024 - 19.11


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Libano, un Paese in ginocchio. Uno Stato (semi) fallito. 

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L’allarme dell’Unicef

Le ostilità in corso nel Libano del Sud stanno avendo un impatto devastante sulla popolazione, costringendo oltre 90.000 persone – fra cui 30.000 bambini – a lasciare le proprie case. Secondo le ultime notizie del Ministero della Salute Pubblica, dall’escalation delle ostilità nell’ottobre 2023, 8 bambini (su 344 persone) sono stati uccisi e75 sono stati feriti (su 1.359 persone).

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 L’intensificarsi del conflitto armato ha danneggiato le infrastrutture civili e ha avuto conseguenze sui servizi di base da cui i bambini e le famiglie dipendono, compresi danni significativi a 9 stazioni idriche, che servivano una popolazione di 100.000 persone. Più di 70 scuole sono attualmente chiuse, con conseguenze su circa 20.000 studenti e sulla loro istruzione. Circa 23 strutture sanitarie – che servono 4.000 persone – sono chiuse a causa delle ostilità.

 “Mentre il conflitto che colpisce il sud del Libano è giunto al settimo mese, siamo profondamente preoccupati per la situazione dei bambini e delle famiglie che sono stati costretti ad abbandonare le loro case e per il profondo impatto a lungo termine che la violenza sta avendo sulla sicurezza, la salute e l’accesso all’istruzione dei bambini” – ha dichiarato il Rappresentante dell’Unicef in Libano, Edouard Beigbeder. “Finché la situazione rimarrà così instabile, altri bambini soffriranno. La protezione dei bambini è un obbligo previsto dal Diritto Internazionale Umanitario e ogni bambino merita di essere al sicuro”.

 Prima dell’inizio del conflitto, i servizi essenziali del Libano, compresi i sistemi sanitari e per l’istruzione, erano già sull’orlo del collasso dopo anni di sovraccarico. Il sistema sanitario non è in grado di soddisfare le richieste di assistenza sanitaria pubblica a causa della scarsità di risorse, tra cui energia, risorse umane, attrezzature e farmaci. Le crisi finanziarie ed economiche senza precedenti che hanno devastato il Paese dal 2019 hanno aggravato le vulnerabilità economiche esistenti, causando la perdita di posti di lavoro e di reddito, un’inflazione elevata e una carenza di servizi essenziali, tra cui elettricità e farmaci.

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 L’Unicef, lavorando con i partner, sta consegnando aiuti vitali alle famiglie colpite dalle ostilità, compresi aiuti medici salvavita, kit igienici, integratori di micronutrienti e alimenti complementari in barattolo alle famiglie sfollate che vivono principalmente in rifugi collettivi. L’Unicef ha anche consegnato carburante, acqua, serbatoi d’acqua, vestiti invernali e coperte. Un sostegno in denaro di emergenza una tantum è stato fornito congiuntamente al Ministero degli Affari Sociali per rispondere alle esigenze immediate di 85.000 persone. I bambini sfollati interni hanno potuto riprendere l’istruzione nelle scuole pubbliche e hanno ricevuto nuovo materiale scolastico e assistenza per il trasporto.

 “La situazione al sud si aggiunge alle crisi multiple in corso che il paese sta affrontando dal 2019”, ha proseguito Beigbeder. “La gravità delle crisi non è sostenibile per i bambini. Bisogna fare di più per evitare loro ulteriori sofferenze. Chiediamo un immediato cessate il fuoco e protezione di bambini e civili. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per assicurare che ogni bambino in Libano vada a scuola, sia protetto da pericoli fisici e mentali e abbia l’opportunità di crescere e contribuire alla società.”

Crisi politica senza fine

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Da un lancio Ansa: “Per la terza volta in tre anni, in Libano sono state rinviate di un anno le attese elezioni amministrative in un Paese afflitto dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia e da più di sei mesi travolto dal conflitto armato tra Hezbollah e Israele.

Il Parlamento ha approvato con un’ampia maggioranza, composta proprio da Hezbollah e dai suoi alleati, la proroga dei mandati dei sindaci e dei consigli comunali fino al maggio del 2025.

