L'ebraismo democratico alza la voce: i palestinesi hanno diritto a uno Stato, come gli ebrei ebbero il loro
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L'ebraismo democratico alza la voce: i palestinesi hanno diritto a uno Stato, come gli ebrei ebbero il loro

L’ebraismo democratico, progressista, la parte più lungimirante della diaspora scende in campo. Con coraggio, visione, capacità di sostanziale la parola “dialogo”.

L'ebraismo democratico alza la voce: i palestinesi hanno diritto a uno Stato, come gli ebrei ebbero il loro
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Maggio 2025 - 20.30


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L’ebraismo democratico, progressista, la parte più lungimirante della diaspora scende in campo. Con coraggio, visione, capacità di sostanziale la parola “dialogo”. A testimoniarlo è la presa di posizione pubblica di La Paix Maintenant e JCALL pubblicata da Liberation e che Globalist riporta.

“Noi, responsabili di La Paix Maintenant e di JCALL, abbiamo chiesto la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele fin dalla nascita dei nostri movimenti. I palestinesi hanno diritto al proprio Stato, come gli ebrei ottennero il loro nel 1948.

Abbiamo fondato La Paix Maintenant nel 1980 per sostenere il movimento israeliano Shalom Akhshav (Peace Now), che fin dalla sua nascita in Israele si oppone all’occupazione e alla colonizzazione della Cisgiordania e di Gaza. Abbiamo sostenuto tutte le iniziative di pace che si sono succedute affinché Israele si ritirasse da quei territori in virtu’ di un accordo e venisse creato uno Stato palestinese accanto a Israele, con confini sicuri e riconosciuti. Nel 2010 abbiamo lanciato JCALL, un appello alla ragione di cittadini europei ebrei profondamente legati al futuro e alla sicurezza di Israel (www.jcall.eu), perché consapevoli del pericolo che rappresenta per Israele la prosecuzione dell’occupazione e della costruzione di insediamenti ebraici in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est.

Finora il nostro impegno non mirava a istituire immediatamente uno Stato palestinese, ma a sostenere i piani e le iniziative perché ciò avvenisse. Questi si sono sempre basati su alcuni principi che tengono conto della realtà  sul terreno e rispondono alle legittime aspettative di entrambi i popoli: creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza, con uno scambio di territori per limitare il numero di israeliani da evacuare ed assicurare  ai palestinesi  continuità  territoriale in Cisgiordania e una connessione con la Striscia di Gaza; smilitarizzazione dello Stato palestinese; divisione di Gerusalemme con  l’inclusione dei quartieri arabi nello  Stato palestinese; rinuncia al diritto al ritorno in Israele dei rifugiati arabi del 1948 e dei loro discendenti, in modo da porre fine in modo definitivo a questo conflitto centenario e affinché  il futuro Stato palestinese non diventi una piattaforma per ulteriori rivendicazioni sull’intero territorio della Palestina mandataria; e infine, il reciproco riconoscimento dei due Stati e della loro legittimità .

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Abbiamo sostenuto gli accordi di Oslo, che avrebbero dovuto portare alla creazione di uno Stato palestinese conferendo all’ Autorità palestinese uno status di graduale autonomia sulle principali città della Cisgiordania e poi sugli altri territori. Ma il processo di Oslo è fallito. Il temporaneo è diventato permanente; il regime di occupazione della zona C, che rappresenta quasi il 60% della Cisgiordania ed è soggetto all’amministrazione israeliana, ha portato a una colonizzazione accelerata e ha minato la fattibilità di un futuro Stato palestinese. Lo status quo, già incerto, è crollato dopo i massacri del 7 ottobre perpetrati da Hamas in Israele e la guerra che ne è seguita a Gaza. Oggi il governo israeliano moltiplica i progetti di colonizzazione in Cisgiordania, dove le violenze dei coloni si moltiplicano senza un intervento dell’esercito. E la guerra a Gaza continua, senza che il governo israeliano abbia definito una strategia per la gestione di questo territorio una volta terminata la guerra. Dopo più di 19 mesi di conflitto, Hamas non è ancora stato completamente sconfitto, la maggior parte degli ostaggi è  stata liberata solo grazie a negoziati, e il numero di vittime civili palestinesi è  ingiustificabile e ci sconvolge tutti.

