Israele annuncia 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania: una provocazione che mina la soluzione a due Stati
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Israele annuncia 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania: una provocazione che mina la soluzione a due Stati

In una mossa destinata a sollevare nuove tensioni nella già instabile regione mediorientale, il partito di destra Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato la creazione di 22 nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania, definendola “una decisione irripetibile per una generazione”.

Israele annuncia 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania: una provocazione che mina la soluzione a due Stati
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29 Maggio 2025 - 12.05


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In una mossa destinata a sollevare nuove tensioni nella già instabile regione mediorientale, il partito di destra Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato la creazione di 22 nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania, definendola “una decisione irripetibile per una generazione”. L’iniziativa, presentata come parte di una strategia per rafforzare la “spina dorsale orientale” dello Stato di Israele, è guidata dai ministri ultranazionalisti Bezalel Smotrich (Ministro delle Finanze e responsabile per gli insediamenti) e Israel Katz (Ministro degli Esteri).

Secondo quanto dichiarato in un comunicato diffuso su Telegram, la decisione prevede anche la fondazione di quattro comunità lungo il confine orientale con la Giordania, indicate come strategiche per la sicurezza nazionale e il controllo territoriale. Il Likud ha inoltre pubblicato una mappa con la localizzazione esatta dei 22 insediamenti, distribuiti in diverse aree della Cisgiordania occupata.

Due dei nuovi insediamenti – Homesh e Sa-Nur – assumono particolare valore simbolico. Entrambi erano stati evacuati nel 2005 nell’ambito del piano di disimpegno unilaterale da Gaza voluto dall’allora primo ministro Ariel Sharon. Il loro ripristino rappresenta una netta inversione di rotta rispetto a quella politica e viene letto da molti osservatori come un chiaro messaggio alla comunità internazionale e alle frange più ideologiche della destra religiosa israeliana: il progetto di annessione ebraica della Cisgiordania non è solo vivo, ma sta accelerando.

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L’annuncio giunge in un momento particolarmente delicato, alla vigilia di una conferenza internazionale convocata per discutere la possibilità di rilanciare la soluzione a due Stati – proposta sostenuta da gran parte della comunità internazionale, ma da tempo in stallo e sempre più compromessa dalla crescita degli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi. Proprio il continuo ampliamento delle colonie, considerate illegali dal diritto internazionale, è ritenuto da molti il principale ostacolo alla creazione di uno Stato palestinese indipendente e contiguo.

Per i promotori della soluzione a due Stati, la decisione del governo Netanyahu rappresenta una provocazione deliberata, volta a delegittimare qualsiasi tentativo negoziale e a consolidare un’occupazione che appare ormai strutturale. Secondo diversi analisti, la tempistica dell’annuncio – alla vigilia del summit – non è casuale, ma studiata per ribadire la volontà del governo israeliano di ignorare le pressioni diplomatiche e procedere unilateralmente nella ridefinizione del territorio.

Intanto, sul terreno, le reazioni palestinesi sono state immediate. L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato la decisione come “una nuova aggressione” e un “attacco diretto contro la possibilità di pace”. Anche diverse ONG e osservatori internazionali hanno espresso preoccupazione per l’escalation, sottolineando che ogni nuovo insediamento non solo sottrae ulteriori terre ai palestinesi, ma alimenta il ciclo di tensioni, violenze e repressione che caratterizza da decenni la vita nei territori occupati.

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In un contesto in cui il processo di pace è fermo e la diplomazia internazionale sembra sempre più impotente, la decisione di Israele rischia di segnare un punto di non ritorno, cristallizzando sul terreno uno status quo che assomiglia sempre più a un’annessione de facto. La “decisione irripetibile per una generazione” di cui parla il Likud rischia di esserlo davvero – non però in senso positivo, ma come il colpo di grazia definitivo a un progetto di coesistenza giusta e duratura tra israeliani e palestinesi.

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