Le ultime elezioni amministrative si erano svolte nel 2016 con un mandato della durata di sei anni. Il primo rinvio era stato deciso nel 2022 perché le municipali si sarebbero svolte in prossimità delle elezioni legislative. L’anno scorso sono state invece rinviate per mancanza di risorse finanziarie. 
Quest’anno sono state rinviate per “questioni di sicurezza”, con riferimento alle ripercussioni dei continui bombardamenti israeliani nel sud del Libano e nella valle orientale della Bekaa.

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Un report illuminante

È quello redatto per l’Ispi da Marina Calculli.

Quadro interno

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“La stagnazione continua a essere la cifra delle istituzioni politiche libanesi e ne rappresenta contemporaneamente il principale paradosso in una congiuntura storica in cui la crisi economica, finanziaria e sociale del paese si intreccia con il rischio di un allargamento della guerra di Israele a Gaza, che ha già provocato tensioni tra Hezbollah e le forze armate israeliane sul confine meridionale del paese.

Il vacuum istituzionale – la mancata elezione di un nuovo presidente della Repubblica da parte del parlamento che fa da complemento alla mancata formazione di un governo dopo le elezioni legislative del 2022, cui si aggiunge l’ennesimo rinvio delle elezioni municipali nel 2023 (inizialmente previste lo scorso 31 maggio) e la proroga forzata del mandato del generale Joseph Aoun come comandante delle Forze armate libanesi – dà una rappresentazione plastica della paralisi istituzionale del Libano contemporaneo.

Mentre il governo guidato dal premier Najib Mikati – ad interim da settembre 2021 – svolge solo funzioni minime e prettamente amministrative, la crisi economica libanese continua ad aggravarsi. Sebbene ci sia stato nel 2023 un flebile segno di ripresa della crescita economica (0,2%), dopo quattro anni di recessione, questo dato è in realtà legato a un temporaneo incremento delle rimesse estere e a un’ondata di turismo nell’estate del 2023 che ha dato l’illusione di una lieve ripresa dei consumi. Questi due dati combinati mostrano quanto quella libanese rimanga un’economia fortemente fondata su rendite estremamente volatili e legate a fattori esterni: non a caso l’illusione della ripresa è già stata vanificata dalla immediata contrazione del turismo, dopo lo scoppio della guerra a Gaza nell’ottobre 2023 e delle ripercussioni che quest’ultima sta avendo sul Libano.

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La svalutazione della lira libanese (LL) rispetto al dollaro si è ulteriormente aggravata, assestandosi nella fase finale del 2023 a 89.500 LL per un dollaro grazie a un piccolo intervento della Banca centrale (dopo un picco di 140.000 LL per un dollaro nel mese di maggio 2023). Si tratta di una situazione particolarmente pesante in un’economia fortemente dollarizzata come quella libanese, dove – ad esempio – i prezzi dei beni di prima necessità in vendita nei supermercati sono fissati in dollari. Contemporaneamente, il tasso medio di inflazione dei prezzi in lire libanesi durante i primi undici mesi del 2023 ha raggiunto le tre cifre: 225,1%

A fronte di questi dati, la fragilità di visione dell’élite politica libanese nel cercare di portare il paese fuori dalla crisi economica e finanziaria si manifesta tragicamente nell’aver proiettato la ripresa quasi esclusivamente sullo sfruttamento di potenziali quanto incerti giacimenti di gas e petrolio nel Mediterraneo. Per iniziare le trivellazioni nelle sue acque, il Libano aveva accettato un accordo con Israele sulla demarcazione della frontiera marittima che da molti è stato considerato umiliante per Beirut. Tuttavia, le prime trivellazioni a largo di Qana’, si sono rivelate un flop: non sono state trovate quantità di gas sufficienti per essere commercializzato. Non sorprendentemente la società risente della situazione economica del paese, con l’80% della popolazione libanese che è stata spinta in una condizione di povertà, vittima di una diffusa insicurezza alimentare, un difficile accesso all’acqua e alle cure mediche essenziali[4]. Non a caso, a essere particolarmente vulnerabili sono i rifugiati – 1,5 milioni di rifugiati siriani (secondo le stime dal governo), 210.000 rifugiati palestinesi e 81.500 lavoratori migranti[. Persino coloro che continuano a disporre di risorse economiche adeguate non possono comunque accedere ai propri depositi bancari per le restrizioni che le banche private continuano a imporre sull’accesso ai conti correnti, dopo il collasso del sistema bancario.

