Compagni, il problema è politico, si sarebbe detto un tempo. E in quel “politico” c’è tutto: umanità, indignazione, rivolta, resilienza. C’è il sentirsi dalla parte di chi sta morendo nell’inerzia complice della comunità internazionale.
Sì, compagni, il problema è politico. E per questo c’è da incazzarsi, scusate il francesismo, di fronte a quanti scoprono oggi la mattanza di Gaza, dopo aver sostenuto per mesi la giustezza, la legittimità, addirittura l’eroismo d’Israele nella guerra di annientamento a Gaza.
“Ma quanti palestinesi devono ancora morire perché tu sia soddisfatto e finalmente la smetta?”. È Nanni Moretti a scrivere queste parole accompagnate a una foto del premier israeliano Benjamin Netanyahu, per intervenire nel dibattito su Gaza. Caro Nanni, parafrasando ciò che hai scritto, ci permettiamo di riscriverlo così: “Ma quanti palestinesi devono ancora morire perché voi decidiate di rompere ogni relazione con i carnefici? In quei “voi”, per restare al fu Belpaese, sono in tanti e non solo a destra. Certo, c’è la presidente del Consiglio a cui qualche decina di migliaia di bambi uccisi da bombe e dalla fame sono riusciti a estorcerle che beh certe azioni di Netanyahu non sono accettabili… Certo, c’è l’amico di Putin al governo, Matteo Salvini, che non farsi e farci mancare nulla, si dichiara entusiasta sostenitore anche dell’altro criminale di guerra che vive a Gerusalemme: Benjamin Netanyahu.
Ma in quel “voi” ci sono anche i direttori dei grandi giornali, che hanno riempito le loro prime pagine, per mesi e mesi, di editoriali di fans d’Israele senza se e senza ma… Non li onoriamo di citazione ma chi ha letto La Repubblica nella direzione Molinari sa a chi i riferiamo, come per il Corriere della Sera dei vari Galli della Loggia…Per non parlare della Rai, della Tv di Stato, neanche che a dirigerla fosse Netanyahu.
Ora quei giornali s’intristiscono, lasciano spazio a racconti drammatici, strappa lacrime. Ma avete letto un editoriale o un titolo di prima pagina in cui si chieda all’Italia, a chi la governa, di fare almeno quello che altri Paesi europei hanno fatto, sospendere gli accordi commerciali con Israele, o che si sua la strada della Francia di Macron riconoscendo unilateralmente lo Stato di Palestina? Se li avete letti, chiedo venia. Ma non credo.
In quel “voi” ci sono anche i malpancisti che albergano nel centrosinistra. Quelli come Calenda e Renzi ma anche chi nel PD continua imperterrito nel voler puntualizzare, eccepire, perché non sia mai detto che si possa indire una manifestazione in cui si osi, udite udite, parlare di genocidio. E non sia mai si voglia mettere in discussione che, nonostante quel cattivone di Netanyahu, Israele resti l’unica democrazia del Medio Oriente. E guai a non considerare, nonostante i bambini ammazzati, quello d’Israele come l’esercito più morale al mondo.
Per costoro Netanyahu e la sua cricca di ministri fascisti (ma pure qui, guai a usare questa parola) sono mele marce in un cestino puro. E allora ecco a chiedere che in piazza si vada con due bandiere: quella della Palestina e quella d’Israele. Non sia mai quelli de Il Foglio, e non solo, dovessero indignarsi e scrivere che a Roma si sono radunati una moltitudine di antisemiti filo-Hamas.
No, stavolta proprio no. Stavolta non c’è equidistanza che tenga. Il cerchiobottismo non deve avere spazio a Piazza San Giovanni il 7 giugno.
Non ci sono bandiere da bruciare, ma da sventolare, sì. Le bandiere della Palestina, quelle della pace.
In questa storia, che non nasce il 7 ottobre, c’è una vittima e un carnefice. L’attacco di Hamas, che tutte le forze che hanno convocato il meeting di sabato prossimo hanno condannato senza tentennamenti, non giustifica, non legittima il genocidio a Gaza e l’apartheid in Cisgiordania.
La tragedia di Gaza non nasce il 7 ottobre 2023. Globalist l’ha raccontata molto ma molto prima, quando di Gaza non se ne parlava o scriveva più. Da decenni Gaza è un inferno in terra, una immensa prigione a cielo aperto che Israele ha isolato dal mondo. Ora questa prigione, per usare le appropriate parole del segretario generale delle Nazioni Unite, è diventato un campo di sterminio.
Sì, compagni, il problema è politico. E chi sarà in piazza il 7 si senta “partigiano”, nel senso più alto e nobile del termine. Dalla parte dell’unico popolo al mondo sotto occupazione. Dei disperati di Gaza. E di chi in Israele manifesta contro un governo fascista, bellicista, affamatore.
Dalla parte di una pace giusta, duratura, tra pari.
Senza mezzi termini. Con la Palestina nel cuore.