Trump: "A Gaza la gente sta morendo di fame, gli Stati Uniti risolveranno la situazione"

Durante l’ultima tappa del suo tour nel Golfo, il presidente Donald Trump ha dichiarato ad Abu Dhabi: “Stiamo osservando con attenzione la situazione a Gaza. E la risolveremo. Molte persone stanno morendo di fame”.

Trump: "A Gaza la gente sta morendo di fame, gli Stati Uniti risolveranno la situazione"
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16 Maggio 2025 - 20.42


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Durante l’ultima tappa del suo tour nel Golfo, il presidente Donald Trump ha dichiarato ad Abu Dhabi: “Stiamo osservando con attenzione la situazione a Gaza. E la risolveremo. Molte persone stanno morendo di fame”.

Le parole del presidente arrivano mentre la Striscia subisce una nuova ondata di intensi bombardamenti israeliani. Le autorità israeliane continuano a negare che il rigido blocco imposto da oltre dieci settimane abbia causato carestie, ma le dichiarazioni di Trump vengono interpretate come un ulteriore segnale di tensione tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.

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C’era grande speranza che la visita di Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti potesse portare a una nuova tregua o a un rilancio degli aiuti umanitari verso Gaza. Tuttavia, i raid delle ultime 72 ore hanno fatto salire il livello di violenza a quello dei primi giorni dell’offensiva israeliana ripresa dopo il fallimento del cessate il fuoco a marzo.

Secondo l’agenzia della protezione civile di Gaza, i raid israeliani di venerdì hanno ucciso almeno 88 persone. Fonti locali parlano di un bilancio totale di 250-300 morti negli ultimi giorni. Almeno 48 corpi sono stati portati all’ospedale indonesiano nel nord di Gaza e altri 16 all’ospedale Nasser, dopo bombardamenti vicino alla città centrale di Deir al-Balah e a Khan Younis, nel sud.

A Jabaliya, quartiere nel nord già colpito da settimane, dieci corpi avvolti in lenzuoli bianchi giacevano tra le macerie, mentre alcune donne piangevano accanto a loro. Umm Mohammed al-Tatari, 57 anni, ha raccontato: “Stavamo dormendo quando tutto è esploso intorno a noi… Tutti correvano… C’era sangue ovunque, pezzi di corpi, cadaveri”.

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L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito più di 150 obiettivi definiti “terroristici” a Gaza. Intanto, Hamas trattiene ancora 57 dei circa 250 ostaggi catturati durante l’attacco del 7 ottobre 2023, in cui morirono circa 1.200 persone, per lo più civili israeliani. Israele afferma che il blocco e i bombardamenti intensificati da metà marzo servono a fare pressione sul gruppo per ottenere il rilascio degli ostaggi, anche se si ritiene che meno della metà siano ancora vivi.

Secondo il ministero della Salute di Gaza, l’offensiva israeliana ha ucciso circa 53.000 persone, in gran parte civili.

Il cessate il fuoco entrato in vigore a gennaio è crollato a metà marzo, dopo il rifiuto di Israele di passare alla seconda fase dell’accordo, che avrebbe potuto porre fine definitivamente alla guerra.

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Nei giorni scorsi, alcuni dei raid più pesanti sono stati diretti contro l’attuale comandante di Hamas a Gaza, che secondo Israele si nasconde nei tunnel sotto un grande complesso ospedaliero a Khan Younis. Hamas ha respinto le accuse, sostenendo di non utilizzare i civili come scudi umani.

Sebbene i combattimenti a terra siano limitati, Israele ha richiamato decine di migliaia di riservisti per una grande offensiva. Netanyahu ha dichiarato che i soldati manterranno il controllo dei territori conquistati, con conseguente sfollamento massiccio della popolazione. Alcuni ministri israeliani parlano apertamente di “conquista” di Gaza.

Lunedì, Hamas ha liberato Edan Alexander, ultimo cittadino statunitense ancora in vita tra gli ostaggi, grazie a un intervento diretto dell’amministrazione Trump che ha messo in secondo piano Israele.

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Come parte dell’accordo con Washington per il rilascio di Alexander, un alto dirigente di Hamas, Taher al-Nunu, ha affermato che il gruppo “si aspetta che l’amministrazione statunitense eserciti ulteriore pressione” su Israele per “aprire i valichi e permettere l’ingresso immediato degli aiuti umanitari”.

Israele, che accusa Hamas di appropriarsi sistematicamente degli aiuti per finanziare le proprie attività militari, ha proposto un piano per distribuire gli aiuti attraverso una rete di hub all’interno della Striscia, gestiti da appaltatori privati e protetti da truppe israeliane. Gli Stati Uniti hanno sostenuto il piano, giudicato però “inattuabile, pericoloso e potenzialmente illegale” da numerose organizzazioni umanitarie, che temono possa portare a trasferimenti forzati di popolazione.

Marco Rubio, segretario di Stato statunitense, giovedì ha riconosciuto le critiche e dichiarato che Washington è “aperta ad alternative migliori, se ne esistono”.

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La Gaza Humanitarian Foundation, istituita con il sostegno degli Stati Uniti per gestire il piano, ha annunciato mercoledì che inizierà a operare entro la fine del mese e che ha chiesto a Israele la revoca immediata del blocco per far arrivare gli aiuti nel territorio.

Le ONG hanno avvertito che ogni ritardo costerà vite umane, con i casi di malnutrizione acuta – soprattutto tra i bambini – in rapido aumento.

I sondaggi in Israele indicano un ampio sostegno a un nuovo cessate il fuoco per ottenere il rilascio degli ostaggi, ma fonti anonime citate dai media locali e regionali ridimensionano le possibilità di una svolta a breve.

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Il gruppo principale che rappresenta le famiglie degli ostaggi ha dichiarato venerdì che Netanyahu sta perdendo una “storica opportunità” per riportare a casa i loro cari.

Nel frattempo, le discussioni sul futuro a lungo termine di Gaza sono in stallo. Giovedì, Trump ha parlato del suo desiderio di trasformare Gaza in una “zona di libertà”, rilanciando una proposta già avanzata a febbraio per un controllo diretto degli Stati Uniti sulla Striscia, con l’obiettivo di ricostruirla come centro di lusso per il turismo e gli affari.

Negli ultimi giorni si è registrata una nuova ondata di violenza anche in Cisgiordania, mentre i miliziani Houthi dello Yemen hanno lanciato nuovi missili contro Israele. In risposta, Israele ha colpito i porti yemeniti di Hodeida e Salif, nel tentativo di indebolire le capacità militari del gruppo.

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