Di fronte a questa situazione, riteniamo necessario compiere un nuovo passo. Non ci si può più accontentare di dichiarazioni di principio sulla soluzione dei due Stati, che rimane ancora l’unica soluzione ragionevole per porre fine a questo conflitto.  Poiché siamo legati a Israele in quanto Stato ebraico e democratico, aperto al mondo, perché rifiutiamo che Israele continui ad occupare e dominare un altro popolo, e perché desideriamo che anche questo popolo possa disporre di uno Stato libero e indipendente accanto a Israele, che chiediamo il suo riconoscimento. Questo riconoscimento non è  affatto, come sostengono alcuni, un regalo fatto ad Hamas, che si oppone all’ esistenza di Israele e rivendica uno Stato islamico dal fiume al mare.  È l’unica possibilità  per permettere ai due popoli di vivere, un giorno prossimo, in sicurezza nei rispettivi Stati.

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Sosteniamo il progetto di inserire questo riconoscimento da parte della Francia in un piano di pace regionale  che preveda: un cessate il fuoco permanente a Gaza e la liberazione di tutti gli ostaggi; la ricostruzione di Gaza con il sostegno dei paesi arabi e occidentali; l’ istituzione di una gestione civile del territorio con la partecipazione di palestinesi ma senza Hamas, la sua smilitarizzazione, e il riconoscimento dell’ esistenza di Israele da parte dei paesi arabi che ancora non lo hanno fatto.

Il riconoscimento da parte della Francia della Palestina  che sarebbe probabilmente seguito da altri paesi europei  rafforzerebbe lo statuto della Palestina come Stato sulla scena internazionale e le permetterebbe, a tempo debito, di avviare negoziati da Stato a Stato con Israele, in particolare sulla questione dei confini. Non è più possibile condizionare oltre il riconoscimento dello Stato di Palestina.  È ora il momento di riconoscerlo.”

Firmato: David Chemla, Giorgio Gomel, Alexandre Journo, Meïr Waintrater, Alain Rozenkier.

Diplomatici per la pace

Un appello di chi ha trascorso gran parte della propria vita a rappresentare Israele nel mondo. È l’appello, rilanciato meritoriamente da JCALL, degli ex ambasciatori e diplomatici dello Stato ebraico che non hanno chiuso gli occhi di fronte alle nefandezze perpetrate dal peggiore governo nella storia d’Israele. Un appello rivolta alla diaspora ebraica. 

“Noi, ex ambasciatori e diplomatici israeliani facciamo appello ai nostri fratelli e sorelle ebrei nella Diaspora affinché alzino la voce riguardo alla crisi in corso in Israele. Israele è stato a lungo fonte di orgoglio e sicurezza per l’ebraismo mondiale; il suo attuale governo sta attivamente minando entrambi. Avendo spesso fatto affidamento su di voi i come nostri partner nell’affrontare le sfide esterne e promuovere il benessere di Israele, ora ci rivolgiamo di nuovo a voi. La maggior parte dell’opinione pubblica non sostiene il governo, soprattutto dopo il disastro del 7 ottobre. Consapevole di tale situazione, il governo mira senza limite alcuno a consolidare il suo potere.  Innanzitutto, agisce nel minare gli elementi fondamentali della democrazia: tribunali indipendenti, separazione dei poteri, stato di diritto, libertà di espressione.

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Anche se i rating internazionali di credito scendono, le tasse aumentano e i servizi vengono tagliati, risorse aggiuntive sono destinate a placare i partner della coalizione, in particolare i partiti ultraortodossi. Mentre la loro esenzione dal servizio militare avanza nella Knesset, coloro che prestano servizio sono chiamati di nuovo a combattere a Gaza, e l’opinione pubblica ha una posizione chiara: la ripresa della guerra (che minaccia gli ostaggi) è dovuta alle richieste dell’estrema destra. Tutto ciò si traduce in una frattura crescente, una minaccia alla coesione della società israeliana, che è fondamentale per affrontare le sfide in corso. Le principali organizzazioni e i dirigenti dell’ebraismo hanno sempre sostenuto le decisioni dei governi eletti di Israele, alla stessa stregua di noi diplomatici, che mettono da parte le loro opinioni personali. Ma questo non è il momento per le finezze e non è una questione di sinistra o di destra. Vi chiediamo urgentemente di esprimere il vostro sostegno alle centinaia di migliaia di israeliani in difficoltà che lottano per mantenere il nostro paese come ebraico e democratico, vibrante e vitale”.

I primi firmatari

Opher Aviran

Arthur Avnon

Dan Ashbel

Gadi Baltiansky

Rafael (Rafi) Barak

Barukh Binah

Nissim Ben Shitrit

Haim Divon

Udi Bitam

Eran Etzion

Shlomo Gur

Liora Herzl

Tova Herzl

Eviatar Manor

Amos Nadai

Daniel Pinhassi

Yael Rubinstein

Tamar Sam Ash

Raphael Schutz

Daniel Shek

Mark Sofer

Nadav Tamir

David Walzer

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