Gli stranieri salutano Harward: inizia l’esodo della comunità scientifica dopo i ricatti di Trump

Continua la lotta fra il governo federale e la prima università al Mondo. Fuggono i cervelli, e anche l’Italia cerca di inseguirli.

Gli stranieri salutano Harward: inizia l’esodo della comunità scientifica dopo i ricatti di Trump
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4 Giugno 2025 - 17.34 Culture


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di Martina Narciso

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Ad aprire, pochi giorni fa, in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi dell’Università di Harvard i saluti del rettore Alan Gerber hanno dato il benvenuto agli studenti tutti, “quelli provenienti dalla nostra città, dal resto del Paese e dal mondo intero”. Parole che gli sono valse una lunga standing ovation da parte dei presenti. L’enfasi, infatti, è stata vista come una potente ed evidente replica alle recenti battaglie dell’amministrazione Trump contro la più antica università americana: chiudere Harvard agli stranieri.

L’offensiva è stata lanciata nel mese di aprile quando, con una lettera indirizzata all’ateneo, l’amministrazione ha richiesto che venisse ridefinita la gestione dell’Università, sospendendo dei programmi di insegnamento (in particolare quelli vicini al rispetto delle politiche di diversità, equità e inclusione) e rivedendo delle norme di assunzione dei docenti. Gerber non ha esitato e replicare che Harvard non si sarebbe piegata a tali richieste illegali e incostituzionali, che violano il Primo Emendamento della Costituzione oltre che la libertà accademica, e di tutta risposta in poche ore sono stati congelati 2,4 miliardi di dollari in contratti, borse di studio e finanziamenti principalmente indirizzati alla ricerca medica e scientifica.

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Non potendo controllare gli insegnanti e cosa insegnano il governo ha tentato una controffensiva minacciando direttamente gli studenti, nello specifico gli iscritti stranieri: la segretaria della Sicurezza Interna degli Stati Uniti d’America, Kristi Noem, ha comunicato all’ateneo “la revoca con effetto immediato della certificazione del Programma Studenti e Visitatori di Scambio dell’Università”, azione che si applica “agli studenti attuali e futuri”, implicando di conseguenza che “Harvard non può più iscrivere studenti stranieri e gli studenti stranieri già iscritti devono trasferirsi o perdere il loro status legale”.

Stando ai dati Harvard 2024-2025, più del 25% degli iscritti sono studenti internazionali provenienti da oltre 140 paesi, adesso in difficoltà nel ponderare i prossimi passi. Un suggerimento arriva da Hong Kong, decisa ad aprire le porte agli studenti stranieri che dicono addio ad Harvard: il segretario dell’istruzione Christine Choi venerdì scorso ha dichiarato che è stato addirittura fatto appello a tutte le università cinesi per “offrire misure di facilitazione agli studenti idonei”.

Oltre al tentativo simbolico di colpire uno per educarli tutti (“Che questo faccia da monito a tutte le università e istituzioni accademiche del Paese”, dichiara tranquillamente Noem), è facilmente intuibile la conseguenza più immediata e diretta delle recenti politiche trumpiane, ovvero la perdita del prestigio culturale americano: i cervelli vogliono andare via. Di fatti, già subito dopo le elezioni presidenziali la rivista Nature ha pubblicato un sondaggio (Are you a US researcher who is considering leaving the country following the disruptions to science prompted by the Trump administration?) dai cui risultati è emerso che sì, il 75% dei ricercatori starebbe considerando di lasciare l’America per progredire con la propria carriera altrove.

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L’Europa viene scelta come meta di destinazione, e l’Italia punta a essere una delle alternative. Il rettore dell’Università Bocconi, Francesco Billari, invita a “cogliere le opportunità” a “essere un punto di arrivo per chiunque voglia eccellere nella ricerca e nell’insegnamento”. Dello stesso avviso è la rettrice dell’Università di Firenze, Alessandra Petrucci, che sottolinea quanto sia “fondamentale che il nostro sistema universitario si attrezzi per valorizzare il talento, trattenere i giovani e attrarre eccellenze dall’estero”.

Ma quanto è davvero valorizzato il talento se, dal 2011 al 2023, mezzo milione di giovani italiani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati? Nell’ambito della mobilità dei giovani talenti europei l’Italia è ultima per attrattività, lasciando che i cervelli vengano attratti dai Paesi che spianino loro il territorio, anziché minarlo. La qualità della vita e i salari competitivi sono solo alcune delle motivazioni dell’esodo, perché le principali sono le prospettive di carriera, l’accesso ai percorsi di studio e la formazione di alto livello.

Del resto quello del “brain drain” è un vero fardello per l’economia italiana perché, stando a uno studio presentato al CNEL dalla Fondazione Nord Est, il capitale umano uscito dall’emigrazione degli ultimi dieci anni corrisponde a 134 miliardi. Numero che continuerà a salire, in quanto la maggior parte di coloro che per studio o per lavoro si sono trasferiti all’estero non tornano più indietro.

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Il governo tenta di far rientrare i cervelli proponendo incentivi fiscali, ma un grande ostacolo sono gli scarsi finanziamenti nel settore della ricerca scientifica: scienziati e ricercatori italiani si spostano in Germania, Francia o Regno Unito, dove i laboratori sono più attrezzati, i contratti più stabili e i finanziamenti di gran lunga più consistenti. E quello dei giovani studenti e lavoratori harvardiani disposti ad andare via da un Paese come gli Stati Uniti, da sempre pioniere nella ricerca scientifica, è un esempio lampante di quanto sia fondamentale saper valorizzare, ma soprattutto investire, sul talento e i cervelli. Il rischio, come sottolinea anche la Petrucci, “è quello di compromettere il futuro del Paese”.

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