Gli effetti della crisi libanese pesano inoltre sull’istruzione e il benessere dei bambini. In uno studio condotto a novembre 2023su circa 2.153 famiglie (1.228 libanesi; 534 rifugiati siriani; 391 rifugiati palestinesi), l’Unicef ha constatato che il 16% delle famiglie manda i propri figli a lavorare per integrare il reddito familiare; il 26% delle famiglie ha dichiarato che i propri figli non vanno a scuola; il 38% delle famiglie riferisce quotidianamente che i propri figli sono ansiosi e il 24% depressi. Per di più, l’81% delle famiglie ha ridotto le spese sanitarie e l’84% ha dovuto prendere in prestito denaro o acquistare a credito per procurarsi prodotti alimentari essenziali. Questi dati si aggravano nel sud, dove il 46% delle famiglie dichiara che i propri figli sono ansiosi e il 29% depressi. Ciò non sorprende se si considera che nel sud si intrecciano una storica scarsa presenza delle istituzioni (e di conseguenza di servizi e aiuti) e un’insicurezza strutturale dovuta al conflitto con Israele.

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La minaccia di Israele è tornata a ridefinire la situazione nel sud del Libano nella congiuntura attuale. Con l’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza, seguiti all’attacco di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, Hezbollah ha lanciato razzi sul nord di Israele per manifestare la propria solidarietà con Gaza, provocando una lunga serie di reazioni israeliane. Dal 7 ottobre fino alla fine del 2023, a fronte dei 306 attacchi da parte di Hezbollah verso Israele, ci sono stati 1200 attacchi di Israele verso il sud del Libano[7]. Qui i raid israeliani hanno provocato decine di vittime civili, tra cui tre giornalisti in servizio, e costretto gli abitanti dei villaggi di frontiera a evacuare a nord del fiume Litani. Le reazioni all’interno del paese oscillano tra due sentimenti opposti: da una parte, la frustrazione (soprattutto sociale) per il sostegno delle potenze occidentali a Israele che ha catalizzato proteste popolari contro le ambasciate di Stati Uniti e Francia; dall’altra, la paura di una nuova invasione israeliana (dopo quella del 2006) che aleggia presso una società già vessata dalla crisi economica e ha spinto buona parte dell’élite politica e religiosa libanese a lanciare accorati appelli alla moderazione. Tuttavia, mentre altri attori regionali, alleati di Hezbollah, hanno mostrato di essere pronti a impegnarsi militarmente contro Israele e i suoi alleati occidentali, la possibilità di scongiurare un allargamento del conflitto si indebolisce. Ansar Allah (il gruppo identificato in Occidente con il gruppo armato degli houthi) ha lanciato attacchi contro navi civili statunitensi e britanniche nel Mar Rosso in protesta contro le morti dei civili palestinesi a Gaza causate dalle azioni militari di Israele; il movimento Nujaba iracheno ha lanciato attacchi contro le basi americane in Iraq per il loro sostegno incondizionato al governo di Netanyahu; infine, le Guardie rivoluzionarie iraniane hanno lanciato missili contro centri di spionaggio israeliani a Erbil, nel nord dell’Iraq.

Il Libano di fronte all’offensiva di Israele su Gaza

L’ennesima riapertura del conflitto nel sud del Libano tra Israele e Hezbollah pesa fortemente su un sistema politico e sociale vessato dalla crisi economica e finanziaria. I partiti politici libanesi – a eccezione di Hezbollah – sono piuttosto compatti sull’imperativo di evitare l’allargamento del conflitto a Gaza al Libano e al resto del mondo arabo, non differentemente dagli altri governi arabi. A parte qualche dichiarazione cosmetica sul diritto del Libano a difendersi dagli attacchi israeliani, come quello di Nabih Berri, la classe politica libanese non sembra interessata ad entrare in guerra con un nemico troppo più forte del fragile esercito libanese, consapevoli del fatto che l’unico attore in grado di tener testa alle Forze armate israeliane sarebbe Hezbollah.

