Quando si parla di Iran khomeinista di cosa parliamo? Provo a limitarmi a questo, perché ritengo che possa essere utile.
Molto spesso si scrive, correttamente, che la fatwa contro Salman Rushdie fu emessa dall’ayatollah Khomeini nel 1989. Questo è giusto. Ma è ancora più giusto scrivere che quella fatwa fu emessa il 14 febbraio del 1989. L’importanza in sede storica di questa precisazione l’ha spiegata Gilles Kepel, ricordandoci che il 15 febbraio 1989 l’armata sovietica avrebbe completato il suo ritiro dal’Afghanistan, consegnando la vittoria “politica” ai mujaheddin del popolo, estremisti islamisti di rito sunnita, mentre Khomeini era un estremista islamista di rito sciita. In definitiva, per Kepel, Khomeini ha operato d’anticipo, ha sottratto ai suoi contendenti la palma della vittoria, il titolo di leader della rivoluzione islamista: l’enorme eco che ebbe quella fatwa gli consentì di affermare, nei fatti, che il vincitore globale era lui, non loro.
Scelgo questa data per indicare cosa sembra essere andato in crisi questa notte, 13 giugno 2025: il sistema teocratico khomeinista basato sull’esportazione della rivoluzione iraniana. Il sistema si è consolidato in Iran sulla piattaforma miliziana, i pasdaran, che sono universalmente noti come “i guardiani della rivoluzione” e la rivoluzione è quella di cui si è impossessato con un autentico golpe Khomeini quando ebbe inizio la crisi degli ostaggi americani, che coinvolse 52 diplomatici americani, tenuti in ostaggio dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981. Se il 4 novembre ebbe luogo l’azione, il 5 novembre 1979 si dimise il capo del governo provvisorio in carica a Tehran, Mehdi Barzagan: islamo-democratico, aveva capito, convengono quasi tutti gli studiosi, che le riforme democratiche che lui vedeva e proponeva erano ormai impossibili. Alla rivoluzione iraniana subentrava la rivoluzione teocratica, e i pasdaran avrebbero avuto il compito di esportarla.
La storia dal 79 e dall’89 è stata lunga, contorta, impossibile farla qui e farla con un occhio solo. Resta il fatto che allora si concludeva la terribile guerra Iran-Iraq, cominciata nel 1980 e proseguita con migliaia di morti fino al 1988: l’Iran khomeinista dopo essere stato attaccato dagli iracheni (con molti sostegni internazionali) sceglieva una via nuova? Hanno ragione coloro che affermano che scelse di esportare la guerra per tenerla lontano da sé?
E’ una lettura. Ma guardando con gli occhi degli arabi la nuova guerra iraniana era di chiaro stampo coloniale: impiantare fino al Mediterraneo, in tutto lo spazio arabo ( e maggioranza sunnita) delle milizie khomeiniste che rendessero quei Paesi dei satelliti di Tehran. Il disegno ha riguardato Iraq, Siria, Libia. Poi c’è stata l’estensione yemenita. Hanno ragione coloro che affermano che l’ esportazione della rivoluzione khomeinsta mirava a fare di Tehran il cuore e la testa di uno spazio imperiale molto simile a quello del vecchio impero persiano?
Il tentativo di Mohammad Khatami, presidente dal 1997 al 2005, di riformare il regime e la politica estera iraniana, sulla base del “dialogo di civiltà”, non è andato a buon fine. Gli è succeduto l’apocalittico pasdaran Ahmadinejad. Alla scadenza del suo mandato, nel 2009, con brogli riconosciuti come tali da tutto il mondo e la detenzione ai domiciliari dei vincitori della contesa elettorale, la presidenza fu attribuita di nuovo a lui, all’estremista Ahmadinejad. Gli attriti sono stati sempre più forti, soprattutto con Israele e con le corone arabe del Golfo. E il punto di massima tensione internazionale si è raggiunto con la questione del nucleare, della quale si è cominciato ad avere qualche indizio dal 2002 ma che è stata posta ufficialmente nel 2011, ai tempi cioè di Ahmadinejad. Era possibile affrontarla senza affrontare l’espansionismo miliziano di Tehran? Questo per molti era il nodo. Dopo l’uscita di scena di Ahmedinejad la presidenza Obama ha tentato proprio questa strada: controllare la corsa atomica dell’Iran, togliendo le sanzioni e soprassedendo al suo espansionismo terrestre. L’accordo fu firmato nel 2015. Il centrista o “moderato” Rouhani, è stato la controparte di quell’intesa. Rimase in carica fino al 2021. Questo, oltre alla nota posizione israeliana, ha creato un attrito arabo-americano. Sono stati anni in cui il peso delle milizie filo iraniane nei loro territori è costantemente aumentato. L’accordo come sappiamo fu ricusato da Trump durante il suo primo mandato, nel 2018 e nel 2020 fu anche eliminato il capo dei pasdaran, generale Soleimani, architetto dell’espansione miliziana.
Proviamo a guardare ora con un altro sguardo ancora, quello degli ordinari iraniani: forse il dato che ai loro interessa di più è l’enorme investimento, durato decenni e ammontante a miliardi e miliardi di dollari, compiuto da Tehran nella sua impresa colonialista – e che si congiunge con le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per la scelta nucleare, prima tolte da Obama e poi riproposte da Trump-: questo ha significato, visto da molti di loro, “fame e repressione”. Fame per il collasso della valuta, e repressione perché bisognava silenziare il malcontento ma anche il sempre più diffuso rifiuto della teocrazia. Il sistema è diventato sempre più ferreo, fino alla famosa rivolta “donna, vita, libertà”, cominciata tra il 13 e il 16 settembre del 2022, a seguito della morte nelle mani della polizia di Mahsa/Zhina Amin, accusata di non indossare propriamente il velo. Le sentenze e le eliminazioni arbitrarie non si contano.
La voce del Movimento oggi non risuona molto nei commenti, ma è lecito chiedersi se un Paese ridotto sul lastrico – a differenza dei pasdaran che con l’economia grigia che gestiscono e che è favorita dalle sanzioni, sono diventati una potenza economica- vessato da un sistema repressivo quasi primo al mondo in materia, non abbia diritto a sperare in un cambiamento politico.
Noi ragioniamo con altre categorie: quella di “guerra giusta” risuona in molti, in altri avverto l’identificazione della pace con la “stabilità”. Sono due poli di un confronto nel quale i diritti e i desideri dei popoli, i loro aneliti, i loro bisogni, appaiono sempre meno presenti. Nel grande gioco contano poco, ma è il considerarli che cambierebbe, anche noi.