Le autorità giudiziarie svizzere stanno valutando l’apertura di un’indagine formale sulla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), una controversa organizzazione con sede a Ginevra, recentemente incaricata della distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. La decisione arriva a seguito di una richiesta ufficiale presentata dall’Ong elvetica Trial International, che ha sollevato dubbi sulla legittimità dell’ente in base sia al diritto svizzero che al diritto umanitario internazionale.
La fondazione è finita al centro di un vortice di accuse e interrogativi sulla trasparenza delle sue operazioni e sull’identità dei suoi finanziatori. Secondo fonti diplomatiche europee, la GHF sarebbe stata promossa in ambienti vicini all’ex presidente statunitense Donald Trump e al premier israeliano Benjamin Netanyahu, con l’intento non solo di rimpiazzare le agenzie delle Nazioni Unite — in particolare l’UNRWA — ma anche di trasformare la gestione degli aiuti in uno strumento politico e commerciale. Il fatto che la distribuzione sul terreno sia stata affidata a due società private di sicurezza statunitensi, Safe Reach Solutions e UG Solutions, ha ulteriormente alimentato le preoccupazioni.
L’impiego di contractor armati per la logistica umanitaria rappresenta un’eccezione mai vista prima in uno scenario di crisi civile, e secondo il diritto svizzero tale scelta potrebbe configurare la necessità di un’autorizzazione specifica da parte del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), attualmente al vaglio. La mancanza di chiarezza sui soggetti che compongono il consiglio direttivo della GHF, così come sui nomi dei donatori che avrebbero stanziato circa 100 milioni di dollari per l’operazione, ha sollevato ulteriori allarmi.
Le Nazioni Unite si oppongono con decisione al piano, sostenendo che la GHF manca di imparzialità, favorisce una gestione selettiva e potenzialmente discriminatoria degli aiuti e rischia di essere complice nei trasferimenti forzati della popolazione civile. In un comunicato ufficiale, il portavoce del segretario generale António Guterres ha dichiarato che “la gestione degli aiuti deve rimanere nelle mani di attori indipendenti e riconosciuti a livello internazionale”, e che “non è accettabile affidare un’operazione umanitaria a entità opache con possibili legami politici e militari”.
La fondazione, dal canto suo, respinge le accuse, dichiarandosi impegnata nel rispetto dei principi umanitari di neutralità, indipendenza e imparzialità. Tuttavia, secondo diverse inchieste condotte da media europei e statunitensi, dietro la creazione della GHF si celerebbe una rete di interessi privati legata a personaggi di primo piano della destra internazionale, inclusi ex consiglieri di Trump, uomini d’affari israeliani e fondazioni americane conservatrici. In questo contesto, la missione della GHF appare sempre più come un’operazione di colonizzazione umanitaria, in cui la retorica della solidarietà viene piegata a fini di controllo politico e di sfruttamento economico.
Secondo alcuni osservatori, la decisione di escludere l’UNRWA e le agenzie dell’ONU non nasce solo dalla volontà di Israele di delegittimare ogni forma di mediazione internazionale, ma anche dal tentativo di centralizzare la gestione degli aiuti attraverso canali più “affidabili” per Tel Aviv e Washington, capaci di rispondere direttamente agli interessi di leader come Netanyahu e Trump. Le forniture, in questo modello, passano non più per enti super partes, ma per società appaltatrici amiche, con potenziali guadagni enormi derivanti dalla logistica, dai contratti per il trasporto e perfino dalle infrastrutture necessarie alla distribuzione.
Nel frattempo, mentre milioni di palestinesi continuano a vivere in condizioni di emergenza assoluta, privati di acqua, cibo e assistenza medica, cresce la preoccupazione che la tragedia umanitaria venga usata come leva di potere e fonte di profitto. L’inchiesta svizzera, se aperta, potrebbe rappresentare il primo passo per fare luce su una delle più ambigue e opache operazioni umanitarie degli ultimi anni.