Il centralismo dogmatico è la minaccia più grave all’eredità di Bergoglio, il papa della Chiesa sinodale   
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Il centralismo dogmatico è la minaccia più grave all’eredità di Bergoglio, il papa della Chiesa sinodale   

Una sconcertante banalizzazione rende tutto semplice: i cardinali sono quasi tutti nominati da papa Francesco dunque la maggioranza “progressista” è sicura

Il centralismo dogmatico è la minaccia più grave all’eredità di Bergoglio, il papa della Chiesa sinodale   
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

6 Maggio 2025 - 18.06


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Una sconcertante banalizzazione rende tutto semplice: i cardinali sono quasi tutti nominati da papa Francesco dunque la maggioranza “progressista” è sicura, si tratta solo di vedere su chi decideranno di convergere. Questa scorciatoia che riduce il conclave a un tardivo congresso di un vecchio partito non considera una verità elementare e a tutti evidente: se si eccettuano i pontificati molto brevi, come quello di Giovanni Paolo II, tutti sono risultati in larga maggioranza costituiti da cardinali creati dal papa defunto. E chi altri li avrebbe potuti creare, per dirla in linguaggio ecclesiale, o nominare, per dirlo nella lingua corrente? 

La vera novità è ben altra e molto più importante: per la prima volta i cardinali elettori provengono da ben 80 Paesi, diversi dei quali non avevano mai pensato di poter aver un componente del Sacro Collegio. E poi per la prima volta gli europei non sono la maggioranza. E’ la Chiesa globale di Francesco, che fotografa l’universalità vera, profonda della Chiesa, dando dignità anche a quelle Chiese dello 0, 1% percento, come suol dirsi. Le periferie vedono il centro con i loro occhi, che spesso ne colgono i difetti meglio dei nostri.  

E’ questo che rende il collegio nuovo, non un’ipotetica maggioranza riformista, o “progressista”. Cardinali che non si conoscono, come molte culture del mondo d’oggi non sanno molto l’una dell’altra, nonostante un certo di tipo di “globalizzazione diffusa” presente ormai ovunque. Come faranno a individuare il candidato nel quale identificarsi, o da sostenere? Una spinta all’incontro sarà certamente arrivata dal lungo cammino sinodale voluto da Francesco, i due sinodi sulla sinodalità, la grande riforma tesa a coinvolgere  il laicato cattolico nella gestione e  nella vita ecclesiale, a tutti i livelli, che ha visto 55 cardinali prendervi parte. Non sarà un blocco omogeneo, ma è un elemento di cui tener conto. 

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La Chiesa universale di Francesco, non più eurocentrica, è dunque al banco di prova del pluralismo cattolico. Riuscire a contemperare le diversità ad essa insite, senza egemonismi territoriali, ma orientati a rispettare culture e continenti sin qui sottostimati o meno considerati, che poi sono quelli dove il cattolicesimo cresce. Forse è questa universalità dei diversi compatibili, nel rispetto reciproco, il vero banco di prova. Tornare all’idea di Roma fonte sorgiva dell’unica acqua che deve andare a irrorare con la sua visione della fede tutte le terre del mondo, o tutte le terre del mondo che riescono, rispettando le loro diversità, a mandare acque diverse a Roma, dove si uniscono nella ricerca di una rinnovata e articolata armonia?

Un papa dottrinale, dogmatico, rispecchierebbe la prima visione: la fonte è una sola, la visione anche; l’acqua di Roma arriverà tramite i suoi messi in tutto il mondo e assorbirà nei suoi uffici esponenti del resto mondo pronti a uniformarsi. Un papa pastore, più attento all’esigenze dell’uomo contemporaneo, rispecchierebbe la seconda visione: il vangelo viene vissuto in tutte le terre come quelle popolazioni lo capiscono e tutte queste fonti evangeliche concorreranno a creare il nuovo volto della Chiesa di Roma. 

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La sola istituzione universale rimasta in vita in questi tempi di sconvolgimenti è a una prova difficile, forse più di altre altrettanto importanti, ma meno complesse. C’è la citata complessità del Sacro Collegio, mai così articolato, e la complessità del momento, che vede l’universalità sfidata dai populismi e dai nazionalismi che tornano. Di certo tutti sappiamo che un altro Francesco non c’è. Non c’è un uomo con la storia di Jorge Mario Bergoglio che lo poneva nel Global South ma con un radicamento familiare in Europa, figlio di migranti dalla Vecchia Europa al nuovo mondo, in prima linea contro il totalitarismo che nella sua Argentina ha incarnato quella deriva del Novecento facendone però il primo papa del millennio nuovo. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati papi profondamente europei e profondamente novecenteschi. Bergoglio per storia personale e per motivi anagrafici ha traghettato la Chiesa nel nuovo Millennio. Tra i suoi compiti non poteva non esserci quello di superare l’eurocentrismo e di procedere verso l’Oriente, come verso il Global South. Lo ha fatto con una grande visione che valorizza realtà quasi inesplorate, come quella del cattolicesimo in Mongolia, ad esempio.

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I nostalgici si vedono, ci sono, non è certo un mistero. Ma è la forza della nuova architettura che li sfiderà. Anche un papa europeo potrebbe non essere eurocentrico.  Ma è l’idea di omologazione a una presunta “unità” la vera sfida. La Chiesa è la sola istituzione universale a non aver ceduto al fallimento della globalizzazione solo finanziaria, o liberista, perché ha preservato, grazie a Francesco, la sua ricchezza di diversità che cercano di armonizzarsi dopo essersi incontrate e magari confrontate. Con le sue scelte Francesco ha dunque saputo tenere viva “l’utopia”, e questo è un messaggio prezioso per tutto il mondo, anche quello secolarizzato. Un papa che non scelga questa visione, ma qualsiasi di qualsiasi centralismo “dogmatico”, dal più forte, quello vecchio, come di uno nuovo, sarebbe la minaccia più grave all’eredità di Jorge Mario Bergoglio, il papa della Chiesa sinodale.   

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