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Questa attitudine è, d’altra parte, comune a tutte le élites arabe e marca una profonda inversione di rotta rispetto alla storica solidarietà panaraba (degli anni Sessanta e Settanta del ventesimo secolo) nei confronti della Palestina. Essa mette in luce quanto il peso della supremazia militare israeliana sulla regione mediorientale e l’influenza degli Stati Uniti abbiano soffocato l’arabismo nel corso degli ultimi decenni. Nello specifico, il Libano – nonostante la presenza di Hezbollah che rappresenta il principale alleato dell’Iran nella regione – resta in larga misura alla mercé della strategia statunitense e occidentale che vincola gli aiuti al paese alla lealtà di una parte della classe politica e al suo impegno nel contenere Hezbollah, contribuendo dall’esterno alla stagnazione economica e politica del paese per impedire a Hezbollah di beneficiare da una potenziale ripresa.

In questo contesto bisogna comprendere anche la debolezza strutturale dell’esercito libanese, il cui equipaggiamento e addestramento è sotto stretto controllo internazionale e tale per cui le forze armate libanesi non sarebbero in grado di reggere neppure un giorno di conflitto con quelle israeliane. La debolezza dell’esercito libanese è funzionale a garantire a Israele la supremazia militare sull’intera regione. Hezbollah, tuttavia, ha storicamente contrastato questa definizione della sicurezza regionale e ha acquisito negli ultimi due decenni nuova tecnologia militare (specialmente missili terra aria) e addestramento dall’Iran che lo rendono capace di resistere ad attacchi israeliani e di colpire obiettivi militari all’interno di Israele.

Hezbollah è parte del sistema politico libanese, seppur restando autonomo militarmente dallo stato del Libano. Questa sua natura duplice – politica e militare – porta Hezbollah a dover bilanciare tra diversi attori e interessi. Se da un lato, Hezbollah ha chiaramente evocato la dottrina del fronte unico, assieme agli altri movimenti armati islamisti nella regione, per contrastare Israele, dall’altra ha scelto di contenere il conflitto in Libano, per onorare un accordo informale con alleati e avversari politici libanesi Questo accordo informale risale in realtà all’inizio del coinvolgimento militare di Hezbollah in Siria: il movimento si è impegnato a contrastare Israele in Siria, senza tuttavia trascinare il conflitto sul suolo libanese. Un rinnovo di questo accordo si evince dalle parole del ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bou Habib, che ha lasciato intendere, durante un’intervista con la Cnn, di avere avuto rassicurazioni da parte di Hezbollah al riguardo

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Tuttavia, il conflitto dipende solo in parte da Hezbollah che ha già mostrato l’intenzione di contenere il suo coinvolgimento militare. Dopo il 7 ottobre Israele ha perseguito l’escalation molto più che Hezbollah. Questo è dimostrato non solo dal numero di attacchi (citato sopra) ma anche dalla natura di questi attacchi: in particolare l’assassinio di Saleh al-Arouri, senior leader di Hamas, nel cuore residenziale della periferia sud di Beirut, un quartiere notoriamente sotto l’influenza politica e il controllo securitario di Hezbollah, oltre che di Wissam Tawil, comandante di Hezbollah. Per di più, diversi leader israeliani, come Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa, hanno detto pubblicamente che Israele potrebbe “rioccupare” il sud del Libano (già sotto occupazione israeliana dal 1982 al 2000

Aprire un fronte con il Libano potrebbe servire alla strategia del governo Netanyahu, la cui legittimità è fortemente contestata sia all’interno che all’esterno del paese. La sopravvivenza politica di Netanyahu appare sempre più chiaramente legata all’offensiva su Gaza e, in questo quadro, un intervento in Libano, con il pretesto di eliminare Hezbollah, potrebbe far guadagnare tempo al premier israeliano per restare al potere”.

Il report è del 31 gennaio 2024. Tre mesi dopo, la situazione è ulteriormente peggiorata. 

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Crisi economica, boom di profughi siriani, il ricatto di Hezbollah, i piani d’Israele. Così il Paese dei Cedri affonda. Senza speranza. Senza futuro. 

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